Intervista a Roberta Andres

Intervista a Roberta Andres.

Andres_EEELe foto di Tiffany è un libro in cui l’eros aleggia in ogni pagina. Tuttavia le sue componenti non sono basate esclusivamente su un rapporto di copia, ma comprendono diverse altre sfumature ben più vivaci dal neutrale “grigio”. Ma la nostra attenzione è stata catturata da un fiore, un semplice elemento che, messo nel posto giusto, è riuscito a far decollare la nostra fantasia.

  • Fra tutti i fiori che potevi scegliere, perché proprio un iris?

E’ un fiore che mi piace in maniera particolare, ma a parte questo volevo un fiore di forma allungata, che potesse finire nascosto nelle pieghe del corpo di Tiffany.

  • In questi ultimi anni il genere erotico ha decisamente preso piede in testa alle classifiche di vendita. Secondo il tuo punto di vista, dal momento che è il pubblico femminile ad essere il principale acquirente, questo fenomeno nasce da una sorta di frustrazione o liberazione?

Liberazione, senz’altro! La possibilità di scrivere, leggere, rivendicare una propria dimensione e dei propri sogni erotico-sentimentali al femminile.

  • Nel tuo romanzo il profumo dell’eros aleggia su molte pagine senza mai diventare eccessivo. Quanto pensi sia sottile la linea di demarcazione fra l’erotismo “soft” da quello “spinto”?

Credo che la linea di demarcazione sia molto sottile, così tanto che me ne sono tenuta volutamente lontana, limitandomi nelle descrizioni e nella frequenza di scene erotiche; sinceramente ho preferito fare così piuttosto che rischiare di essere eccessiva, cosa che avrebbe stonato moltissimo con la tonalità generale della narrazione e con il tipo di personaggio che volevo fosse Tiffany.

  • Dopo tanti racconti, quali difficoltà hai riscontrato nello scrivere un romanzo?

Come ho già detto in altre interviste, una delle mie caratteristiche quando scrivo è la sinteticità, anche quando non è voluta. Ammetto di aver sudato freddo all’idea di strutturare un romanzo; la maggior parte del lavoro di ampliamento della struttura, non solo in termini di lunghezza ma anche di complessità e descrizioni dei personaggi, l’ho fatto in un secondo momento, nella fase di revisione. Credo però che fosse una fase normale dell’evoluzione dal racconto al romanzo: già nella stesura del secondo, a cui sto lavorando da giugno, vedo che la narrazione fluisce naturalmente più ampia e circostanziata.

  • Sappiamo che il tuo “alter ego” si chiama Franca De Angelis, l’angelo custode che alla fine ti ha convinto a realizzare i sogni. Quali argomenti ha usato per farti compiere finalmente il primo passo?

Un giorno al telefono, mentre io continuavo a dubitare di poter scrivere, mi ha detto a bruciapelo: “Scrittrice lo sei già, ma una scrittrice pigra!” Devo dire che la cosa mi ha colpito nel vivo, sia per l’accusa di pigrizia sia per la persona da cui proveniva! Io e Franca siamo amiche da quando avevamo sei anni e ci trovammo in prima elementare ad essere le uniche due bambine a saper già leggere e scrivere. Fummo messe sedute vicine in fondo all’aula, con la facoltà di chiacchierare (purchè a bassa voce) mentre la maestra si occupava degli altri bambini. E’ iniziata così: dopo 44 anni siamo ancora molto legate e la scrittura è una delle tante cose che abbiamo in comune.

  • Quanto conta la psicologia in fase creativa? Ovvero, nel corso della tua esperienza come insegnante, quali sono state le difficoltà che hai riscontrato più frequentemente con i tuoi allievi?

Le stesse difficoltà che ho incontrato anch’io e che ancora ogni tanto incontro: autorizzarsi a scrivere (o, in generale, ad essere creativi), prendersi il tempo e riconoscersi le capacità e il diritto di affermare se stessi attraverso qualche canale preferenziale (come la scrittura), trovare insomma “la propria voce” o, se vogliamo parafrasare la Woolf, “la stanza tutta per sé!”

  • Il tuo contatto giornaliero con il pubblico ti aiuta nel prendere spunto per creare nuovi personaggi?

Certamente! A volte si incontrano persone che sembrano personaggi o si vivono situazioni buffe o inaspettate al punto che la più fervida fantasia non avrebbe potuto crearle dal nulla. E’ vero che la vita ha molta più fantasia di noi!

  • Cosa ne pensi del panorama culturale italiano?

Mi sembra un periodo di grande fermento, con mille esperienze e mille stimoli che a star dietro a tutto è impossibile: anche perché per molte cose non vale la pena! Ma sicuramente selezionando si trovano spunti interessanti di riflessione artistica.

  • Quando Roberta non scrive, come occupa il proprio tempo?

Sto molto con i miei figli, il più possibile, visto che stanno crescendo e tra un po’ avranno altro da fare! Cucino, leggo, chiacchiero a telefono con le mie amiche d’infanzia.

  • Quali sono i progetti per il futuro?

Dal punto di vista narrativo, finire “Floralapazza”, il mio secondo romanzo, e cercare di farlo circolare il più possibile tra i lettori: amo moltissimo questo progetto, mi prende molto e credo molto nell’idea narrativa che sta alla base del testo, quindi cercherò di fare del mio meglio perché “veda la luce”. Per quanto riguarda invece la mia vita privata, vorrei fare un viaggio con un paio di amiche con cui quest’anno ho condiviso un compleanno “tondo”.

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Intervista a Lidia Del Gaudio

Intervista a Lidia Del Gaudio.

Del_Gaudio_EEEIl segreto di Punta Capovento appartiene al genere romantico contemporaneo, non al rosa più classico ma a quella tonalità che colora la tinta di base con altre sfumature. Lidia Del Gaudio, nel suo libro, parla di sentimenti e di passioni, di sconfitte, rinunce, ma anche di quei riscatti che riportano gli animi a ricongiungersi nonostante tutte le avversità. 

  • Come definiresti il tuo romanzo, più sentimentale o più materiale? Ovvero, forse più legato alla concezione romantica di un rapporto a due, oppure immerso in una quotidianità in cui a volte il rosa si dipinge di nero e di rosso?

Il romanzo che propongo parla di sentimenti, ma non lo definirei sentimentale in senso classico. La storia che si racconta è una metafora, quasi una favola per adulti, nella quale i sentimenti devono fare i conti con una realtà non proprio quotidiana, bensì idealizzata e inarrivabile.

  • La tua protagonista passa attraverso situazioni che una normale eroina, di solito, non affronterebbe. Tuttavia, il personaggio resta molto credibile e il suo fascino non viene intaccato dalle vicissitudini, perché hai scelto una strada così controversa?

Perché non mi piacciono le cose troppo semplici, scontate, anche se so che a volte questo può risultare penalizzante. Quando mi domandano il genere delle mie storie non so mai cosa rispondere. Adoro le fusioni e le contaminazioni. Giulia, la protagonista del romanzo, resta uguale a sé stessa per tutto il racconto, ma la sua non deve essere intesa come una sterile mancanza di crescita personale, una incapacità di imparare dai propri errori, bensì come un ideale femminile unico e irripetibile, eletto a custode di un segreto.

