Cos’è il Circolo dei lettori di Torino

Cos’è il Circolo dei lettori di Torino

Ogni settimana ospita decine di eventi, gruppi di lettura e incontri con scrittori famosi, in un elegante e accogliente palazzo del centro della città

Dal 2006 c’è un posto a Torino che non è né una biblioteca né una libreria, ma in cui – dal lunedì al sabato e qualche volta anche di domenica – si parla di libri, con chi ne ha scritti e con chi li legge: è il Circolo dei lettori, fondazione della Regione Piemonte che ha la sua sede in via Bogino 9, poco distante da piazza Carlo Alberto da una parte e via Po dall’altra. Aperto da mattina a sera, organizza presentazioni di libri con scrittori italiani e stranieri, reading, gruppi di lettura, laboratori per bambini e anche viaggi letterari: è un luogo unico in Italia per il numero di attività e per il tipo di spazi che mette a disposizione. Ha anche un bar, che si chiama Barney’s, dal nome di quel Barney.

Il Circolo dei lettori, centro culturale presieduto da Luca Beatrice e diretto da Maurizia Rebola, ha preso negli anni la forma di una comunità di appassionati di storie, curiosi e critici, che dialogano e partecipano, in cui gli scrittori si avvicendano per conversare con loro, portando l’ultimo romanzo pubblicato, oppure sono protagonisti di narrazioni, reading e spettacoli, intorno a libri e autori del passato. È il caso del ciclo sugli autori russi, curato da Paolo Nori intitolato Gli inabbracciabili e di Parlando di Lolita con Stefano Benni, per esempio. Ma anche musica e canzoni sono oggetto di approfondimento, per esempio con le voci del progetto L’orecchio indiscreto, Emidio Clementi, Francesco Bianconi, Piero Pelù e Niccolò Contessa.

Come si vede nelle fotografie, il Circolo dei lettori si trova in un edificio antico: al primo piano di Palazzo Graneri della Roccia, costruito tra il 1683 e il 1702 su un progetto di Giovanni Francesco Baroncelli, assistente di Guarino Guarini. Lo spazio messo a disposizione di tutti è grande più di mille metri quadrati e occupa cinque sale, oltre al bar. I grandi lampadari, i soffitti stuccati, le cornici dorate e la carta da parati d’altri tempi, possono dare l’impressione che sia un luogo in cui andare vestiti eleganti e celebrare la solenne maestà della letteratura; ma il clima generale, la presenza di giovani che leggono, studiano o prendono un aperitivo sul lungo tavolo all’ingresso (o meglio nella Galleria), sovvertono lo scenario, insieme alla grande varietà dei temi e dei libri discussi.

Chi frequenta il Circolo dei lettori ne ha viste delle belle. La lezione di Art Spiegelman, What the %@&*! Happened to Comics?, la gentile invasione dei fan di Patti Smith, i sette giorni su Marcel Proust in occasione della Settimana proustiana, un fine settimana con Tormento, Giaime e Frankie hi-nrg mc protagonisti di Rap. Potere alla parola. Chi frequenta il Circolo dei Lettori si è goduto lo scrittore Richard Mason e la sua interpretazione di Chopin al pianoforte, non ha potuto fotografare Don DeLillo ma l’ha ascoltato attento, ha fatto le 4 del mattino con Zerocalcare per un disegnetto, ha incontrato Salman Rushdie, Niccolò Ammaniti, José Saramago, Elizabeth Strout, Alessandro Baricco, Jonathan Safran Foer, Catherine Dunne, incontrerà Jennifer Egan, Nicole Krauss, Nathan Englander. E tanti altri, per centocinquanta volte ogni mese, perché il Circolo dei lettori è una specie di festival letterario permanente. L’idea è che alla fine di ogni incontro ognuno sia più ricco: di nessi, collegamenti, relazioni sia umane che di senso.

