Bruno Bruni e il valore terapeutico della scrittura

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Bruno Bruni e il valore terapeutico della scrittura

di Bruno Bruni

Non sono un uomo eccessivamente tormentato. Sono pigro, poco socievole e probabilmente molti mi trovano noioso. Non ho mai pensato che “Artista” voglia dire per forza Genio e sregolatezza. Mi pare sia un luogo comune. Certo, Hemingway prosciugava intere cantine, come Modigliani e Utrillo. Per non parlare di musicisti e attori fatti e strafatti. Personalmente mi piace di più pensare a Borges, tranquillo direttore di Biblioteca e professore di Inglese, oppure a Tolkien, ancor più tranquillo e metodico professore di Filologia nella tranquillissima e noiosissima Inghilterra anni 50. Entrambi creatori di Capolavori. Forse alcuni scrivono per compensare un malessere interiore. Per rivalsa contro il mondo che li ignora. A me non dispiace affatto essere ignorato. Io scrivo per sognare. Da bambino sognavo ad occhi aperti, e mi credevano un tantino scemo, penso…

Poi ho scoperto i libri, e allora sognavo leggendo di continuo, e così tutti si sono convinti che fossi scemo davvero. Uno chiuso a leggere, invece di andare fuori a giocare a pallone… Ma per me la cosiddetta Realtà è sempre stata evanescente. Magari invadente, a volte molesta. Il sogno è quello che dà sapore alla vita, per me.

Tanto per non citare il solito Borges, probabilmente, come un suo personaggio “Soffro d’irrealtà”. Inoltre, negli anni ho letto un bel po’ di libri e quelli memorabili non sono infiniti.

E ancora, io stesso invecchiando divento sempre più esigente e le storie banali o mal fatte non mi soddisfano più. Ecco che allora ho deciso di fabbricarmi da solo i miei sogni. Così ho cominciato a scrivere. Sono come un drogato che si fabbrica “La roba” in casa… Che altro dire?

Scrivere è faticoso e spesso poco gratificante, in confronto all’impegno profuso. Eppure, ne vale la pena. Non fosse che per un semplice motivo: magari è difficile, o improbabile, eppure può succedere che a qualcuno piaccia quello che ho scritto. Ed ecco che allora avviene un piccolo miracolo. Ho scritto un sogno che mi ha reso felice e qualcuno, magari uno sconosciuto, ha condiviso il mio sogno ed è stato felice a sua volta. Credo di non poter chiedere niente di meglio, davvero.

Perché scrivere

Scrivere è vivere, per chi ha la sfortuna ed il massimo privilegio di volerlo fare

di Bruno Bruni

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Secondo il “Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2014” presentato all’Aie in occasione della Buchmesse di Francoforte, nel 2013 in Italia sono stati pubblicati 30.382 ebook che hanno inciso il 3% del mercato editoriale, con una disponibilità di ebook in commercio che ha superato i 100mila titoli (100.524 per la precisione).

Non sono un fanatico delle statistiche, ma questi dati mi hanno colpito. Escludendo manuali e testi scolastici, rimangono comunque sul mercato diverse migliaia di romanzi. Non entro nel merito di quanti facciano parte del self-publishing, fenomeno in crescita negli ultimi anni. Sono comunque tanti, tantissimi se consideriamo che in Italia si legge poco. Ancora il rapporto sullo stato dell’editoria 2014 di AIE ha rivelato che il bacino dei lettori nel 2013 si è ristretto del 6,1% (leggono almeno un libro in un anno solo 43 italiani su 100) Allora, in questo oceano di titoli, quante sono le possibilità di essere conosciuto per un autore esordiente? Meglio, un autore che potremmo definire Indie, con un termine rubato alla musica, può sperare di emergere, in qualche modo?