  • Tu stessa scrivi: quelli descritti nei romanzi sono luoghi del cuore, a volte irraggiungibili. Preferisci, dunque, quelli reali o quelli dettati dalla tua fantasia?

Mi piacciono e li utilizzo entrambi. Ci sono storie che non hanno bisogno di una collocazione reale e concreta per funzionare, anche perché non esisterebbero delle ambientazioni corrispondenti a quello che si vuole raccontare; in altri casi, invece, il racconto vive proprio in virtù del suo essere calato nella realtà quotidiana di città e strade conosciute e perfettamente riconoscibili. Nel mio romanzo ho cercato di fondere il vero con l’immaginario, riportando alla luce anche luoghi di cui non abbiamo più memoria, ma che sono dentro di noi, nella nostra sensibilità. È lì che la mia protagonista spera di arrivare.

  • Il tuo romanzo ha come filo conduttore una leggenda che trasporta i protagonisti attraverso lo spazio e il tempo, ma Lidia quanto crede nel destino?

Razionalmente direi che non credo nel destino, ma questo fino a quando la mia anima pigra non ricompare e prende il sopravvento. A volte può risultare persino comodo giustificare le nostre mancanze con l’ineluttabilità del fato, mentre tante scelte dipendono unicamente da noi. D’altro canto siamo ostaggio della casualità più incontrollata. Quindi non so, diciamo metà e metà?

  • L’era moderna ha prodotto malattie date per lo più dai propri disagi interiori che da fattori ambientali, nello specifico la depressione diventa uno dei motivi che portano Giulia prima verso il baratro e poi verso il riscatto. In che modo interpreti questo “male oscuro”?

Più innalziamo le nostre aspettative, più siamo a rischio di depressione. Oggi, poi, tutto sembra così facile da raggiungere, denaro, successo, potere ci vengono mostrati di continuo e sembrano lì a portata di mano, ma poi ci sfuggono a vantaggio di altri che, a nostro parere, quasi sempre errato, non lo meriterebbero. E i tanti beni materiali che abbiamo a disposizione finiscono per togliere interesse alla nostra vita. So di dire cose che possono sembrare banali, ma è quello che penso. Una vita più semplice, il saper rinunciare al superfluo, a ciò che abbiamo di troppo, tanto di troppo che non riusciamo neppure a usare, magari condividendolo con chi ne ha bisogno, potrebbe essere di aiuto alla nostra ansia. Solo dedicarsi agli altri può concorrere ad allontanare le preoccupazioni e la nostra ossessiva autoreferenzialità. Ci sono poi dei momenti in cui una sana tristezza diventa un piacevole veicolo di riflessione, la consapevolezza di noi stessi, uno stop necessario in un mondo dove si incontra tanta superficialità e l’imperativo è doversi divertire ed essere felici a tutti i costi. Quando però la depressione prende l’aspetto della patologia, allora occorre avvalersi di ogni aiuto medico e psicologico per cercare di sconfiggerla.

  • I ruoli maschili nel tuo libro sembrano contrapporsi, da una parte il ruolo guida di Capitan Nadir e dall’altra l’atteggiamento impulsivo di Walter e Ted. Pensi che questo atteggiamento sia dettato solo dall’età o da una diversa visione culturale?

L’età c’entra poco, si tratta di una visione culturale. Quella che veniva proprio fuori dalla rivoluzione del ‘68, nel caso del padre, rimasta, almeno in questo caso, fedele a quei principi. Anche Ted e Walter sono figli del loro tempo e di una visione falsata dell’amore e dei rapporti con gli altri.

  • La scrittrice Lidia nasce in realtà dalle vesti di una lettrice cresciuta fra il frusciare delle pagine, quali sono stati gli autori che possono aver influenzato il tuo modo di scrivere?

L’elenco è lungo, anche se realmente penso di non assomigliare (purtroppo) a nessuno dei grandi autori che hanno accompagnato le mie letture. Diciamo qualche nome: l’immancabile Louisa May Alcott (che ho voluto omaggiare col nome del mio protagonista), Burnett, Malot, Salgari, e poi crescendo Moravia, Cassola, Rex Stout, S.King, Zafòn. Ovviamente ho fatto solo qualche nome, ma di tutti, anche dei tanti non citati, mi resta una grande unica ispirazione e uno stile che non saprei diversificare.

  • Detto fra noi, Giulia, Ted e Walter ti hanno lasciata finalmente andare, per cercare nuove storie e altri personaggi? Oppure ti tengono ancorata al largo di Punta Capovento?

Detto tra noi, sì, credo di avercela fatta, di essere finalmente pronta a salpare per altri lidi, anche se questi personaggi me li porto sempre nel cuore e ogni tanto ancora spiego le vele per un giro al largo del promontorio. Mi piacerebbe però che Giulia, Ted e Walter entrassero e rimanessero nel cuore anche dei lettori e che li facessero sognare come hanno fatto sognare me. All’inizio possono apparire anime fredde, ma nel corso della storia rivelano tanta passione.

  • Quando Lidia non scrive, come occupa il proprio tempo?

Ho molti interessi e sono molto curiosa di imparare sempre cose nuove. Un passato di pittrice e tanto amore per la musica. Adoro anche il cinema. Come ogni donna, poi, il tempo da dedicare alla casa e alla famiglia è sempre troppo poco.

  • Quali sono i progetti per il futuro?

Anche se dentro di me resiste un pensiero proiettato in avanti, cerco di vivere con una certa pacatezza, tenendo i piedi ben saldi per terra. L’unico progetto irrinunciabile resta comunque nella scrittura. Ho tante idee e alcuni lavori già abbozzati. Così spero di finire presto almeno un nuovo romanzo. Un thriller, magari.

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Intervista a Maria Scarlata

Intervista a Maria ScarlataScarlata_carusanza

Ben cinque generazioni si susseguono nel libro di Maria Scarlata, Mala carusanza, portando alla ribalta le tradizioni e la cultura che si evolve negli anni, arrivando fino ai giorni nostri. Tuttavia, se da una parte la società ha subito profondi cambiamenti, spesso in modo negativo, dall’altra è rimasta ancorata alle proprie radici e origini. In questo libro, in cui è la Sicilia a essere protagonista, attraverso le vicende di Tina e della sua famiglia, molto resta di un’Italia passata attraverso importanti vicende storiche.

  • Mala carusanza è un’espressione tipicamente sicula, cosa significa e perché hai voluto intitolare il tuo libro in questo modo?

Mia nonna era solita inserire spesso questi due parole per me sconosciute, nei fervidi racconti della sua infanzia, che narrava con un colorito linguaggio misto di vocaboli dialettali. A noi bimbi, tali termini risuonavano incomprensibili, dal momento in cui in casa ci si esprimeva soltanto in italiano. Col passare degli anni, soprattutto queste due parole, si fissarono negli angoli della mia memoria, tornando prepotentemente a galla con il loro senso di incompletezza, in quanto mi era ancora oscuro il loro significato. Fino a quando un giorno, venuta a conoscenza che “caruso” significasse “ragazzo” e “mala”fosse la definizione di “cattiva”, feci di questa assonanza, il titolo del romanzo che desideravo scrivere per omaggiare la tormentata esistenza di una donna tenace e granitica rispetto agli ostacoli del suo esistere. 

