Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Qualche tempo fa lo statistico Ben Blatt aveva inventato un algoritmo in grado di individuare le parole preferite dai romanzieri. Un software su cui basta caricare i testi di un autore, per individuare le sue parole più utilizzate e amate. Seguendo questo esempio, il sito MyPoeticSide ha deciso di compiere la stessa operazione con i grandi della poesia.

I redattori del sito hanno analizzato il loro intero database—contenente più di 35000 poesie—e sono riusciti a individuare le parole preferite di alcuni dei poeti più importanti della storia. Da Emily Dickinson fino a William Shakespeare. Una raccolta utilissima, per analizzare in modo diverso i lavori di questi straordinari artisti. Vediamone alcuni.

Robert Frost

Buona parte della poesia di Robert Frost è incentrata sulla trasmissione della realtà rurale. Con un linguaggio colloquiale e diretto. Non sorprende, quindi, che alcune delle sue parole più utilizzate siano “albero“, “fiori“, “vento“, “uccelli” e “legno“.

Le sue poesie, inoltre, hanno spesso un tono malinconico. Il passato e i ricordi di un tempo che ormai se n’è andato sono al centro della poetica di questo autore. Nelle sue opere c’è anche un utilizzo massiccio di termini come “indietro”, e “passato“.

 

Emily Dickinson

Emily Dickinson. Via.

Visto che buona parte della produzione di Emily Dickinson è incentrata sul rapporto conflittuale fra l’uomo, la sua spiritualità e l’ineluttabilità della vita, non sorprende che tre delle parole che più utilizza siano “Dio” e “paradiso” e “morte“.

Anche la Dickinson, però, fa largo uso di termini che richiamano la Natura. Spesso per evocare stati emotivi tramite il paragone con agenti atmosferici o ambientali. Quindi nella sua poesia troviamo largo uso delle parole “cielo“, “estate“, “sole“. La parola preferita in assoluto dalla poetessa, però, è “piccolo”.

 

William Shakespeare

La passione e i sentimenti sono certamente dei temi fondamentali per i sonetti di Shakespeare—come lo sono d’altra parte per i suoi scritti teatrali. E questa tendenza si nota ovviamente anche dalle parole che sceglieva per comporre i suoi lavori. Un largo uso dei termini “bacio“, “bellezza“, “desiderio“, “lussuria“. Anche “fiore“, in questo contesto, è una parola con connotazioni amorose: è infatti il paragone preferito dallo scrittore inglese per riferirsi alla bellezza di una donna.

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Il video che ti mostra come si produceva la carta nella Cina antica

Il video che ti mostra come si produceva la carta nella Cina antica

La carta era conosciuta in Cina già dal II secolo a.C. Ma per lo più veniva utilizzata per l’imballaggio di oggetti, e non per la scrittura. All’epoca scrivevano su pezze di seta. Nel 105, però, il famoso ufficiale della corte imperiale Cai Lun scoprì un metodo di lavorazione che portò al primo foglio di carta della storia.

Per costruirlo, si narra, utilizzò fibre di gelso e canapa. E inaugurò una vera e propria forma di artigianato che si è tramandata per secoli e secoli. Gli artigiani della carta facevano macerare le fibre in acqua per ore, e poi passavano il composto risultante al setaccio.

Recentemente l’artista e artigiana Li Ziqi ha realizzato un video—caricato sul suo canale YouTube—in cui mostra passo passo questa antica tecnica. Che ha consentito all’uomo di facilitare la comunicazione scritta.

La scelta del legno

Nel video vediamo l’artista ricercare la giusta pianta di gelso da tagliare. Colpisce con fendenti decisi la base del tronco e poi elimina rapidamente tutti i piccoli rami. Dopo aver raccolto abbastanza fusti, li porta a casa e comincia il ciclo di lavorazione che gli permetterà di creare la carta.