Gli eventi organizzati sono aperti al pubblico e gratuiti, mentre alcuni spettacoli, i gruppi di lettura e i corsi sono a pagamento. È possibile sostenere il Circolo dei lettori acquistando la carta Smart (20 euro, 10 per chi ha meno di 30 anni), che garantisce sconti su alcuni eventi con biglietto e incontri in esclusiva, oppure con la carta Plus (90 euro, 45 per chi ha meno di 30 anni), che garantisce gli stessi vantaggi della Smart oltre alla possibilità di frequentare i gruppi di lettura e di prenotare un posto agli eventi con maggiore richiesta.

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Dal Salone del Libro di Torino un bilancio per EEE

Dal Salone del Libro di Torino un bilancio per EEE

Si sono chiuse le porte della trentesima edizione del Salone Internazionale del Libro a Torino e ora, che siamo rientrati tutti a casa, è giunto il momento di tirare le somme e fare qualche considerazione.

Per quel che ci riguarda non vogliamo fare nessuna polemica e nessun confronto con la Fiera di Milano, di certo possiamo dire che se all’inizio un po’ di apprensione l’abbiamo provata, fin da giovedì mattina abbiamo compreso che sarebbe stata una grande festa e che a Torino l’entusiasmo non sarebbe mancato. Tuttavia, qualche pecca organizzativa c’è stata anche quest’anno (ma era da mettere in conto) e i disagi si sono sentiti soprattutto nelle piccole cose di tutti i giorni, come la mancanza dei cestini della spazzatura, una certa lentezza nei servizi e la scarsità del segnale wi-fi per il collegamento con internet, distribuito a macchia di leopardo nei padiglioni.

Ma queste sono, come già detto, piccolezze e non hanno smorzato l’entusiasmo che è andato crescendo di giorno in giorno, di conferma in conferma.

E di conferme questo Salone ne ha date tante, soprattutto è servito per sottolineare che non solo Torino o il Piemonte hanno partecipato all’evento, ma tutta l’Italia con editori, lettori e addetti ai lavori. Le oltre 165.000 mila persone che sono intervenute sia al Lingotto sia alle manifestazioni del Salone Off hanno dimostrato che la cultura c’è, esiste e ha bisogno di essere nutrita. Esiste la voglia di leggere, di raccogliersi insieme per parlare di libri, autori, trame e, perché no, spettegolare su quell’editore o sul best seller del momento. Inutile negare che un pizzico di soddisfazione per questo risultato lo proviamo, così come è inutile negare che ci assale lo sconforto di fronte a certi titoli “acchiappalettori” proposti da alcuni quotidiani e settimanali (vedi L’Espresso) più per sensazionalismo che per dare una reale dimensione dello stato in cui versa l’editoria nostrana. La buona editoria non è affatto morta e, anzi, questa manifestazione ha portato alla luce il fatto che non servono i “grandi nomi” per riempire i corridoi e i padiglioni del Salone.

Grandi nomi… sfatiamo anche questo mito, se per “grandi nomi” s’intendono le Case Editrici più blasonate, molte c’erano e mancavano solo alcune di quelle che fanno parte della cordata milanese, un vero peccato, anche se, e va detto, non di sola Mondadori è composta l’editoria italiana. Centinaia di stand carichi di libri sono stati una realtà tangibile, così come lo è stato la ricomparsa dei trolley e la mancanza di esposizioni che nulla avrebbero a che vedere con la letteratura (tipo stand con prodotti alimentari, stand con souvenirs e gadget, e simili).

Se vogliamo dirla proprio tutta, la lezione è stata data proprio dal pubblico, da coloro che sono arrivati da tutta Italia, che hanno investito una parte del loro tempo per venire fino a Torino (e sappiamo bene che il fattore economico non è da sottovalutare) per passare una giornata o due immersi in un’atmosfera gioiosa e ricca di opportunità, all’insegna di una tradizione che dura ormai da trent’anni.

Nel nostro stand, come di consueto, c’è stato un gran via vai di autori e l’aver messo a disposizione un numero telefonico dedicato ha permesso a diverse persone di collegarsi con noi e di porre le domande più disparate ad autori e alla Casa Editrice: un nostro piccolo successo. Tra l’altro, anche la possibilità di farsi dedicare un libro dall’autore preferito ha funzionato e diversi libri sono stati spediti verso le destinazioni richieste.

