Era una cortigiana poverissima, ma morì ricca e col titolo di contessa: ecco la storia di Valtesse De La Bigne

Era una cortigiana poverissima, ma morì ricca e col titolo di contessa: ecco la storia di Valtesse De La Bigne

Alla fine dell’Ottocento guadagnarsi da vivere prostituendosi era, purtroppo, una pratica ancora ampiamente diffusa un po’ in tutta Europa.
Molte donne, introdotte nei bordelli in giovanissima età, se non addirittura nate in uno di essi, vedevano questa prospettiva come naturale e inevitabile, ma alcune di esse la sfruttarono per elevarsi in qualche modo dalla condizione di prostitute a quella di cortigiane e in alcuni casi riuscendo a ottenere una posizione di potere, proprio come accadde alla contessa Valtesse de La Bigne.

Valtesse de La Bigne nacque a Parigi nel luglio 1848 col nome di Émilie-Louise Delabigne…

Émilie-Louise venne al mondo in una famiglia proveniente dalla Normandia in cui il padre era un uomo alcolizzato e violento e la madre si era data alla prostituzione dopo un iniziale periodo come lavandaia. Iniziò a lavorare all’età di dieci anni e a tredici fu vittima di violenza sessuale: poco dopo iniziava la sua vita di lorette, ossia quella di prostituta clandestina.

A questa attività, però, Émilie-Louise affiancava quella di commessa e fu prestando servizio in un negozio di lingerie elegante che entrò in contatto col mondo degli alti ufficiali militari e a sognare un futuro migliore per se stessa.

 

Ancora giovanissima, s’innamorò di uno dei gentiluomini che frequentavano il negozio, Richard Fossey, dal quale ebbe due figlie ma che l’abbandonò due anni dopo senza aver contratto matrimonio. Da qual momento Émilie-Louise decise che non si sarebbe mai sposata, assunse lo pseudonimo di Valtesse (per la somiglianza con Votre Altesse) e decise che avrebbe risollevato le sue sorti senza affidarsi all’istituzione del matrimonio.

Attorno al 1855 fu amante del compositore Jacques Offenbach, che non solo la fece partecipare ad alcune delle operette teatrali che mise in scena a Parigi, ma la introdusse a una cerchia di intellettuali dell’epoca che permisero a Louise Valtesse di conoscere personaggi come Zola, Maupassant, Manet e Flaubert, solo per citare i più noti; pensate che il suo letto (foto) fu quello che ispirò quelli descritti da Zola nel suo romanzo Nanà.

continua su: Era Una Cortigiana Poverissima, Ma Morì Ricca E Col Titolo Di Contessa: Ecco La Storia Di Valtesse De La Bigne – Curioctopus.it

Lo Strega è tornato un premio letterario, ma tranquilli vince sempre Mondadori

Lo Strega è tornato un premio letterario, ma tranquilli vince sempre Mondadori

La dozzina semifinalista del premio letterario più importante d’Italia, la prima composta secondo le nuove regole, è sorprendente sotto molti punti di vista, ma rischia di essere ancora più scontato del solito

Nessuno, o quasi, dei nomi fa parte dei soliti potentati; molti libri sono di case editrici indipendenti; un libro è addirittura una raccolta di racconti; per la prima volta, o quasi, c’è una parità assoluta tra uomini e donne; e ancora, da ultimo, la quasi totalità delle autrici e degli autori proposti sono sconosciuti al grande pubblico. Insomma, quando giovedì 19 aprile sono stati comunicati i 12 semifinalisti della edizione 2018 del Premio Strega, in molti tra i commentatori devono essersi strofinati gli occhi, come davanti a un miraggio, a un sogno diventato realtà del tutto inaspettatamente.