Partendo dalla corteccia, “sfoglia” le fibre del gelso, creando delle sottili sfoglie di legno. Sembra quasi che stia mondando un frutto. Dopodiché lascia i lembi di fibra a essiccare all’aria, per eliminare il grosso della clorofilla.

La macerazione

A questo punto le fibre vanno reidratate. L’artista le lascia ammollare nell’acqua di un fiume, legandole a un piccolo piolo ancorato alla riva, perché non si disperdano. Dopo aver lasciato passare la notte, torna al fiume e raccoglie le sfoglie di legno, per poterle lavorare.

 

Il composto

Posiziona le sfoglie in un grande contenitore di metallo, e dopo averle cosparse con della cenere e dell’acqua, mette il pentolone sul fuoco. Coprendolo con una tela. Via via che l’acqua evapora, ne aggiunge di nuova. Una volta bollite completamente, mette le fibre in acqua fredda e le lava per eliminare le impurità.

La prima fase di lavorazione delle fibre è terminata. E quindi Li Ziqi le prende e le batte con un mazzuolo per indebolirle, e poi tagliarle a pezzi con un coltello. Il “macinato di legno” viene quindi messo in un pestello, e battuto con vigore finché non si trasforma in una polpa densa.

La creazione del foglio

A questo punto il composto viene spalmato su uno stampo rettangolare, ampio, e immerso in acqua. Poi sciolto omogeneamente finché non crea una patina sul pelo dell’acqua. L’artista passa e ripassa un rullo di legno sulla superficie, per renderla completamente omogenea.

Successivamente alza lo stampo, e lo mette nuovamente a riscaldare vicino al fuoco vivo. Mentre il foglio si compatta, lo massaggia con uno strumento simile a una spugna. Per levigarlo. Dopo diverse ore, lascia raffreddare il foglio e lo stacca dallo stampo. Pronto per essere tagliato in fogli più piccoli.

Un processo lento e delicato che come mostrato nel video può anche comportare degli errori irreparabili. Ma anche estremamente poetico, e che riesce a mostrare quanto l’epoca industriale abbia reso lontani certi gesti e certe tradizioni. Tradizioni che però sono state alla base del diffondersi della cultura e del sapere.

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Clare Hollingworth, la giornalista che fece lo “scoop del secolo”

Clare Hollingworth, la giornalista che fece lo “scoop del secolo”

Clare Hollingworth è stata una delle più importanti giornaliste della storia, eppure nonostante sia stata l’autrice di quello che venne definito “lo scoop del secolo“, gli addetti ai lavori la conoscono.

Questo perché, purtroppo, come è facilmente intuibile, Clare è stata una donna che ha dovuto combattere contro i pregiudizi di un mondo culturale arretrato e impreparato. Un mondo che abbiamo conosciuto ad esempio attraverso la storia di Margaret Ann Bulkley che nel ‘700 si finse uomo per esercitare la sua attività di medico. O anche quello di Elena Lucrezia Cornaro, la prima donna nella storia a laurearsi.

Il passato (ma anche il presente) è ricco di esempi del genere che non ci stancheremo mai di raccontare, per sottolineare una volta di più la forza di volontà e la tenacia di queste grandi donne.

Clare è stata una giornalista che ha attraversato tutto il Novecento (nata nel 1911 e morta nel 2017) raccontandolo principalmente da un fronte di guerra.

Ha raccontato il Vietnam, l’Algeria, il Medio Oriente su tantissime testate. Giornalista coraggiosa che si è trovata spesso, grazie al suo fiuto per la notizia, al posto giusto nel momento giusto.

E pensare che dopo la scuola fu spinta a iscriversi a un corso di economia domestica. Finì invece per dormire con un passaporto sotto al cuscino e lo zaino accanto al letto, pronta a partire in ogni momento.

79 anni chiese al suo giornale di essere mandata a testimoniare la guerra del Golfo. Per prepararsi alla dura esperienza dormì cinque giorni sul pavimento.