Tuttavia, l’effetto Salone non si è fermato fra le mura del Lingotto ma ha decisamente influenzato anche le vendite online, tant’è che molti titoli nuovi sono saliti nelle classifiche di vendita proprio in queste ore, con tanto di recensioni annesse. Nei prossimi giorni vi farò il consueto riassunto tratto da Amazon.

Per concludere, ringraziamo il nostro Editore perché i suoi sforzi sono sempre mirati a garantire ai propri autori la visibilità necessaria per poter emergere. Ringraziamo gli autori per aver partecipato, perché senza di loro non potremmo costruire alcun futuro. Ringraziamo i lettori e gli affezionati che ci sono venuti a trovare e che hanno manifestato il loro interesse anche aderendo alla nostra iniziativa online. Ringraziamo tutti i proprietari di cani che, in questa edizione, hanno allietato le nostre giornate, dandoci modo di godere anche dell’universo a quattro zampe. E ringraziamo anche la Giunti, nostro dirimpettaio, perché con il loro “gradino” hanno fatto “inciampare” diversi visitatori direttamente dentro il nostro stand.

 

Ci vediamo il prossimo anno, sempre a Torino, dal 10 al 14 Maggio!

 

Salone del Libro Torino 2017

Salone del Libro Torino 2017

Salone internazionale del Libro Torino 2017, 18 – 22 Maggio: la cultura, oltre il confine.

Il Salone del Libro si tiene a Torino tra il 18 e il 22 maggio 2017 presso Lingotto Fiere. L’evento raccoglie il meglio del mondo dell’editoria, ma offre anche uno spaccato su quel che scrittori e lettori stanno per affrontare in questo periodo di grandi cambiamenti: il tema portante “Oltre il confine” sarà approfondito e affrontato sotto molti punti di vista, partendo dalla politica e arrivando alle sfide delle nuove tecnologie.

L’edizione 2017 è la trentesima, ma è soprattutto la più importante del festival dopo lo strappo decretato da Milano: i numeri con cui il Salone si è presentato sono il miglior biglietto da visita per una edizione di alto profilo e di grande richiamo internazionale.

La trentesima edizione del Salone del Libro di Torino ha avviato i motori. Si tratta probabilmente della più importante tra le edizioni fin qui organizzate nella capitale sabauda e il motivo è noto: si tratta del primo appuntamento dopo la scissione decretata dal polo milanese, dunque la presentazione era la verifica circa lo stato di avanzamento dei lavori. E la verifica è presto fatta, scritta dai numeri e presumibilmente fissata nella storia dal pubblico che accorrerà all’evento: 350 editori hanno già dato la propria disponibilità e ben il 96% dei nomi presenti la scorsa edizione hanno già rinnovato la propria partecipazione.

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Bruno Bruni e Il Gioco di Libri

gioco-di-libriBruno Bruni e Il Gioco di Libri

Talvolta è capitato di passare qualche ora in buona compagnia con gli amici, cercando di indovinare quale fosse il soggetto estratto e ponendo domande del tipo: “Se fosse una città, quale sarebbe?”

Ebbene, abbiamo chiesto ai nostri autori di abbinare il titolo del loro libro a una città, un personaggio, un piatto tipico e una canzone. Ed ecco uno dei risultati.

 

Voce e Pianoforte di Bruno Bruni

Sinossi

 Bruni_Voce_piano_EEE Alice, appassionata e instabile, eredita una casa nella periferia disordinata e operaia di Torino. E insieme alla casa, eredita le tracce di una vita. Quella di sua madre, Tea. Ragazza di periferia, cantante punk di scarso talento, amica di malavitosi, bella, generosa e incostante, che ha portato con sé, morendo giovane in un incidente, il segreto di una rapina finita male, e ha lasciato come uniche tracce della propria vita un vecchio disco e molte foto, unici gelosi ricordi di una esistenza breve e complicata. La figlia Alice, aiutata dall’amica Marta – e da Michele, ex calciatore professionista, ora agente immobiliare – cerca di capire, si smarrisce, rinuncia, se ne va. Marta, tenace, insiste nel cercare il senso di vite estranee e lontane. Capirà molte cose, da sola. Forse inutilmente, il passato spesso parla lingue ormai ignote.