Il tavolo che ha imbandito il Comitato direttivo del Premio, forte delle nuove regole che hanno accentrato il potere su di loro togliendone, e tanto, agli Amici della Domenica e di conseguenza anche alle potenzialità strategica delle case editrici, è un tavolo che in pochi si sarebbero aspettati, talmente noioso e privo di potenziali ganci polemici che non sono pochi quelli che lo preferivano prima, quando ci si poteva scannare sulle polemiche e si potevano lasciare da parte i libri.

Ora invece no. Perché i 12 sono stati scelti e ora per poter far finta di saperne qualcosa toccherebbe leggerli. O forse no, perché l’operazione di rinnovo del premio resta in realtà un’operazione soltanto di facciata, che, togliendo potere ai medi editori ne ha ridistribuito un pochino, almeno in apparenza, alle piccole, riveste di nuovo il premio più importante d’Italia di una patina culturale, ma contemporaneamente lo rende ancora più scontato del solito.

continua su: Lo Strega è tornato un premio letterario, ma tranquilli vince sempre Mondadori – Linkiesta.it

Le parole inventate, bizzarre e assurde, del latino moderno del Vaticano

Le parole inventate, bizzarre e assurde, del latino moderno del Vaticano

Cambiare lingua o adeguarla ai tempi che cambiano? Per la Chiesa cattolica non c’è dubbio: la seconda. E allora fior di studiosi e specialisti si cimentano nell’invenzione in latino di parole moderne, con risultati stranissimi

“Apericena” non c’è ancora, ma ci arriveranno presto. Basta dare loro un po’ di tempo (tanto non hanno fretta: contano sull’eternità) e i lessicografi del Vaticano traducono o inventano in latino tutte le nuove parole in circolazione, per aggiornare la lingua – e, di conseguenza, la portata della religione cristiana – ai concetti della modernità.

Non è un lavoro facile ma è grazie a loro che la “colf” diventa ministra domestica, il “flirt” un amor levis e il “gol” una retis violatio. Si tratta di scegliere una parola, individuare il principale concetto sottostante e poi tentare una ridefinizione in latino, giusto per rendere l’idea. Parole nuove per concetti stranieri, più o meno come faceva Cicerone, che adorava creare e ricreare e odiava riprendere parole straniere, magari con una tinta di latino. Per cui “overdose” (che l’italiano ha ripreso paro paro dall’inglese) il latino la trasforma in immodica medicamenti stupefactivi iniectio.

Ma non è l’unica stranezza. Una parola semplice come “treno” diventa hamaxostichus, il “tè” è theāna pótio, il “caffè” cafaeum o potio cafaearia, “elettricità” diventa electrica vis, mentre il “pomodoro”, sconosciuto agli antichi, si trasforma (chissà perché) in lycopersicum. Non finisce qui: il latino moderno traduce “raccordo anulare” con orbitalis via viarum coniunctrix, il “panettone” in una impressionante Mediolanensis placenta, (il pandoro è solo panis aureus) la minigonna in una simpatica tunicula minima, il nylon è materia plastica nailonensis.

Certe cose di attualità, poi, dette in latino hanno tutta un’altra espressività. Il “neofascismo”, tanto evocato (anche troppo) nei mesi della passata campagna elettorale, per il Vaticano è renovātus fascalium motus. Appunto, motus, cioè movimento, o rivolta, rinnovati. Suona più inquietante, eh? Mentre la “’ndrangheta” è Bruttianorum praedōnum grex, cioè un gregge di predoni, pecoroni, pecoracce. Il latino, anche quando è moderno, è sempre preciso.

(Per scoprire altre parole, qui c’è tutto)

Sorgente: Le parole inventate, bizzarre e assurde, del latino moderno del Vaticano – Linkiesta.it

Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Qualche tempo fa lo statistico Ben Blatt aveva inventato un algoritmo in grado di individuare le parole preferite dai romanzieri. Un software su cui basta caricare i testi di un autore, per individuare le sue parole più utilizzate e amate. Seguendo questo esempio, il sito MyPoeticSide ha deciso di compiere la stessa operazione con i grandi della poesia.