Clare è passata alla storia anche per “lo scoop del secolo“: fu la prima personaa diffondere la notizia che la Germania era pronta a invadere la Polonia, nel settembre del 1939.

La giornalista era a Varsavia, per distribuire aiuti umanitari ai profughi. La Polonia, a quel tempo, era l’epicentro delle tensioni diplomatiche e politiche di tutta l’Europa. Clare aiutava le persone a scappare dalla Germania occupandosi dei loro visti per il Regno Unito.

La sua carriera da giornalista era cominciata da una settimana. Scriveva per il Daily Telegraph. Il 28 agosto prese in prestito una macchina dell’ambasciata inglese per attraversare il confine tedesco e comprare vino e pellicole per la macchina fotografica.

Soltanto i diplomatici potevano attraversare il confine, era molto pericoloso. Clare voleva inoltre indagare sulle voci che stavano girando in quel periodo: di un intervento armato della Germania.

Durante il viaggio di ritorno in Polonia, vide in un campo alcuni teli mimetici, giganteschi e insoliti. Un colpo di vento ne staccò uno e oltre si videro i carri armati tedeschi, i soldati in attesa e l’artiglieria.

 

Contattò il Daily Telegraph che il giorno dopo, il 29 agosto, titolò: “Mille carri armati ammassati al confine con la Polonia. Dieci divisioni sono pronte per colpire”. L’articolo non era firmato.

Il primo settembre, il giorno dell’invasione, l’ambasciatore inglese a Varsavia venne contattato personalmente da Clare che si trovava al confine e che voleva avvertire dell’avvenuta offensiva tedesca. L’ambasciatore non credeva alle parole di una donna. E così Clare allungò fuori dalla finestra la cornetta del telefono e fece sentire il rumore dei cingolati che stavano attraversando la strada.

Chi pensa che quello di Clare fu, in fondo, solo un colpo di fortuna, deve sapere che anni dopo, durante la guerra in Vietnam, Clare fu una delle prime e poche ad affermare che gli Stati Uniti non avrebbero vinto, nonostante la superiorità militare.

La conoscenza delle dinamiche della storia e la finezza intellettuale sono sempre rimaste le stesse e l’hanno guidata per tutta la carriera: oggi viene ricordata con sommo rispetto da tutti i colleghi.

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Grazia Deledda: l’unica scrittrice italiana che ha vinto il Premio Nobel

Grazia Deledda: l’unica scrittrice italiana che ha vinto il Premio Nobel

Nella storia della letteratura italiana sono state molte le donne che hanno lasciato un segno indelebile—scrittrici e poetesse come Alda Merini Natalia Ginzburg—ma fra i sei scrittori italiani che si sono aggiudicati il premio Nobel c’è n’è stata soltanto una: Grazia Deledda.

Sebbene da molti critici inquadrata nel novero degli autori che fanno parte del movimento Verista, in realtà questa scrittrice nel corso della sua carriera ha messo a punto una poetica peculiare e originale che ne ha caratterizzato la produzione.

Nata a Nuoro, in Sardegna, il 27 settembre 1871 Grazia cresce in una famiglia numerosa, agiata economicamente e con restrittivi valori religiosi imposti dal padre. Le figlie della famiglia Deledda non hanno la possibilità di uscire di casa e confrontarsi con il mondo esterno durante l’infanzia e l’adolescenza, e Grazia comincia così a coltivare un piacere solitario che la consola: la lettura.

A soli 17 anni invia un suo racconto alla rivista letteraria Ultima moda, e comincia così una proficua collaborazione con varie testate di settore, pubblicando altri racconti e poesie. Il vero e proprio inizio della sua carriera, comunque, si può datare nel 1892, anno in cui pubblica il romanzo Fior di Sardegna.