Se “Voce e Pianoforte” fosse

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Una città: Torino

Una scelta istintiva. Torino è il mio habitat, lo sfondo della mia vita. Amo la mia città in modo viscerale, non vorrei essere altrove. I cambiamenti negli ultimi anni sono grandi, alcuni positivi, spesso dolorosi, ma è l’inesorabile divenire dell’esistenza. La Vita è mutamento, come dice quel testo antico che mi piace molto “I King – Il Libro dei mutamenti”. Che apprezzo come fonte di saggezza, non come pratica divinatoria. (Sono troppo scettico, per oroscopi e predizioni…) Aggiungo però che la città è in fondo anch’essa un personaggio ma invisibile, che rimane discretamente sullo sfondo. Mi sono accorto, rileggendo il romanzo, che non nomino mai Torino, nemmeno una volta.

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Un piatto: Pane e acciughe

I cibi semplici, magari rudi, per me sono il sale della vita. E quando scrivo cerco di essere più semplice e anche rude, con me stesso. Non voglio mentirmi, non lo sopporterei.

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Un personaggio: Cesare Pavese

L’ho amato da ragazzo, anche se da anni non lo rileggo. Ma aveva dentro l’anima di questa città. Era duro e fragile, e sapeva sognare. Come dovrebbero fare tutti quello che, come me, tentano di scrivere.

Una canzone: Spellbound

Il romanzo è nato e cresciuto ascoltando Siouxsie & the Banshees. La voce di Siouxsie, la sua maschera, sono state la mia Musa.

 

Dettagli del libro

  • Formato: Formato Kindle
  • Dimensioni file: 1036 KB
  • Lunghezza stampa: 238
  • Editore: Edizioni Esordienti E-book (13 ottobre 2015)
  • Venduto da: Amazon – Kobo
  • Lingua: Italiano
  • ISBN: 978-88-6690-270-6

Restare a Torino con il Salone del Libro

Restare a Torino con il Salone del Libro

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Chi avrebbe mai pensato che un libro potesse dividere l’opinione delle masse e creare una situazione così incresciosa?

Beh, a pensarci bene, le riforme intellettuali hanno sempre diviso le masse e la storia è costellata da episodi che partono dalla parola per trasformarsi poi nella rivoluzione culturale e sociale del secolo. Tuttavia, in questo caso, non vi sono rivoluzioni culturali in movimento né, tanto meno, ideologie sociali da difendere o da sbandierare, c’è solo un ristretto manipolo di interessati che cercano di sovvertire le tradizioni a proprio vantaggio.

Ed è proprio per questa motivazione che siamo ancora più dispiaciuti nel vedere come l’intero mondo editoriale italiano va spaccandosi rincorrendo un’ideologia fittizia e quanto mai contraddittoria. Ed è sempre per questo motivo che riteniamo doveroso dover prendere una posizione netta, chiara, persino ovvia, per chi ci conosce. EEE non poteva che rimanere fedele a Torino e i motivi di tale scelta sono diversi.

Il primo fra tutti è il più logico: EEE ha sede a Moncalieri, in provincia di Torino. Per un piccolo editore una trasferta potrebbe diventare proibitiva e i costi per partecipare a un tale evento sono già elevati e significativi anche senza dover aggiungere vitto e alloggio fra le spese.

Altra motivazione è il fattore tradizione. Da decenni il Salone del Libro rappresenta quella patina culturale di cui ancora ci vantiamo e che raggiunge le vetrine mondiali anche grazie alla propria fama. Un corridoio sul mondo mantenuto aperto soprattutto da quel fattore tradizionale che vuole Torino come una delle capitali europee della cultura… Torino, non Milano o Roma o Firenze… senza nulla togliere, ovviamente, alle altre città. Tuttavia, proprio grazie a quel Salone che pare essere diventato scomodo per alcuni, l’Italia ha mantenuto una sua facciata, seppur simbolica, su quanto viene espresso a livello editoriale e rappresenta, ancora oggi, un punto di riferimento per tutta l’editoria nostrana.