I redattori del sito hanno analizzato il loro intero database—contenente più di 35000 poesie—e sono riusciti a individuare le parole preferite di alcuni dei poeti più importanti della storia. Da Emily Dickinson fino a William Shakespeare. Una raccolta utilissima, per analizzare in modo diverso i lavori di questi straordinari artisti. Vediamone alcuni.

Robert Frost

Buona parte della poesia di Robert Frost è incentrata sulla trasmissione della realtà rurale. Con un linguaggio colloquiale e diretto. Non sorprende, quindi, che alcune delle sue parole più utilizzate siano “albero“, “fiori“, “vento“, “uccelli” e “legno“.

Le sue poesie, inoltre, hanno spesso un tono malinconico. Il passato e i ricordi di un tempo che ormai se n’è andato sono al centro della poetica di questo autore. Nelle sue opere c’è anche un utilizzo massiccio di termini come “indietro”, e “passato“.

 

Emily Dickinson

Emily Dickinson. Via.

Visto che buona parte della produzione di Emily Dickinson è incentrata sul rapporto conflittuale fra l’uomo, la sua spiritualità e l’ineluttabilità della vita, non sorprende che tre delle parole che più utilizza siano “Dio” e “paradiso” e “morte“.

Anche la Dickinson, però, fa largo uso di termini che richiamano la Natura. Spesso per evocare stati emotivi tramite il paragone con agenti atmosferici o ambientali. Quindi nella sua poesia troviamo largo uso delle parole “cielo“, “estate“, “sole“. La parola preferita in assoluto dalla poetessa, però, è “piccolo”.

 

William Shakespeare

La passione e i sentimenti sono certamente dei temi fondamentali per i sonetti di Shakespeare—come lo sono d’altra parte per i suoi scritti teatrali. E questa tendenza si nota ovviamente anche dalle parole che sceglieva per comporre i suoi lavori. Un largo uso dei termini “bacio“, “bellezza“, “desiderio“, “lussuria“. Anche “fiore“, in questo contesto, è una parola con connotazioni amorose: è infatti il paragone preferito dallo scrittore inglese per riferirsi alla bellezza di una donna.

continua su: Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia | Hello! World

Un libro velenoso – Il Post

Un libro velenoso

È un catalogo di carte da parati vittoriane intriso di arsenico e fatto stampare da un medico dell’Ottocento per nobili ragioni

Shadows from the walls of death è un libro stampato in cento copie nel 1874, largo circa 50 centimetri e alto 70: al mondo ne sono rimaste soltanto quattro e se le toccate potreste stare molto male, se non addirittura morire. Le circa cento pagine che compongono il volume sono infatti intrise di arsenico, come chiesto dall’autore Robert M. Kedzie, un chirurgo unionista durante la guerra civile statunitense e poi professore di chimica al Michigan State Agricultural college (MSU). Kedzie aveva un buon intento: richiamare l’attenzione sulla tossicità della tappezzeria dell’epoca, che impiegava alcuni pigmenti fatti con l’arsenico, pubblicando un libro con i campioni di quelle più comuni e pericolose. Il libro, inviato a circa cento biblioteche pubbliche del Michigan, era accompagnato da un avvertimento del Consiglio per la salute dello stato, di cui Kedzie faceva parte, sui motivi della sua tossicità.