  • Hai trattato dei temi difficili e, forse, incomprensibili per le giovani leve di oggi. Come spiegheresti, ad esempio a una sedicenne, il matrimonio forzato di Tina?

Bisogna tenere conto del momento storico di ogni situazione per giudicare le azioni delle persone, anche se spesso sono in antitesi con il nostro pensiero di esseri umani moderni ed evoluti. Certamente alle ragazze di oggi risulta incomprensibile immedesimarsi in una storia come quella narrata, anche perché il contesto attuale è, fortunatamente differente rispetto a quello di un tempo. In una società molto maschilista, come evidenziato dal racconto, simili comportamenti erano quasi usanze consolidate e, venivano tacitamente perpetrate fin dai secoli passati, spesso senza incontrare resistenza anche da parte della persona offesa. In questo caso la protagonista, con la sua ribellione da adolescente indomita, tenta di squarciare la fitta tela delle consuetudini, opponendosi ad un matrimonio riparatore, ma tale atto coraggioso avrebbe avuto ripercussioni sull’esistenza della famiglia intera. Penso sia molto difficile opporsi al ricatto dell’essere responsabili dell’infelicità delle persone che si amano. Credo che per valutare ogni situazione bisognerebbe fare appello a quell’umiltà che ci impedisce di giudicare usando solo il nostro metro di valutazione, ma tenere conto che, si dovrebbe vivere ogni esperienza personalmente, prima di analizzarla in modo superficiale e, guardare sempre alle cose da diverse angolazioni, anche quando si veste il ruolo di lettori.
Le nuove generazioni, possono imparare, attraverso questo tipo di lettura, che quanto di buono oggi può essere da noi goduto, spesso si fonda sui sacrifici e sulle sofferenze di chi ha anticipato i nostri percorsi di vita e, tenere saggiamente a mente che la nostra fortuna è anche dovuta al fatto che i cambiamenti positivi, nella società, avvengono soltanto affrontando le situazioni con coraggio e, perseguendo finalità di comprensione e rispetto reciproco.

  • Le condizioni femminili sono cambiate nel corso dei secoli, tuttavia, alcuni episodi di cronaca confermano che, per certi versi, tanto ancora si deve fare. Quanto senti tua la condizione di donna in questa era moderna?

Le cronache quotidiane ci confermano che molto ancora si debba fare per educare gli esseri umani al rispetto, con un costante impegno, soprattutto da parte delle donne, per arginare l’aggressività e tutte le altre cause che conducono ai fatti aberranti che purtroppo nelle cronache sono sempre più frequenti.
Ogni donna, nella sua funzione di madre educatrice, deve essere portatrice di bellezza e fermezza nel contrastare le fragilità maschili che spesso sfociano in atti violenti. Si tratta di un costante  lavoro che sicuramente darà buoni frutti a lungo termine, ma ciò non può prescindere dal fatto che non si debbano mai perdere di vista quei valori che oggi sembrano essere in disuso.
In quanto donna mi sento felicissima di poter rappresentare questa categoria nella pienezza e completezza del termine, a noi è stato affidato giustamente il compito arduo di generare vite.
Mi avvilisce molto pensare che purtroppo, ancora oggi siano presenti i retaggi di mentalità distorte e retrograde che vogliono vederci confinate in ruoli secondari e che, il dito accusatore sia sempre rivolto nella nostra direzione, mentre l’unica salvezza dell’umanità, a mio avviso, potrà concretizzarsi solo attraverso dolcezza e comprensione, che spesso si connotano nell’essere donna.

  • Dopo il femminismo, la rivoluzione sessuale e il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, quali divorzio, aborto e altro, quanto pensi che siano realmente “forti” le donne di oggi?

Da secoli le donne sono l’emblema di forza e perseveranza. Le donne reggono prove quotidiane di coraggio non solo per le loro esistenze, ma per quelle di tutti gli esseri che sono stati a loro affidati, in primo luogo i figli, uniti da un legame viscerale. In questo consiste la vera forza femminile, connotata generalmente da un altruismo di fondo. Se riusciremo a tenere conto ed a sfruttare al meglio la nostra proverbiale solidarietà, magari in un futuro che mi auspico prossimo, si potrà beneficiare di una società dove tutti gli individui abbiano la stessa considerazione e gli stessi diritti a tutti gli effetti.

  • Oltre alla scrittura un’altra delle tue passioni è la pittura, qual è il tuo stile e cosa ami rappresentare nei tuoi quadri?

Non saprei definire con una connotazione precisa lo stile dei miei quadri. Alcuni li associano al naif, ma a mio avviso sono più dettagliati e più tendenti al realismo. L’uso plastico e materico del colore,  li rende quasi tridimensionali, questa valutazione è riferita a quanto fino ad ora mi hanno manifestato i miei estimatori.
Per quanto concerne il disegno, usando una tecnica paziente e ben dosata della grafite, il risultato è quasi fotografico.
Spazio in soggetti di varia natura ma, soprattutto la natura, in ogni sua manifestazione, è la fonte di ispirazione delle mie creazioni. Mi cimento anche nella ritrattistica, in quanto trovo molto affascinante, scoprire cosa celano i volti nell’istante in cui vengono catturati da una fotografia. Mi gratifica la possibilità di esternare sensazioni attraverso un dono ricevuto e coltivato con passione e dedizione pressoché trentennale.

  • Un libro è come un quadro, le giuste dosi compongono un’immagine perfetta, la mancanza di equilibrio fra i colori e le forme portano a un qualcosa di poco godibile, come vedi questo accostamento?

Direi, in tutta sincerità, che il paragone è perfetto. In qualsiasi forma artistica ci deve essere equilibrio fra i vari elementi perché il risultato sia godibile. Dosi eccessive di un ingrediente di qualsiasi piatto, ne pregiudicano il sapore equilibrato. Esiste comunque un margine soggettivo di tutti i componenti per far si che la fruibilità di un’opera sia sempre personale e mai massificata.
Nell’arte in genere, anche se gli strumenti di base sono gli stessi, il risultato finale non sarà mai identico per ciascun artista e, ciò ci rende speciali e mai imitabili nella nostra unicità.

  • Mala carusanza è il tuo primo libro pubblicato con EEE, editore prettamente digitale, come vivi il rapporto con la tecnologia?

Devo ammettere che con la tecnologia ho un rapporto distaccato e conflittuale. Se da un canto sono consapevole che sia necessario evolversi e far uso corretto di sistemi che ci migliorano l’esistenza, dall’altro rimpiango la poesia che era presente nei vecchi mezzi di comunicazione. Ho un ricordo nostalgico delle lettere, la trepidante attesa nel riceverle, il carattere della grafia, rivelatore di personalità e quant’altro scaturisce da un mezzo per nulla algido come uno schermo.
Conservo comunque l’abitudine di scrivere a mano le bozze dei miei lavori. A tal proposito ho ritrovato dopo un trentennio quella di “Mala Carusanza” che ha sortito in me ricordi sopiti dal tempo e rivelatori della mia giovinezza.
E’ evidente che nulla possa sostituire la praticità della tecnologia.

  • Recentemente sei stata presente al Salone del Libro di Torino, come hai vissuto questa tua esperienza e quali sono le riflessioni che senti di fare, anche se dettate da un approccio neofita?