Vogliamo poi analizzare cosa porta l’AIE a voler trasferire il Salone da Torino a Milano? Ve lo dico già da ora, no. No, non vogliamo analizzare l’opportunismo che nasce dietro questa mossa, ma è evidente che con la cultura non ha nulla a che vedere e che il fulcro gira solo intorno a potere, denaro e politica. E ve lo diciamo perché se gli intenti fossero stati un po’ più nobili, un po’ più proiettati verso i reali interessi di editori, autori e lettori, forse avremmo accolto questa possibilità con più benevolenza. Tuttavia, avendo compreso i fatti, non possiamo né vogliamo sostenere delle idee che porteranno solo all’ennesima figura barbina che il nostro Paese è in grado di fare.

Dunque, a conti fatti, preferiamo restare a Torino, con tutte le problematiche che il Salone del Libro ha presentato fino ad ora, con i suoi costi elevati, con la sua burocrazia e gli intoppi. Restiamo perché crediamo che le tradizioni non debbano essere gettate al vento e che a nulla serve distruggere per migliorare, basta tirarsi su le maniche e rimettersi a lavorare seriamente. E restiamo perché abbiamo fiducia nell’evoluzione che abbiamo visto nascere in questi ultimi anni, un progredire dei nostri autori e dei libri pubblicati da buoni editori.

Perché i buoni editori esistono davvero e gli autori capaci ci sono. Oltre al fatto che anche i lettori hanno compreso certe dinamiche e sono ora in grado di trovare, fra le nostre fila, scrittori che sappiano costruire una trama originale, prodotta in un italiano corretto.

Dunque perché svilire un simile evento? Perché ridurlo a una semplice kermesse basata su fattori politici ed economici? Il Salone è molto più di questo, è la storia di un Paese che resiste alle polemiche e alle stupidaggini; è il simbolo di molti sogni chiusi in un cassetto e rappresenta le fondamenta di un concetto di speranza che ha appena iniziato a rifiorire.

Detto questo, se vivessimo in un Paese davvero democratico, prima di prendere qualsivoglia decisione, non sarebbe forse il caso di chiedere il parere a tutti i diretti interessati?

Torino: Una città nelle canzoni

Torino: Una città nelle canzoni

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Alcune città sono grandi dive, fotografate, adulate, citate fino alla noia. Parigi, Roma, New York. Protagoniste di innumerevoli film, di romanzi, e di canzoni. E appunto di canzoni, volevo parlare, anzi di testi. I parolieri sono spesso abili artigiani capaci di adattare parole e rime alle capricciose esigenze delle note musicali. Creatori di frasi d’effetto, di assonanze magari semplici ma immediatamente evocative all’orecchio di un ascoltatore spesso distratto. Molti testi letti senza ascolto diventano insignificanti se non infantili senza una musica di supporto. A volte, più raramente, i parolieri sono poeti e allora i loro versi vivono di vita propria, belli anche se muti. In alcuni casi, i testi delle canzoni sono vere storie, brevi racconti e cronache di un tempo, di un sentimento. Io sono nato e vivo in un luogo che non è appariscente. Torino non è una star, e fino a pochi anni fa era nota solo per essere sede di una fabbrica di automobili. Poi le cose sono cambiate, negli ultimi tempi sono arrivati i turisti ed una certa notorietà internazionale. Non sono comunque tantissime le canzoni dedicate o ambientate a Torino. Tutte però sono in qualche modo significative e strettamente legate a un ben preciso momento storico nella vita della città. Esistono naturalmente antiche ballate e canzoni in dialetto torinese, canti popolari, canti di osteria, ma in questa sede prendo in esame solo testi in Italiano.