All’epoca si pensava che l’arsenico fosse tossico soltanto se ingerito: è il veleno che uccise Romeo e Giulietta e Madame Bovary, per capirci, insieme a tantissimi signori delle corte medievali e rinascimentali italiane. I sintomi da avvelenamento erano come quelli del colera ed era difficile da rintracciare, era inodore e insapore e si confondeva facilmente con lo zucchero e la farina. Nell’Ottocento l’arsenico divenne famoso come “la polvere dell’eredità”, usata per sbarazzarsi facilmente di vecchi parenti che tardavano a morire, e giornali e romanzi già dai primi anni Trenta traboccavano di storie di omicidi con l’arsenico rimasti impuniti. L’arsenico fu usato per secoli in medicina per curare malattie come la sifilide e poi in epoca vittoriana mescolato a gesso e aceto per sbiancare la pelle; la Rivoluzione industriale lo rese un prodotto di successo, economico, accessibile a tutti e impiegato per moltissimi oggetti di uso comune: candele di sego meno care di quelle di cera, veleni per vermi e topi, cialde da applicare sul viso per togliere i brufoli, e per i pigmenti verdi più brillanti e in voga all’epoca, impiegati nelle tinture dei tessuti, delle tappezzerie e dei dolcetti.

continua su: Un libro velenoso – Il Post

La brandizzazione dei libri sta massacrando il fantasy?

La brandizzazione dei libri sta massacrando il fantasy?

articolo di Alberto Grandi

Qualche giorno fa, trovandomi a Marina di Pietrasanta, bellissima località versiliese che invito tutti a visitare, sono entrato in una libreria Mondadori e mi sono recato nella sezione dedicata al fantasy. La foto sotto, mostra ciò che ho trovato: saghe in più libri, riedizioni di classici, i soliti Martins e Brooks declinati in ogni possibile versione, tascabile, non tascabile, con cover tratta dalla serie tv, con cover non tratta dalla serie tv o in edizione “sacre scritture” per i fanatici. Ovviamente, essendo la fantascienza un genere in crisi di identità, c’erano anche parecchie distopie come DivergentMetro 2033/34/35, e tanti libri ispirati a franchise cinematografici, come Star Wars.

IMG_0149

Queste opere sono identificabili per il nome della saga che le accompagna se non addirittura per una loro simbologia (sulla simbologia e la sua importanza nella letteratura di genere, vi rimandiamo a questo articolo). Sono come catene di negozi segnalate da marchi e tag precisi che promettono una serie di emozioni, personaggi, panorami, ambientazioni eccetera. Ed in effetti è questo che il mercato editoriale sta facendo attraverso la fantascienza e soprattutto il fantasy, negli ultimi tempi, sta creando non storie, ma universi. Universi possibilmente declinabili attraverso più capitoli, prequel, sequel, spin-off, riadattamenti cinematografici, videoludici e quant’altro. Letteratura “esperienziale” (come certi ristoranti spuntati come funghi a Milano in epoca Expo che propongono cibo esperienza, sulla cui qualità… sorvoliamo), non letteratura e basta. Ed è attraverso questa logica editoriale che l’America detta legge e sconfina negli altri mercati, relegando la letteratura di genere locale a un ruolo marginale o costringendo i suoi autori ad adeguarsi e a scrivere alla maniera americana.

Screen-Shot-2017-05-27-at-3.22.41-PM-1024x601

 

È un peccato perché la letteratura di genere, specie quella fantastica, in un qualche modo imparentata col fantasy, è una letteratura che, almeno in origine, attingeva dal folclore locale o da un passato territoriale ricco dove storia e leggenda si mescolano fino a confondersi. E il nostro è un Paese che in quanto a folclore e a leggende ha ben poco da invidiare agli altri. Lo sapeva Italo Calvino, che raccolse le nostre fiabe nell’antologia Fiabe italiane, lo sapeva Landolfi, scrittore che subì le suggestioni fantastiche e goticheggianti dell’Appennino centro-meridionale e della sua provincia come in Racconto d’autunno o ne Le due zittelle, lo sa bene Buzzati, forse il nostro più grande scrittore fantastico del Novecento. C’è qualche speranza in reparti librari come questo sempre più simili agli scaffali di un Blockbuster di imbattersi in un romanzo italiano fantasy o anche fantastico che non pretenda di diventare saga, quindi che abbia l’umiltà di concludersi in 200-300 pagine e, soprattutto, di raccontare una storia e non mettere in piedi un universo?