Il libro ottiene delle ottime recensioni, e nel 1895 la casa editrice Cogliati pubblica il suo secondo romanzo: Anime Oneste. E l’anno successivo anche il terzo, La Via Del Male. Nel 1896, dopo essersi sposata con un funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari, si trasferisce a Roma, e corona il suo sogno di abbandonare la provincia sarda, di cui non ha mai condiviso la mentalità tradizionale.

In questo periodo comincia una collaborazione con la rivista letteraria Nuova Antologia, e pubblica a puntate due romanzi: Il Vecchio della Montagna e Elias Portolu.

L’inizio del Novecento segna anche la nascita del nucleo familiare di Deledda: dopo la nascita del primo figlio, la scrittrice mette a punto una routine domestica che le consente di continuare a scrivere ogni pomeriggio. È un periodo di grande prolificità, e nel 1904esce il romanzo Cenere, da cui verrà tratto anche un film.

Dal 1910 al 1919, poi, pubblica con una frequenza impressionante: Il nostro padrone e Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), Le colpe altrui(1914), Marianna Sirca (1915), Il fanciullo nascosto (1916) e La madre (1919). I suoi lavori seguono tutti lo stesso iter di pubblicazione, prima passando per le riviste, e poi pubblicati dalla casa editrice Treves.

Dopo aver pubblicato Il Dio dei viventi, nel 1922, è chiaro a tutti che la prima impronta di Verismo da cui era partita la carriera della scrittrice è ormai un ricordo: al centro dei lavori di Deledda ci sono i sentimenti che innervano gli esseri umani, e le intricate relazioni che questi causano.

Il 10 settembre 1926  riceve il Premio Nobel per la Letteratura, prima e unica donna fra gli italiani, con la seguente motivazione: “Per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”.

A questo punto, però, comincia un lento declino artistico: dopo aver sperimentato periodi di grande prolificità e ispirazione, i lavori di Grazia Deledda cominciano a mostrare segni di affaticamento. All’inizio del 1936 pubblica il suo ultimo romanzo, La chiesa della solitudine: muore pochi mesi dopo, a causa di una malattia che la perseguitava da tempo. Oggi un cratere di Venere porta il suo nome.

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La storia di Elena Lucrezia Cornaro, la prima donna laureata della storia

La storia di Elena Lucrezia Cornaro, la prima donna laureata della storia

La scrittura e la testimonianza sono strettamente legate. Uno dei poteri dello scrivere è quello di ricordare, seguendo la preziosa lezione di Primo Levi, per riportare alla memoria quello che siamo stati, e “ricomporre l’infranto” del nostro passato.

Uno dei temi che in quest’ottica ci sta più a cuore è quello che riguarda le difficoltà delle donne nella nostra storia, recente e remota, in ogni campo. Abbiamo raccontato di Helen Gardner, Cleo Madison e delle altre donne che hanno cambiato il cinema, fino a Lina Wertmüller, la prima regista a essere stata nominata ai premi Oscar; le donne che hanno combattuto i pregiudizi nella musica classica, e poi le storie di Trotula de Ruggiero e Margaret Ann Bulkley, donne-pioniere che hanno praticato la medicina.

Oggi vogliamo raccontare la storia di Elena Lucrezia Corner Piscopia, indicata anche come Elena Lucrezia Cornaro: la prima donna laureata della storia.

Nata nel 1646, Elena Lucrezia è la quinta di sette figli. Il padre, Giovan Battista, è un nobile appartenente a una delle più importanti famiglie di Venezia; mentre la madre, Zanetta Boni, è di umili origini. Proprio per questa relazione socialmente scandalosa, i figli, anche se legittimati, verranno esclusi per molti anni dal novero del patriziato. (Una questione che verrà risolta nel 1664 quando Giovan Battista sborserà più di 100mila ducati).