Gipo Farassino

Gipo Farassino

La più antica che mi viene alla mente è “Ciao Torino” autori Lampo e Prato, anno 1949. A dire il vero, è leggermente controverso il fatto che il testo originale sia stato scritto in Italiano. Secondo alcune fonti era in Torinese, secondo altre fu tradotta in dialetto da quel Gipo Farassino di cui ci occuperemo tra poco. Testo estremamente semplice:

“Ciao Torino, io vado via,
vado lontano a lavorare.
Io non so che cosa sia,
sento il cuore tremare.”

Semplice eppure rivelatore: ci fu un tempo, neppure troppo lontano, in cui anche Torino era terra di emigranti, di gente che doveva andarsene per cercare condizioni di vita migliore.
Poi, il boom economico, il miraggio della Grande Fabbrica che offriva a tutti un posto di lavoro. Ecco “La mia città” del 1969 . Parole e musica di Gipo Farassino. Gipo, artista molto amato a livello locale, autore dialettale, attore, uomo politico, scrisse anche canzoni in italiano, raccolte in un album dal titolo “Due soldi di coraggio”. Ne “La mia città” crea un ritratto triste da Neorealismo, la città-fabbrica priva di gioia, dove gli operai in tuta blu sono soldatini in fila, quasi burattini mesti.

fiat

Archivio storico Fiat

“Un mare di fredde ciminiere
un fiume di soldatini blu
un cielo scordato dalle fiabe
un sole che non ti scalda mai.
Questa mia città
ti fa sentir nessuno
ti strozza il canto in gola
ti spinge ad andar via.
Questa mia città
che spegne le risate
che sfugge a tanta gente
resta la mia città.”

Ma il boom è anche espansione urbana, periferie dove i prati con pecore al pascolo lasciano il posto ai palazzoni dell’edilizia speculativa. Ne “L’auto targata Torino” del 1973, musica di Lucio Dalla e parole di Roberto Roversi, un vento contestatario, dal sapore leggermente populista, contrappone una Torino da cartolina alla cruda realtà di quei “Terroni” che erano i predecessori di una lunga serie di persone venuta da “altrove”. Facce diverse in cerca di lavoro, non sempre amate da chi è ormai immemore di un tempo in cui i poveri nel mondo si chiamavano Italiani.

Dalla-Roversi

Dalla-Roversi

“Questo luogo del cielo
è chiamato Torino
lunghi e grandi viali,
splendidi monti di neve
sul cristallo verde del Valentino
illuminate tutte le sponde del Po.

Mattoni su mattoni
sono condannati i terroni
a costruire per gli altri
appartamenti da cinquanta milioni”

Alla fine la Contestazione non genera solo figli innocui. Arrivano gli anni difficili della violenza, dello scontro duro. La città è spesso un campo di battaglia, una terra di nessuno dove anche il modo di vestire, il locale dove andare a bere un caffè, diventano etichetta politica. Il cantautore torinese Enzo Maolucci, nel suo album “ Barbari e Bar” del 1978, con un linguaggio diretto ed efficace, dipinge un’immagine allo stesso tempo realistica e beffarda di una Torino che ha un tantino perso l’aplomb, di una città moderna che non ha la statura della grande metropoli, anche se una élite forse radical-chic vorrebbe fare sfoggio di inutile snobismo. È centrale, in questo testo, la presenza di bar e caffè, luoghi di ritrovo mondano, covi dissidenti, porti per rifugiarsi lontano dalla folla.

Enzo Maolucci

Enzo Maolucci

“Il Gran Bar è fatto apposta
per fascisti stravaganti.
In cremeria adesso ci trovi
i comunisti più osservanti.
La Gran Madre è una gran piazza,
il Po è li’ vicino per chi si ammazza.

Si ammazzano a Torino, sai,
Torino che non è Nuova York
Si ammazzano a Torino, sai,
Torino di Barbari e Bar.
Dal Bar Elena esco in via Po,
vado col pensiero…
Pugni in tasca, sbornia triste, palle in giostra,
muri sporchi di ideali messi in mostra.