continua su: La brandizzazione dei libri sta massacrando il fantasy? – Penne Matte

Come cambia il premio Strega, spiegato

Come cambia il premio Strega, spiegato

Ci sono due modifiche al regolamento che, secondo gli organizzatori, renderanno più facile ai piccoli editori partecipare al concorso

Il 6 febbraio il comitato direttivo del premio Strega, il più importante riconoscimento letterario italiano, ha annunciato due cambiamenti nel regolamento che stabilisce come candidare i libri al premio. In breve, il primo cambiamento è che d’ora in avanti perché un libro sia candidato alla fase iniziale del concorso basterà che sia presentato da uno solo dei 400 “Amici della domenica”, cioè i membri della giuria eletti a vita, e non da due. Il secondo cambiamento è che il comitato direttivo, che da sempre ha il ruolo di scegliere tra i libri segnalati dagli Amici della domenica i dodici che poi vengono effettivamente votati dall’intera giuria, avrà la possibilità di inserire nella dozzina dei titoli non segnalati a propria discrezione.

Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci che organizza il premio, ha spiegato al sito il Libraio che le modifiche vogliono limitare il peso dell’editore, «che faceva da coordinatore tra i due presentatori» convincendoli a sponsorizzare un suo libro, e che sarà più facile anche per le case editrici più piccole partecipare al premio. Di fatto, le nuove regole cercano di limitare il controllo dei grandi editori, da tempo accusati di influenzare o comunque pesare troppo sull’esito del voto – vista anche la grande quantità di copie che vendono di solito il libro vincitore e i finalisti.

continua su: Come cambia il premio Strega, spiegato – Il Post

Cos’è il Circolo dei lettori di Torino

Cos’è il Circolo dei lettori di Torino

Ogni settimana ospita decine di eventi, gruppi di lettura e incontri con scrittori famosi, in un elegante e accogliente palazzo del centro della città

Dal 2006 c’è un posto a Torino che non è né una biblioteca né una libreria, ma in cui – dal lunedì al sabato e qualche volta anche di domenica – si parla di libri, con chi ne ha scritti e con chi li legge: è il Circolo dei lettori, fondazione della Regione Piemonte che ha la sua sede in via Bogino 9, poco distante da piazza Carlo Alberto da una parte e via Po dall’altra. Aperto da mattina a sera, organizza presentazioni di libri con scrittori italiani e stranieri, reading, gruppi di lettura, laboratori per bambini e anche viaggi letterari: è un luogo unico in Italia per il numero di attività e per il tipo di spazi che mette a disposizione. Ha anche un bar, che si chiama Barney’s, dal nome di quel Barney.

Il Circolo dei lettori, centro culturale presieduto da Luca Beatrice e diretto da Maurizia Rebola, ha preso negli anni la forma di una comunità di appassionati di storie, curiosi e critici, che dialogano e partecipano, in cui gli scrittori si avvicendano per conversare con loro, portando l’ultimo romanzo pubblicato, oppure sono protagonisti di narrazioni, reading e spettacoli, intorno a libri e autori del passato. È il caso del ciclo sugli autori russi, curato da Paolo Nori intitolato Gli inabbracciabili e di Parlando di Lolita con Stefano Benni, per esempio. Ma anche musica e canzoni sono oggetto di approfondimento, per esempio con le voci del progetto L’orecchio indiscreto, Emidio Clementi, Francesco Bianconi, Piero Pelù e Niccolò Contessa.