E’ stata una giornata entusiasmante. Partecipare a questa manifestazione come autrice era quanto di meglio potessi augurarmi nel mio percorso di aspirante scrittrice. La soddisfazione di avervi preso parte è stata immensa, anche per le piacevoli conoscenze che si sono concretizzate nella giornata. Avere a che fare con chi condivide le tue passioni è sempre arricchente.
Erano inoltre presenti alcuni dei miei affetti più cari e sinceri e, la condivisione con chi mi vuole bene ed apprezza, ha reso speciale quel giorno atteso con trepidazione.
Vi ringrazio di tutto cuore per l’esperienza vissuta grazie alla vostra considerazione.

  • Quando Maria non scrive (oltre a dipingere), come occupa il proprio tempo?

Maria è una donna dalle semplici abitudini, fortunatamente incline verso forme artistiche di vario genere. Oltre ad occuparmi del mio lavoro, della casa e dei miei affetti, cucino con passione e, mi dedico al ballo. Canto sempre molto volentieri e, se non posso farlo per diletto altrui, mi esercito in solitudine con la radio, soprattutto con la musica leggera italiana, in quanto mi è più congeniale la comprensione dei testi, necessari per alimentare il mio spirito poetico.
Leggo con trasporto, ma vorrei avere più tempo per poterlo fare assiduamente. Purtroppo le giornate sono troppo corte …

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

A dire il vero sono diventata fatalista, per cui, evito di fare progetti a lungo termine, ma mi piacerebbe proseguire in ciò che faccio alimentando con costanza le mie passioni, tramite mostre di pittura, presentazioni dei miei scritti, che in parte sono già presenti in forma di bozze ed attendono di essere fruibili al prossimo, possibilmente non dovendo più attendere un trentennio per essere pubblicati. Ciò accadrà se persone come voi continueranno nel loro nobile ed apprezzabile intento.

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Intervista a Daniela Vasarri

Intervista a Daniela Vasarri

Maeva_EEEMaeva, la benvenuta è il tuo nuovo libro, molto particolare, dato l’argomento trattato: le adozioni. Mi colpisce questo fatto, la tematica è spesso sottovalutata, se ne parla poco e ancor meno si conosce delle difficoltà che insorgono nel momento stesso in cui si vuole affrontare questo percorso. Oltretutto la tua protagonista, Matilde, non può nemmeno contare sull’appoggio di un partner.

  • Partiamo, dunque, dal titolo, chi è Maeva?

Maeva è una bambina, scampata miracolosamente allo tsunami e dopo essere stata ritrovata all’età circa di due anni, è stata ospitata all’orfanotrofio di Bangkok.

  • Parte dell’ambientazione si svolge in Thailandia, perché hai scelto proprio questo paese, per quanto affascinante e ricco di tradizioni?

Sono stata in Thailandia alcuni anni fa, l’ho visitata fino al nord e ho potuto vederne aspetti anche non turistici. Mi ha affascinata pur nelle sue contraddizioni, ma soprattutto mi hanno dato grandi emozioni i bambini, al punto che avrei voluto “portarli tutti a casa”!

  • Tra l’altro, la tragedia che ha colpito questa terra è stata vissuta in maniera traumatica anche da tanti altri paesi, proprio per il fatto che, essendo la Thailandia una rinomata meta turistica, molti sono stati gli stranieri coinvolti. Tuttavia, questo spunto reale diventa un nodo importante nel tuo romanzo, quanto di quello che hai riportato nasce da un coinvolgimento personale e quanto è tratto dalla tua fantasia?

Come ho detto  sopra il coinvolgimento personale c’è stato, andando nei villaggi ho sentito forte il desiderio di maternità ma anche quello umano e sociale, perché davvero le loro condizioni sono poverissime e così distanti dalle nostre.

  • Come è nata l’idea per il romanzo?

Di quel viaggio ho conservato il ricordo e un giorno al computer è nata Maeva, nella mia fantasia.
La cosa straordinaria è che la mia piccola Maeva è diventata poi reale, perché, appena terminato l’editing del romanzo, una bambina in Corea è stata ritrovata e riconosciuta proprio come io ho descritto nell’epilogo del mio romanzo.

  • In quest’epoca moderna, in cui le donne fanno parte del tessuto sociale a pieno titolo, con tutti gli oneri che questo comporta, quanto pensi che possa ancora sussistere il concetto di “bisogno di maternità”, rispetto a come veniva interpretato nel passato?

Ritengo che il bisogno di maternità, quando bussa prepotente al cuore di una donna, non conosca limitazioni, sociali o economiche. Una soluzione, se davvero si vuole un figlio, la si trova. Chi rimanda per mille motivazioni, spesso si pente oppure arriva ad ammettere dentro di sé che, forse, non si trattava di una vera vocazione.

  • La burocrazia, se da una parte dev’essere complessa, proprio perché si parla di affidare dei bambini a degli sconosciuti, dall’altra diventa ostica e laboriosa. Cosa ne pensi?

Credo prima di tutto che vi debba essere un grosso e serio lavoro di verifica prima di dare in adozione un bambino, ma che, una volta accertate le condizioni favorevoli per l’adozione, si dovrebbe poter contare su tempi più brevi e con minori esborsi economici.

  • Spesso le adozioni riguardano bambini provenienti dall’estero, come mai si predilige un figlio proveniente da culture e mentalità diverse, piuttosto che uno italiano?

Questo è difficile da interpretare, in primis penso che noi, come cultura, non concepiamo di adottare un connazionale, poi credo che i bambini stranieri adottabili versino in condizioni economiche e sociali svantaggiate, quindi l’adozione diventa un gesto di sostegno più importante e gratificante per chi lo compie

  • Alcuni non riescono a fare a meno di porre delle distinzioni fra figli naturali e figli adottati, dimenticandosi che “un figlio” non è soltanto un “prodotto” genetico ma un essere umano che assorbe l’impronta della realtà in cui cresce, anche quella affettiva. Come vedi questa disparità?

La disparità esiste secondo me, ma non dal punto di vista giuridico, bensì da quello psicologico-sociale. Per gli esterni, non per i genitori adottivi, un bambino adottato viene visto purtroppo spesso come un “ripiego”, una consolazione per quella madre adottiva e questo può influenzare negativamente tutti i rapporti futuri del bambino stesso. Personalmente credo che un figlio naturale o uno adottato siano sullo stesso piano, se entrambi sono stati voluti e amati

  • Quando Daniela non scrive, come occupa il proprio tempo?

Leggo molto, mi dedico a letture di esoterismo, filosofiche, sono una curiosa, esploro la vita insomma. Poi di lavoro faccio tutt’altro, ma ho imparato a ben dividere la mia sfera d’interessi da quella lavorativa, che comunque svolgo con grande impegno.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ritirarmi in Toscana e scrivere, studiare; per ora, dato che sono lontana dalla pensione, sto lavorando a un libro che è un divenire, tratta della ricerca o della conferma personale della fede.

Intervista a Valerio Sericano

Intervista a Valerio Sericano

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Intrecciare due storie contemporaneamente, presagendo un destino comune, non è così facile, soprattutto se le trame vengono intessute su piani differenti, prendendo in considerazioni ambienti e culture diverse dalla nostra. Valerio Sericano ha saputo creare, nel suo Ami dagli occhi color del mare, un romanzo ricco di fascino.