Adoro andarmene in vetrina,
specchiarmi cinico e beffardo,
finché un’edicola sirena
seduce il mio sprezzante sguardo.
Il compromesso storico, l’Amerika col Kappa,
convergenze parallele, la crisi del romanzo e poi…”

Ma non tutti vanno al Bar Elena. Nella banlieue, qui come a Londra, ragazzi Punk strillano arrabbiati il loro “No future”. Loro sono “Rough” band street punk molto locale e molto, molto alternativa e nel 1982 interpretano, con grinta giustamente ( Punkescamente ) sgangherata “Torino è la mia città”

“Crescer nella noia
senza sapere cosa fare
Crescer nella noia
senza un futuro in cui sperare
In un città dove non succede mai niente
Torino è la mia città.”

La rabbia stanca. Ancora di più la rabbia senza soluzione, la violenza fine a se stessa. Finiscono gli anni della P38, torna la voglia di normalità. Il Privato non è più Politico. Siamo alla fine del secolo e del millennio.

Subsonica

Subsonica

Anno 1999, un’altra Band torinese, molto nota e, questa, molto amata, Subsonica, canta una città che riesce ancora a ispirare l’amore ne “Il cielo su Torino”.

“Per il tuo amore
che è in tutto ciò che gira intorno
acquista un senso questa città
e il suo movimento
fatto di vite vissute piano sullo sfondo
Un altro giorno un’altra ora
ed un momento
dentro l’aria sporca
il tuo sorriso controvento
il cielo su Torino
sembra muoversi al tuo fianco”

La città è un organismo vivente e, come tutto ciò che vive, è in continuo divenire. Gli esami non finiscono mai, come diceva Eduardo. Si allontana lo scontro armato, eppure altri scontri, forse più subdoli, incombono. Torino diventa città multi etnica, dove ci si diverte, finalmente, ma dove le fabbriche chiudono, dove si spaccia e si consuma droga e non tutti i nuovi arrivati sono buoni cittadini. “Tanco del Murazzo” di Vinicio Capossela, sempre sul finire del secolo, anno 1996, descrive un Noir deve ci si fa, e ci si pesta, con Slang duro e impietoso. E i Murazzi, lungo il fiume cosparsi di bar e locali per i giovani abitanti della notte, diventano terra di nessuno, frontiera pericolosa.

“Il fiume è giallo,
lento fango d’Orinoco
scorre tra i fuochi,
gli spacci, i mangiafuoco
scende il murazzo,
c’è una macchina bruciata
kebab arrosto
e folla a grappoli in parata
le ragazze aspettano
di uscire fuori per ballare
e intanto provano le scarpe nuove
e ridono da sole
dentro casa, lei lo guarda
e resta lì senza parlare
fuori tutto accade anche senza di noi

Vinicio Capossela

Vinicio Capossela

Nel grotto spingono
e si bercian Patuan
l’anfe che sale,
caldo a fiotti, nervi tesi
Envisia serve al banco
acqua minerale
ondeggiano sulle ginocchia
tutti uguale
guarda lo specchio
e vede in fondo
che per occhi adesso
ci ha due buchi neri
e nel riflesso dell’abisso
vede il pozzo che era un tempo anima sua”

Ma voglio chiudere con una nota più tenera.
“Torino sulla luna” è una canzone scritta da Giuseppe Peveri, in arte Dente, con Fabio Barovero, per la colonna sonora del film “La luna su Torino” di Davide Ferrario, pellicola del 2014. Con voce poetica, l’autore coglie con un guizzo vincente quella che è forse l’anima più vera di Torino:

Giuseppe Peveri

Giuseppe Peveri

“Linea d’orizzonte, vertici
i punti piani e gli spazi
paralleli, pendii
abitudini inutili
pressioni, altitudini
inizia la fine
tutte le cose si incontrano qui”

In questa città di geometrie e di grandi chiaroscuri, dove molte cose iniziarono in sordina, nel bene e nel male, per poi diffondersi e allargarsi lontano, in questa città dove si cerca di non esagerare mai, andando spesso all’avanguardia quasi controvoglia, dove genti tanto diverse, da apparire a prima vista incompatibili, riescono a convivere nonostante tutto, in questa città, che a volte non pare Italiana, è bello camminare, guardando, ascoltando e pensando che davvero tutte le cose s’incontrano qui.

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