Come si vede nelle fotografie, il Circolo dei lettori si trova in un edificio antico: al primo piano di Palazzo Graneri della Roccia, costruito tra il 1683 e il 1702 su un progetto di Giovanni Francesco Baroncelli, assistente di Guarino Guarini. Lo spazio messo a disposizione di tutti è grande più di mille metri quadrati e occupa cinque sale, oltre al bar. I grandi lampadari, i soffitti stuccati, le cornici dorate e la carta da parati d’altri tempi, possono dare l’impressione che sia un luogo in cui andare vestiti eleganti e celebrare la solenne maestà della letteratura; ma il clima generale, la presenza di giovani che leggono, studiano o prendono un aperitivo sul lungo tavolo all’ingresso (o meglio nella Galleria), sovvertono lo scenario, insieme alla grande varietà dei temi e dei libri discussi.

Chi frequenta il Circolo dei lettori ne ha viste delle belle. La lezione di Art Spiegelman, What the %@&*! Happened to Comics?, la gentile invasione dei fan di Patti Smith, i sette giorni su Marcel Proust in occasione della Settimana proustiana, un fine settimana con Tormento, Giaime e Frankie hi-nrg mc protagonisti di Rap. Potere alla parola. Chi frequenta il Circolo dei Lettori si è goduto lo scrittore Richard Mason e la sua interpretazione di Chopin al pianoforte, non ha potuto fotografare Don DeLillo ma l’ha ascoltato attento, ha fatto le 4 del mattino con Zerocalcare per un disegnetto, ha incontrato Salman Rushdie, Niccolò Ammaniti, José Saramago, Elizabeth Strout, Alessandro Baricco, Jonathan Safran Foer, Catherine Dunne, incontrerà Jennifer Egan, Nicole Krauss, Nathan Englander. E tanti altri, per centocinquanta volte ogni mese, perché il Circolo dei lettori è una specie di festival letterario permanente. L’idea è che alla fine di ogni incontro ognuno sia più ricco: di nessi, collegamenti, relazioni sia umane che di senso.

Gli eventi organizzati sono aperti al pubblico e gratuiti, mentre alcuni spettacoli, i gruppi di lettura e i corsi sono a pagamento. È possibile sostenere il Circolo dei lettori acquistando la carta Smart (20 euro, 10 per chi ha meno di 30 anni), che garantisce sconti su alcuni eventi con biglietto e incontri in esclusiva, oppure con la carta Plus (90 euro, 45 per chi ha meno di 30 anni), che garantisce gli stessi vantaggi della Smart oltre alla possibilità di frequentare i gruppi di lettura e di prenotare un posto agli eventi con maggiore richiesta.

continua su: Cos’è il Circolo dei lettori di Torino – Il Post

Nasce Hoppípolla, la cultura indipendente a domicilio

Nasce Hoppípolla, la cultura indipendente a domicilio

Hoppípolla è una coloratissima scatola contenete vari progetti di cultura indipendente e consegnata ogni mese a domicilio.

di Redazione Cultora

Quattro ragazzi italiani hanno dato vita a Hoppípolla, un innovativo progetto di cultura indipendente. Ogni mese sarà possibile ricevere a casa propria una coloratissima scatola a sorpresa contenente musica, design, arte e piccola editoria.

Gli ideatori sono giovani italiani con provenienza ed esperienze lavorative molto diverse. Sono Paola Tartaglino, blogger e storica dell’arte che vive a Torino, Francesco Rellini, romano che si occupa della parte commerciale, del marketing e del business development, Nicola Minerva e Simona Basilavecchia, ingegnere e fotografa di Pescara. I quattro, privi di un luogo fisico per incontrarsi, hanno ideato il progetto utilizzando tutti i sistemi tipici dell’epoca dei social network con una sorta di coworking a distanza. Il progetto è totalmente italiano ma ha un curioso nome islandese che richiama la celebre canzone dei Sigur Rós. Hoppípolla, intraducibile in italiano, significa infatti “saltare nelle pozzanghere” e si riferisce a quello che pare essere uno dei giochi preferiti dai bambini islandesi, semplice e divertente. “Ci è subito piaciuto il significato di questa parola,” hanno dichiarato gli ideatori del progetto “perché il senso di sorpresa che vogliamo trasmettere con Hoppípolla è lo stesso: solo che da adulti non è più sufficiente saltare in una pozzanghera, per meravigliarsi.”