  • Ami dagli occhi color del mare è un titolo molto particolare che, a prima vista, aggiunge subito una nota curiosa al romanzo. Che cosa rappresenta?

Solitamente non ho problemi con i titoli dei miei lavori, perché nascono con la stesura del romanzo e non li cambio più. In questo caso ho invece completato il lavoro con un titolo provvisorio che non mi convinceva per nulla, finché una collega (di fatto, il mio comitato di lettura personale…), dopo aver letto il manoscritto mi ha detto: “Perché non lo intitoli semplicemente Ami?”.
L’avrei baciata. Ho solo aggiunto l’altra frase per meglio distinguere il mio romanzo da lavori già editi.
Non posso tuttavia dire nulla circa il significato di Ami, altrimenti svelerei il finale della storia. Dico solamente che lo si può scoprire avendo la pazienza di leggere tutto fino alla fine, perché la spiegazione del titolo avviene solo nelle ultime righe della vicenda.

  • Come è nata l’idea per il romanzo?

Si tratta di un lavoro contenente molti riferimenti alla mie esperienze di vita e a quelle della mia famiglia, anche se non lo ritengo un lavoro prettamente autobiografico. È risaputo che gli autori esordienti inseriscono molto di se stessi e delle proprie vicende nelle loro storie. Essendo questo il mio secondo romanzo, non ho fatto eccezione alla regola, avendo attinto a personali esperienze di vita. Comunque cito una curiosità, segnalatami da una lettrice, la quale mi ha scritto molto seriamente: “Interessante l’dea di trattare il tema della metagenealogia…”
Io, con molta semplicità le ho risposto: “Temo di non capire… Di che cosa stai parlando?”.
Lei mi ha inviato il link di una pubblicazione: Metagenealogia, di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa, un volume che teorizza come gli eventi passati della propria famiglia incidano sugli individui sotto forma di energia positiva e negativa. Non ne avevo mai sentito parlare, ma a conti fatti, il tema centrale del mio libro si basa proprio su questo argomento, di cui non sapevo assolutamente nulla mentre scrivevo la mia storia. Adesso dovrò leggere quel libro…

  • La tua passione per la terra nipponica scaturisce da ogni riga del tuo scritto, lasciando intendere che sia vissuta anche a livello reale, nella vita di tutti i giorni, come mai?

Non so perché, ma la cultura giapponese mi ha incuriosito da sempre. Soprattutto la storia di quel popolo, che considero unico al mondo. Ho letto molto a riguardo, rimanendone affascinato al punto da scrivere una tesina universitaria e desiderare di visitare di persona il Giappone. Quando finalmente vi sono riuscito, ho provato un’emozione talmente forte da innamorarmene. Conseguenza è stata anche portarmene un pezzettino in Italia, nella persona di mia moglie, giapponese di nascita che adesso vive con me in Italia. Valutando le cose nel loro insieme, non credo esistano al mondo due popoli e due culture più distanti fra loro di quella italiana e giapponese. Quando si dice che gli opposti si attraggono…

  • L’Argentina, terra dalle sfumature più simili alle nostre, è l’altra nazione protagonista del tuo libro, che rapporti hai con questo paese e perché di questa scelta?

L’Argentina non l’ho mai visitata e ho dovuto dar fondo alla mia passione di storico dilettante per creare gli ambienti nei quali calare i personaggi creati nella descrizione della seconda storia, quella riguardante l’emigrazione del primo novecento. Mi scuso per eventuali errori e anacronismi, sempre in agguato per chi si cimenta nel difficile ambito delle ricostruzioni storiche, in questo caso riscontrabili da chi mi leggesse conoscendo bene la realtà argentina, della Pampa in particolare. Tornando al tema della meta genealogia, citata in precedenza (chiedo ancora scusa, adesso che ho imparato una parola nuova ne devo fare sfoggio… ehm), devo dire che sono cresciuto sentendo molto parlare di Argentina dai racconti di mio nonno, la cui figura, abbondantemente romanzata, coincide a grandi linee con il personaggio di Cesco, protagonista della vicenda descritta nella parte di romanzo riguardante la migrazione. Detto ciò, è possibile che ne sia rimasto inconsciamente influenzato

  • Lo tsunami in Giappone ha segnato la storia mondiale a causa delle tante difficoltà e delle tante vittime che ci sono state. Il tuo protagonista, Giaco, lo vive in prima persona. Quanto c’è del tuo vissuto e quanto è scaturito dalla tua fantasia?

Per mia fortuna non ho vissuto in prima persona la tragedia dell’11 marzo 2011, perché non ero in Giappone nel momento in cui si è verificata. Anche mia moglie era già con me, sebbene mi avesse raggiunto in Italia solamente pochi mesi prima di quella fatidica data. Tuttavia, quel disastro terribile mi ha colpito parecchio, perché lei è originaria dell’area di Sendai, dove vive la sua famiglia, la quale fortunatamente non ha subito danni. Ho scritto la parte dedicata allo tsunami raccogliendo proprio le testimonianze di parenti e amici che vivono in quella città, cercando di immedesimarmi più che potevo nei fatti realmente accaduti. Non ho ancora avuto alcun riscontro riguardo ciò che ho scritto, a causa della differenza di lingua e dell’impossibilità di tradurre il mio romanzo in giapponese, ma posso dire di essere stato male per circa una settimana dopo aver scritto il capitolo dedicato alle conseguenze di quel catastrofico tsunami

  • Di solito, pensare a uno scrittore maschile fa venire in mente delle storie basate sull’azione, sull’intrigo o, comunque, generi che nulla hanno a che fare con i sentimenti, più facilmente descritti da autrici donne. Tuttavia, tu hai regalato ai lettori un libro ricco di fascino e di emozioni. Quali sono le difficoltà nello scrivere un romanzo d’amore per un uomo?

Mi fa piacere sentirmi definire un autore legato alla sfera delle emozioni, perché in effetti è dai sentimenti e dalle pulsioni emotive che traggo ispirazione per scrivere. Non sono in grado di dire se in questo campo riesco a raggiungere i picchi che la sensibilità di un animo femminile giunge a toccare, tuttavia ci provo, magari fornendo un punto di vista diverso da quello usuale. Ad ogni modo, per ciò che riguarda la mia esperienza di scrittore, devo dire che il filo rosso che collega ogni lavoro in cui mi sono cimentato finora è proprio la presenza, più o meno importante, di una o più storie d’amore. Non so se per questa ragione posso essere definito un romantico, ma da un punto di vista oggettivo ritengo che la forza dell’amore sia il vero motore che muove il mondo, per cui mi sembra impossibile non scriverne

  • Due storie d’amore s’intrecciano nel tuo libro, in cui entrambe le protagoniste femminili arrivano da oltre confine. Dal momento che si dice “mogli e buoi dei paesi tuoi”, quali pensi che siano le difficoltà che si possono riscontrare nell’approcciare culture così diverse dalla nostra, soprattutto in campo sentimentale?