Uno degli avi della famiglia era Alvise Corner, personalità di rilievo nella Padova degli inizi del XVI secolo, scienziato, inventore e amico di Galileo. Ai tempi di Elena Lucrezia però il prestigio della famiglia era tramontato, e da anni era estranea alle maggiori magistrature della Repubblica di Venezia. Il padre di Elena Lucrezia si batterà fino alla morte per ritrovare l’antico pregio goduto in passato. La vicenda della laurea di Elena Lucrezia si inserisce in questo piano di riabilitazione sociale. Le continue frustrazioni di Giovan Battista e il seguente esibizionismo culturale richiesto alla figlia sono fattori strettamente legati con la storia del suo primato universitario.

Il padre si accorge presto delle passioni della figlia e le permette di studiare con i migliori professori. Lei è consapevole del “vano compiacimento” del padre, ma sceglie di continuare ad assecondarlo per non deluderlo, “tanto ne godeva che sembrava di vederlo ringiovanire”. La sua passione per lo studio però non è finalizzata allo sfoggio nei salotti della buona società, come voleva il padre.

 

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Chi è stato il primo poeta della storia?

Chi è stato il primo poeta della storia?

Dire con certezza chi sia stato il primo nella storia a inventare qualcosa non è sempre facile, soprattutto se dobbiamo riavvolgere di molto le lancette. Per esempio, appurato che il mito di Prometeo sia legato semplicemente alla leggenda, sappiamo che il fuoco è stato scoperto all’incirca nel Paleolitico—ma difficilmente sapremo mai dire da chi.

Se per esempio pensiamo alla scrittura, molto prima che finisse su carta, gli storici hanno individuato due momenti in cui questa è nata: nell’antica Mesopotamia intorno al 3400 a.C.; e in Mesoamerica intorno al 600 a.C. Perché, si sa, la stessa idea può venire a più persone—anche a distanza di secoli.

Sulla rivista letteraria LitHubCharles Halton, studioso di testi religiosi presso la St Mary’s University, ha pubblicato un interessante articolo che risponde a una domanda che forse ti sarà già passata per la mente: chi è stato il primo poeta della storia?

Innanzitutto, bisogna fare subito una precisazione: si tratta di una poetessa. Il suo nome è Enḫeduanna: sacerdotessa della Mesopotamia vissuta all’incirca 4200 anni fa. Questa scoperta venne fatta da alcuni archeologi negli anni venti nel Novecento che trovarono nell’attuale Iraq diversi reperti, grazie ai quali si è potuto scoprire che fosse una delle figlie di Sargon, re di Akkad e fondatore del più antico impero della storia, il cui inizio si aggira intorno al 2340 a.C.

Nell’articolo pubblicato su LitHub, l’autore spiega che Enḫeduanna era devota alla dea della fecondità e della guerra Inanna. La poetessa era solita concentrarsi nelle sue liriche sul concetto d’amore piuttosto che sulle battaglie, ma è giusto sottolineare che la sua opera più famosa è soprattutto incentrata sul secondo tema.

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La lirica in questione, intitolata “L’esaltazione di Inanna,” è focalizzata su uno dei momenti più difficili per Enḫeduanna: racconta, infatti, di quando fu costretta a scappare dalla città di Ur e a vivere in esilio per un periodo nella steppa, dove “la luce intorno a me è oscurata, le ombre avvolgono lo splendore del giorno, che è offuscato da una tempesta di sabbia, quando la mia bocca dai suoni (un tempo) incantevoli è stravolta, le mie elette sembianze sono ridotte in polvere”. Il periodo, però, durò relativamente poco, in quanto il re Sargon riuscì a rimpossessarsi del trono e sconfiggere l’usurpatore sumero Lugallanna.

Di questa opera, di 153 righe, sappiamo molto perché “sono state trovate oltre cinquanta diverse copie su tavolette cuneiformi”, chiarisce Charles Halton. Motivo per cui si crede fortemente che Enḫeduanna—principessa, sacerdotessa e poetessa—fosse molto amata sia dagli uomini di cultura che dal popolo.

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