Il pensiero è vagamente disperante. Al meglio, il nostro scrittore Indie può aspirare ad un pubblico di nicchia. No, no, non sto facendo il disfattista a tutti i costi. Il punto che mi interessa è un altro. Escludendo i megalomani e gli illusi, che saranno comunque convinti di essere geni incompresi, la grande maggioranza di autori è composta da persone intelligenti e ragionevoli, consapevoli che da queste parti diventare scrittori noti è molto difficile, quasi come vincere un terno al Lotto. È un’attività faticosa mentalmente ma anche fisicamente e dagli esiti per nulla scontati. Allora, perché scrivere? Anzi, visto che nel mucchio c’è anche il sottoscritto, perché scriviamo?

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Sergio Endrigo

Tenterò di rispondere a titolo personale, sperando di interpretare, in qualche modo, un pensiero condiviso almeno in parte dalla categoria dei raccontatori di storie. Voglio aiutarmi citando frammenti di testi che per me sono stati in qualche modo illuminanti, magari non subito, letti e archiviati sul momento in quel grande deposito che è in fondo alla nostra mente e poi riemersi, in tempi diversi, ma improvvisamente chiari come risposta a vecchie domande. Inizio con una vecchia canzone di Sergio Endrigo. Cantautore oggi un poco dimenticato, autore di testi in apparenza semplici, quasi scarni ma essenziali e profondi.

“C’è gente che ha avuto mille cose
Tutto il bene, tutto il male del mondo
Io ho avuto solo te
E non ti perderò, non ti lascerò
Per cercare nuove avventure”

Endrigo parla dell’unico amore, quello capace di riempire anche la vita più povera e solitaria. Può essere amore per una persona, nel caso di questa canzone, ma in fondo anche per una religione, per una ideologia, perché no, per un animale domestico, comunque amore che dà, che trascende il quotidiano. E chi scrive ama. Ama la storia, i personaggi. Si cala in un altro mondo e dimentica, per un momento, l’attimo presente. A me succede esattamente così e credo di non essere l’unico a provare una sensazione simile. Certo, si può scrivere per puro mestiere, per denaro… e allora non sarà la stessa cosa. Forse noi autori Indie non siamo avvezzi alla scrittura professionale, forse Stephen King scrive pensando agli incassi. Ma io non penso sia così neppure per lui.

Sarò un romantico, ma sono convinto che scrivere sia quasi sempre un atto d’amore. E forse anche qualcosa di più complesso, secondo Borges. Scrittore che mi colpì molto fin dalla prima lettura, così cerebrale e logico, ma anche appassionato e mistico. Borges in “Altre Inquisizioni“, in uno dei suoi tipici salti mortali fatti di parole, cita Shelley il quale:

“Venti anni prima aveva opinato che tutti i poemi del passato, del presente e dell’avvenire, sono episodi o frammenti d’un solo poema infinito, composto da tutti i poeti del mondo.”

Jorges Luis Borges nel 1951, foto di Grete Stern

Jorges Luis Borges nel 1951, foto di Grete Stern

L’idea del libro Universale è assai intrigante, almeno per me. Un pensiero quasi vertiginoso. Anche il più dimenticato degli autori (anche io allora…) non avrà scritto invano se la sua fatica andrà a confluire nell’oceano di tutti i libri e sarà compagno e fratello di quanti scrissero e scriveranno da sempre, per sempre. Difficile trovare una motivazione più potente, direi. Difficile, ma non impossibile. Ancora Borges, sempre in “Altre Inquisizioni” scrive una frase che mi parve da subito memorabile:

“La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dire qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce, è, forse, il fatto estetico”

Questo è davvero il motivo decisivo, per me. Scrivere inseguendo l’attimo della rivelazione. Una chimera, chi lo nega. Un sogno, una illusione, ma che meravigliosa illusione, che scopo sublime è questo. Non vale forse la pena di impegnarvi tempo, ed energie, finché avremo fiato?

Qui mi fermo. Per quanto mi riguarda ho detto tutto quello che potevo. Concludo con un Haiku del poeta Italiano Mario Chini:

“In tre versetti
tutto un poema, e, forse,
tutta una vita”

Che in fondo riassume, con la meravigliosa essenzialità dell’Haiku, tutto quanto ho faticosamente tentato di spiegare. Scrivere è vivere, per chi ha la sfortuna ed il massimo privilegio di volerlo fare.