Avendo affrontato di persona questo tipo di esperienza posso dire che la difficoltà più grande, inizialmente, è rappresentata dalla lingua. Tuttavia ho potuto constatare, cercando anche di descrivere la cosa attraverso i personaggi del mio romanzo, che quando nasce una storia tra persone provenienti da mondi e culture diverse, entra in gioco una sorta di linguaggio universale che azzera ogni difficoltà e si manifesta nei gesti, nelle tenerezze o anche solo negli sguardi che due individui si scambiano per amore. Vivendo in prima persona la mia storia, agli inizi ricordo di aver pensato: “In fondo siamo solo un uomo e una donna che si cercano e desiderano stare insieme, null’altro”.
Tuttavia non si può ridurre tutto quanto alla sola sfera sentimentale, perché sappiamo tutti che la vita è fatta anche di mille altri aspetti che s’intrecciano fra loro. Questo lo capisco soprattutto vedendo mia moglie vivere la propria quotidianità in un mondo diverso da quello in cui è nata e cresciuta, potendo capire, attraverso le sue esperienze, quanto sia difficile la vita di chi si trova da un giorno all’altro immerso da capo a piedi in una realtà sconosciuta

  • L’avvento dell’era tecnologica ha sicuramente facilitato le comunicazioni, anche se le ha rese più superficiali, forse proprio a causa dell’immediatezza con cui si può raggiungere chiunque. Nel passato, invece, l’energia spesa nel poter mantenere un rapporto a distanza demoralizzava, automaticamente, chiunque non fosse seriamente disposto a mantenere vivo tale rapporto. Cosa ne pensi di questo progresso e di questi “rapporti virtuali”?

Si tratta di un altro tema centrale del mio romanzo, perché in esso propongo un confronto diretto fra l’uso delle lettere scritte e quello degli odierni mezzi informatici. Ovviamente si parla di due modi totalmente diversi di relazionarsi, con la bilancia totalmente a favore della tecnologia attuale. Tuttavia, nel valutare un rapporto a distanza, occorre sempre tener conto dell’inevitabile distacco fisico, che non differenzia per nulla un rapporto epistolare da una video chiamata effettuata davanti a una webcam. Nel mio romanzo esprimo questa difficoltà quando descrivo i due protagonisti della mia storia di fronte al ritorno del contatto quotidiano tramite computer dopo essersi incontrati di persona in Giappone e aver stabilito un contatto fisico. Si ritrovano tristi, lontani e separati senza poterci fare nulla, rendendosi conto che il loro rapporto è totalmente diverso da com’era prima dell’incontro reale.

  • Quando Valerio non scrive, come occupa il proprio tempo?

Siccome scrivo per hobby, la maggior parte del restante tempo la dedico al lavoro e alla famiglia. Quando posso mi dedico alle escursioni in montagna e alla mountain bike, che tuttavia richiede un allenamento tale che al momento non mi posso permettere, essenzialmente per ragioni di tempo

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Vorrei cimentarmi in generi letterari diversi fra loro, anche se credo che per un autore l’ideale sia farsi conoscere in un preciso ambito e continuare a scrivere sempre all’interno di una medesima categoria per non spiazzare i lettori faticosamente guadagnati. Purtroppo non è il mio caso perché sotto quest’aspetto sono un istintivo e seguo unicamente l’ispirazione del momento. Non credo neppure di essere in grado di scrivere il sequel di un mio romanzo, perché mi annoierebbe.
Ritengo sia invece una sfida importante quella di creare storie con protagonisti lontani dalla propria identità, soprattutto di genere. Alcuni lettori mi hanno detto che i miei personaggi femminili sono molto vivi e reali. Lo ritengo un apprezzamento importante, perché la cosa più difficile per un autore credo sia quella di dar vita ad un personaggio molto distante da se stesso. Adesso sto scrivendo un noir sentimentale in cui la protagonista è una quattordicenne che vive in una realtà fatta di continue violenze fisiche e psicologiche. Non sono sicuro di farcela, ma nessuno mi vieta di provare e la cosa mi stimola moltissimo. Sono curioso di vedere che cosa riuscirò a creare.

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I numeri dell’orrore

Una realtà che fa paura.

I numeri dell'orrore

Pedofilia, furto di organi, tratta dei minori. Problemi scottanti e di cui si parla troppo poco, forse perché troppo dolorosi da affrontare, forse perché fanno veramente tanta paura. Pensare di ignorarli però non è assolutamente utile per trovare una soluzione. Irma Panova Maino ne ha parlato, con il suo stile personale, nel libro “La resa degli innocenti” e per fare questo ha svolto delle ricerche documentandosi su quelli che sono i numeri dell’orrore. Cifre spaventose che riguardano il problema della sparizione dei minori, bambini che non tornano più a casa e di cui non si sa più niente. In questo articolo ci illustra le cifre basate sulle sue ultime ricerche.

Irma Panova Maino ha pubblicato con EEE: Scintilla vitale, Il gioco del demone, Le risonanze della folgore, La resa degli innocenti

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di Irma Panova Maino

“Se perdete un coniuge diventate vedovi, se perdete i genitori diventati orfani, ma se perdete un figlio, cosa diventate?”