Lo scopo infatti è proprio quello di creare stupore in chi riceve la scatola, all’interno della quale si potranno trovare ogni mese progetti indipendenti, coraggiosi e differenti: un oggetto di design, una pubblicazione editoriale, un suggerimento per scoprire un gruppo musicale, un prodotto illustrato e un’ulteriore piccola sorpresa. Ma si può decidere di non essere solo fruitori: è possibile infatti partecipare attivamente proponendo un proprio progetto semplicemente compilando un form informativo.

Per ricevere la scatola è sufficiente andare sul sito di Hoppípolla e sottoscrivere o regalare un abbonamento da tre, sei o dodici mesi a meno di un euro al giorno. Si può anche chiedere di ricevere solo la scatola del mese corrente e lasciarsi così sorprendere dai progetti proposti, frutto sempre di una ricerca che richiede tempo, costanza e competenza. Per questo Hoppípolla si rivolge ad un pubblico di appassionati di cultura indipendente, sempre alla ricerca di nuovi stimoli e suggestioni intellettuali ma a volte con troppo poco tempo a disposizione.

In quella di gennaio, ad esempio, si potevano trovare i fantasmi in ceramica di Arhoj, realizzati a mano nel laboratorio di Copenhagen, il fumetto “E così conoscerai l’universo e gli dei” del canadese Jesse Jacobs (Eris edizioni), una playlist speciale composta in esclusiva da Altalena fanzine e una spilla smaltata disegnata da Fatomale e prodotta in un laboratorio torinese. In più, la sorpresa nella sorpresa: un ritratto dell’artista Alessandro Pautasso, famoso per i suoi quadri multicolore. E infine, acquistabile anche separatamente, era disponibile la nuova edizione Minimum fax di “L’Egoismo è inutile. Elogio della gentilezza” di George Saunders. Sembra infatti che, a partire da marzo, la casa editrice romana lancerà la sua nuova collana di Classici italiani proprio in anteprima nella scatola Hoppipolla.

Sorgente: Nasce Hoppípolla, la cultura indipendente a domicilio   – Cultora, Cultora

I National Book Awards, importanti premi letterari americani, saranno assegnati anche ai libri tradotti

I National Book Awards, importanti premi letterari americani, saranno assegnati anche ai libri tradotti

Da quest’anno tra i National Book Awards, che insieme ai Pulitzer sono i più importanti premi letterari americani, ci sarà un premio per un’opera di narrativa o di saggistica tradotta in inglese da altre lingue e pubblicata negli Stati Uniti. Il premio sarà assegnato sia all’autore che al traduttore, come accade già per un altro rilevante premio letterario, questa volta britannico, il Man Booker International. Potranno partecipare alla selezione solo libri scritti non in inglese e da autori viventi. I prossimi National Book Awards saranno assegnati nel novembre 2018.

I National Book Awards esistono dal 1950 per «celebrare il meglio della letteratura americana». Negli anni le categorie sono aumentate più volte: prima di quest’ultima aggiunta, veniva premiata la narrativa, la saggistica,  la poesia e la letteratura per ragazzi. Ci sono anche due premi alla carriera, la Medal for Distinguished Contribution to American Letters e il Literarian Award for Outstanding Service to the American Literary Community: la prima viene assegnata a un autore che si è distinto per la sua opera letteraria nella sua completezza (nel 2017 è stata data ad Annie Proulx, l’autrice di I segreti di Brokeback Mountain), il secondo a chi con il suo lavoro ha contribuito alla diffusione della cultura letteraria negli Stati Uniti.

Sorgente: I National Book Awards, importanti premi letterari americani, saranno assegnati anche ai libri tradotti – Il Post