Con questa introduzione parte un nuovo serial televisivo francese incentrato proprio su un tema che mi sta molto a cuore: le sparizioni dei minori.
Se in Francia ne spariscono quasi 1800 all’anno (di cui molti non vengono ritrovati) L’Italia non è sicuramente da meno.
Che fine hanno fatto Angela Celentano o Denise Pipitone?
Se nel mondo si contano quasi 8 milioni di sparizioni, in Europa ogni due minuti un bambino svanisce nel nulla e se pensate che queste cifre siano esagerate o spaventose, considerate che non tutte le scomparse vengono effettivamente denunciate. Non per il fatto che i genitori preferiscano nascondere l’accaduto, piuttosto per l’impossibilità di gestire una determinata situazione, con la conseguente verifica da parte delle Forze dell’Ordine o degli Enti preposti, nei casi in cui sono coinvolti extracomunitari o clandestini.
Dal 1 gennaio al 31 luglio 2014, quasi 9.000 bambini sono arrivati via mare non accompagnati. Di questi solo 5600 sono stati registrati nelle 1073599_45550087strutture di accoglienza, degli altri non si sa più nulla. Tuttavia, su un totale di quasi 15.000 bambini clandestini, non sempre coloro che li accompagnano sono realmente i genitori e l’impossibilità di stabilire con certezza l’identità, sia degli adulti che dei minori, rende il dato statistico alquanto aleatorio. Forse potremmo pensare che, essendo stranieri, la cosa non ci riguarda. Forse potremmo sentirci sollevati dal fatto che la questione non coinvolge i nostri figli, i quali dormono sonni tranquilli e sono assiduamente controllati dai genitori. Ebbene, se la pensate in questo modo, vi state decisamente sbagliando. I numeri dell’orrore italiani non sono dissimili da quelli francesi (o di quelli di qualsiasi altro paese del mondo) e solo di una piccola parte si sa che fine abbia fatto.
Il Lazio detiene il triste primato di cui stiamo parlando, seguito a ruota da Lombardia e Sicilia.
Per quanto si possa dire che dei tanti allontanamenti da casa molti si risolvono con il ritrovamento o il ritorno della prole, non si possono ignorare tutti quei casi in cui, pur restando sotto l’egida dell’apparente sicurezza domestica, i ragazzi vengono comunque invischiati in situazioni scabrose e pericolose. Circostanze non sempre a lieto fine che, spesso, segnano a vita i minori implicati.
È di marzo il fatto di cronaca che ha visto come protagonista una sedicenne desiderosa di intraprendere una carriera come modella. Adescata su un social network, è stata blandita e convinta a posare per foto via via sempre più hard. Alla fine i genitori si sono accorti delle anomalie comportamentali della figlia e hanno denunciato quanto stava succedendo. L’indagine della polizia di Genova, ha interessato 6 province del nord e centro Italia (Genova, Savona, Alessandria, Milano, Brescia e Roma) e fino a ora ha portato a 5 arresti per violenza sessuale su minori, divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico.
Come potete vedere, in questo caso la ragazza non è sparita, ma possiamo davvero dire che non ci saranno conseguenze e ripercussioni? Certo, la giovane è stata fortunata e i genitori sono intervenuti per tempo, ma quante volte accade che la fortuna assista gli ingenui? Quanti sono i casi in cui non c’è stato tempo e la tragedia alla fine si è consumata. Pensate di conoscere i vostri figli, di sapere chi frequentano e chi cerca di adescarli sui social?
Vedo una marea di ragazzine posare in atteggiamenti di cattivo gusto, persino espliciti. Minorenni che mostrano boccucce provocanti, indossando abiti che nemmeno la prostituta di un bordello oserebbe mettere… e mi chiedo: “Ma i genitori dove sono? Dove guardano?”
Per non parlare poi delle fanciulle, che frequentano le medie inferiori, che vanno a scuola abbigliandosi in modi decisamente inopportuni, dato il luogo che dovrebbero frequentare per istruire il cervello e non per esporre la carne.
Eppure, se questa gioventù è decisamente a rischio, un po’ per la superficialità data proprio dall’età, un po’ per la noncuranza di noi adulti, dall’altra parte esiste un sottobosco criminale sempre più vasto e sempre più sfrontato. Complice anche il fatto che l’Italia non è fra i paesi più organizzati nella lotta contro questo genere di criminalità Molto si sta facendo ma siamo ancora lontani dall’aver risolto il problema. Quindi sta a noi, a noi che viviamo a contatto con questi ragazzi, aiutarli e proteggerli, anche se non sono i nostri. Perché sono loro il futuro del mondo, la nostra eredità e il nostro lascito.

1049880_73189252Il 25 maggio verrà celebrata la Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi. Questa commemorazione è nata per ricordare la scomparsa di Ethan Patz, rapito a New York il 25 maggio 1979, e anche per voler sensibilizzare l’opinione pubblica in merito a un problema che mina, in modo allarmante, tutto il nostro futuro.
Non dimentichiamoci che molti dei bambini scomparsi in epoche meno recenti, se ancora vivi, ora potrebbero essere diventati adulti e tale condizione fa decadere automaticamente qualsiasi ulteriore tentativo di ricerca. Tuttavia, il fatto che siano maggiorenni, li rende meno vittime innocenti?

Scrivere libri per ragazzi: Nicoletta Parigini

Scrivere libri per ragazzi: Nicoletta Parigini

Scrivere libri per ragazzi non è diverso da scrivere un libro per adulti: sincerità, attenzione, credibilità, responsabilità. Questi gli ingredienti usati da Nicoletta Parigini quando scrive i suoi libri per un target giovane e in crescita. Occorre però non far mancare stimoli che possano aiutare lo sviluppo dei lettori in erba. Scrivere libri per ragazzi è un talento istintivo.

Nicoletta Parigini, nata nel 1978, vive in Veneto con il marito e le figlie. È laureata in Storia dell’Arte e haAgata e il segreto delle scarpette di Nicoletta Parigini esercitato l’attività di restauratrice di opere d’arte.
Lettrice da sempre, da qualche anno è approdata alla scrittura e nel 2012 ha pubblicato due romanzi per ragazzi Agata e il segreto delle scarpette tecnomagiche e Agata e il manoscritto di Melchiorre con Editrice Esordienti Ebook, disponibili in questo Catalogo. Per i ragazzi ha scritto anche un romanzo fantasy Nina Tempesta e il signor Schmitt, vincitore del Premio Streghe Vampiri e co., che sarà presto pubblicato da Giovane Holden Editore.
La centunesima infelice è il suo primo romanzo dedicato a un pubblico adulto.

  • Come si scrive per i giovani?

Per quanto mi riguarda, esattamente allo stesso modo con cui si scrive per gli adulti: con sincerità, attenzione, credibilità, responsabilità. Un buon libro, a mio parere, possiede sempre questi requisiti a prescindere dal target. E l’impegno che l’autore dovrà profondere per portare a termine la sua opera sarà lo stesso. Scrivere per i ragazzi non significa prendere una strada più semplice, significa scegliere un percorso peculiare.

  • Come si sceglie una particolare tematica?

La scelta dipende prima di tutto dalla fascia d’età. La letteratura lascia un segno nel lettore sensibile e lo scrittore deve sempre tenerlo a mente.  Perciò, a mio avviso, oltre all’esclusione della violenza gratuita e dell’erotismo, bisogna fare attenzione anche a quello che il testo sottintende e a tutto ciò che può risultare ambiguo e ingenerare confusione nel lettore, soprattutto se la fascia di lettori a cui è dedicato il libro è quella dei piccoli.

  • Quali sono le maggiori difficoltà che si riscontrano?

Ammorbidire certi spigoli mantenendo la propria personalità. I giovani lettori hanno bisogno di crescere e la letteratura può aiutarli in questo: se è tutto troppo “facile”, non c’è stimolo. È come servire la pappa frullata a chi può addentare una bistecca.
Ciò vale, a mio parere, anche per quanto riguarda il linguaggio. Scrivere senza semplificare troppo il lessico significa fornire ai ragazzi un’occasione per ampliare le loro conoscenze linguistiche.

  • Perché scegliere di scrivere proprio per i giovani?

Perché ogni scrittore ha il proprio talento naturale. Il proprio linguaggio, le capacità che lo contraddistinguono. E scrivere per ragazzi -invece che per adulti- è uno degli aspetti con cui talento, linguaggio e capacità si manifestano.
Dunque, a mio parere, più che scelta è istinto. Propensione. Sfruttare questo istinto rendendosene consapevoli, è un passo successivo.

 

 

Scrivere libri per ragazzi: Claudio Oliva

Scrivere libri per ragazzi: Claudio Oliva.

Lo scrittore che decide di scrivere per questa fascia di pubblico sicuramente affronta problematiche diverse da quelle che normalmente affliggono gli altri autori. Forse perché il campo è più difficile e il linguaggio deve poter essere facilmente comprensibile dai giovani lettori. Tuttavia, sono i contenuti quelli che maggiormente rappresentano gli scogli più difficili da superare.

cover_blumEEEClaudio Oliva, nasce a Torino nel Febbraio del 1963.
Ha iniziato con lo scrivere un racconto per i bimbi delle scuole elementari del paese, poi per gioco e per provocare la fantasia dei due figli, ormai adolescenti, inizia a sfornare dei racconti che racchiudono gli insegnamenti positivi e negativi, ricevuti da persone appartenenti a disparate etnie, religioni e costumi che ha incontrato nella vita.
Ha già pubblicato due raccolte di racconti e Il sogno segreto di Zekharia Blum è il suo primo romanzo.

All’autore abbiamo posto alcune domande in merito alle difficoltà riscontrate nello scrivere un libro per ragazzi.

  • Come si scrive per i giovani?

Cercando di utilizzare un lessico scevro da termini volgari: il buon esempio credo sia la migliore medicina per qualsiasi insegnamento. Ancora oggi se scappa una parola fuori luogo ai miei due figli, che pur posseggono 15 e 19 anni di età, li osservo torvo ed essi comprendono che non è gradito.
Possibilmente utilizzando frasi brevi sino a giungere a una frase o un periodo più esteso, ad effetto, cioè con un contenuto emozionale più ricco e interessante.

  • Come si sceglie una particolare tematica?

Osservando ciò che accade intorno a noi. Nel mio caso, con due figli adolescenti o che stanno uscendo da questo periodo bello ma travagliato, anche sviscerando tematiche che si presentano di volta in volta, di momento in momento. I giornali, telegiornali, il web è denso di tematiche e problemi dei ragazzi che gli adulti e i genitori cercano in qualche modo di ignorare, evitare o peggio demandare ad altri. Non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Rimane fermo che nell’affrontare qualsiasi problema è assolutamente necessario trasmettere positività al lettore. Ed è ciò che realmente penso, anche per esperienza vissuta: vi è sempre una soluzione, a qualsiasi problema. L’importante è affrontarlo con determinazione e ingegno.

  • Quali sono le maggiori difficoltà che si riscontrano?

Non credo sia poi così difficile parlare con i ragazzi. L’importante è creare un filo di comunicazione, giungere a ottenere la loro attenzione. In realtà per me sono i primi tentativi e le prime esperienze a un certo livello. Sino a oggi posso dire di essere soddisfatto, domani si vedrà.

  • Perché scegliere di scrivere proprio per i giovani?

Due figli adolescenti. La causa scatenante è stata questa. Il voler trasmettere valori, consigli, esperienze. Chiacchierare con ragazzi e ragazze, amici dei miei due figli, mi è servito soprattutto a capire che potevo attrarre la loro attenzione. Far leggere i miei scritti ha portato a comprendere che potevano interessare. La fantasia è sempre ben accetta tra i giovani. Prova ne è il successo di alcune pellicole cinematografiche “fantasy” che portano sempre e comunque a un positivo e sereno finale della storia. La ricerca del bene che trionfa attraverso sacrifici e fatiche: è una storia che si ripete continuamente nei nostri animi ed essi ne rimangono sempre attratti.

Libri per ragazzi

I libri per ragazzi nel catalogo EEE.

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Le letture per i ragazzi sono spesso sottovalutate, eppure, è proprio da giovani che si sviluppa l’amore per la lettura, per gli scenari fantastici che portano a sognare, che trasportano in mondi lontani e fanno vivere da eroi le trame più affascinanti. Chi non ricorda Salgari? Tuttavia, senza andare troppo nel fantastico, sono diverse le letture che ci sono state consigliate quando eravamo adolescenti e quando le nostre menti, ancora fresche e curiose, erano pronte ad assimilare testi anche più impegnativi. Il panorama odierno, oltre alla saga di Harry Potter, pare essersi dimenticato di questa fascia di lettori, forse perché gli stessi sono meno spronati alla lettura e troppo distratti da altre attività, forse anche meno educative. Ciò nonostante, noi ancora crediamo che possano esistere libri per ragazzi di buona qualità e scrittori che sentano la necessità di poter comunicare con i giovani, attraverso storie moderne in grado di rispecchiarli e che possano raccontare le loro vicissitudini, a volte anche rocambolesche, senza mai perdere di vista la società odierna.

Quindi il catalogo EEE propone i propri titoli, dedicati appunto ai giovani, in promozione a partire proprio da questa settimana. Da Nicoletta Parigini a Claudio Oliva, passando attraverso Cinzia Morea, Beppe Forti e Caterina Peschiera.

Il sogno segreto di Zekharia Blum di Claudio Oliva
Costantino al festival delle nuvole di Cinzia Morea
A scuola di futuro di Caterina Peschiera
Fuga da Raggiropoli di Caterina Peschiera
Quasi sedici! di Beppe Forti
Pacific Vortex di Caterina Peschiera
Viaggio in camper di Caterina Peschiera
Agata e il manoscritto di Melchiorre di Nicoletta Parigini
Agata e il segreto delle scarpette tecnomagiche di Nicoletta Parigini

 

La Sardegna è protagonista

La Sardegna è protagonista nei due nuovi romanzi EEE.

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Sono stati pubblicati in questi giorni altri due romanzi EEE: Il fiordaliso spinoso di Marina Atzori e Il Sogno della Farfalla di Claudio M. Entrambi i libri sono vincitori del concorso Romantico contemporaneo, rispettivamente al primo e al secondo posto, entrambi sono ambientati in Sardegna ed entrambi raccontano i sentimenti in modo attuale, niente affatto scontato.

Marina Atzori è al suo secondo libro. Il primo, Il mare non serve, ho scelto una margherita, rappresenta il suo desiderio di rinascita e di apertura verso il mondo esterno. Con questa sua nuova opera, vincitrice del concorso EEE, conferma la sua dote di saper scrivere di sentimenti riuscendo a metterli sotto nuova luce.

Fiordaliso_cover_EEELa trama:

Petronilla, quarantenne single nata in Sardegna ma residente in Liguria, decide di trascorrere una decina di giorni di vacanza nella sua terra d’origine: sarà un modo per partire alla ricerca di se stessa, con lo spirito di una ragazzina che si addentra in una favola. Il principe azzurro c’è, anche se forse di un azzurro un po’ appannato; la fata madrina c’è pure lei, però rappresentata da uno Zio affezionato, e c’è anche una centenaria e bizzarra tartaruga di nome Zippo. Una scrittura poetica e leggera, coinvolgente per noi lettori, chiamati a entrare a piè pari nella storia, perché la ricerca di noi stessi, della nostra identità e di un amore sincero che dia senso alla nostra vita è un bisogno per tutti.

Claudio M. non è propriamente un esordiente, al suo attivo esiste già una pubblicazione. Il Sogno della Farfalla segna una svolta, un modo per esprimere le proprie esperienze personali lasciando che sia però la fantasia a fare da condimento principale. Giunto secondo nel concorso EEE per il Romantico contemporaneo, Claudio dimostra che anche un uomo può parlare di sentimenti, facendolo ovviamente a modo proprio.

Cover_farfallaEEEcon_bandaLa trama:

Sardegna, fine settembre; tempo di vacanze solitarie per il protagonista, uno scrittore cinico e disilluso, che cerca l’ispirazione per un nuovo romanzo. Un giorno, dopo essersi appisolato su una spiaggetta isolata, vede una bella ragazza arrivare dal mare stremata, dopo una lunga nuotata. È l’inizio di una storia che dura pochi giorni, come la vita della farfalla di cui la ragazza porta il nome. Una farfalla che ha un segreto. E il protagonista troverà molto di più di una semplice storia da raccontare.