Primo record

Primo record di pagine viste per il blog

Primo record

A meno di un mese dall’apertura, ieri, primo giorno di giugno, abbiamo registrato una visualizzazione di pagine che ha quasi raggiunto le cento unità, con un incremento del 60% di visitatori nuovi. Considerando il fatto che il blog è stato aperto il 16 maggio, non possiamo che essere contenti di questo risultato. Ovviamente, il nostro intento non si riduce alla mera soddisfazione derivata dall’aver reso evidenti gli articoli e le pagine ma, soprattutto, dall’approdo al blog di molti utenti nuovi che, speriamo, potrebbero trasformarsi in lettori altrettanto soddisfatti. Noi sappiamo bene che il catalogo proposto da EEE vanta libri di tutto rispetto, anche se scritti da autori esordienti o emergenti, ma crediamo che solo un’ottima visibilità potrà dare a tali opere il consenso necessario da parte del pubblico. Quindi, anche se sappiamo di essere nella direzione giusta, e i numeri ce lo confermano, siamo consapevoli che c’è ancora molto lavoro da fare per poter arrivare ai lettori più attenti. Dunque, questi risultati ci stimolano a proseguire con lo stesso impegno che abbiamo applicato fino ad ora nella selezione, nella realizzazione e nella diffusione dei libri presenti in catalogo, continuando a credere che la qualità ripaghi degli sforzi fatti.

Non dimenticatevi di fare anche voi il sondaggio proposto e intitolato “Che lettore sei?”, il quale sta dando ottimi risultati ed evidenzia alcune particolarità che vi diremo in seguito.

Edizioni Esordienti Ebook festeggia il suo 200° ISBN

Edizioni Esordienti EbookEdizioni Esordienti Ebook festeggia il suo 200° ISBN

Un bel tratto di cammino, dalla fine del 2011. Tanto lavoro e tanta passione.
Così, ho deciso di farmi un regalo: l’e-book n. 200, intitolato Verlainein distribuzione gratuita su tutti i webstore (anche su Amazon), contiene due commenti a due poesie di Verlaine che mi piacciono molto. È poco più di un opuscolo, e lo offro a tutti quelli che amano la poesia o che ne sono almeno un po’ attratti. Con la raccomandazione di farne un uso moderato, perché la poesia è un farmaco con potenti effetti collaterali. Ho anche realizzato un video, illustrato con i quadri di Watteau, per chi avrà la pazienza di guardarlo e di guardarmi.

Verlaine modNel frattempo, giusto per sottolineare che la poesia non è soltanto “roba per pochi”, vi offriamo anche lo screenshot in cui è chiaramente visibile come in poche ore l’ebook sia arrivato ai vertici della classifica di Amazon. Per quanto non sia semplice recensire delle poesie, quando il lavoro è accurato e eseguito con dedizione, ripaga degli sforzi e dei sacrifici fatti. Soprattutto gratifica l’autore.

Andrea Tavernati conquista il Secondo Premio

tavernati3Andrea Tavernati conquista il Secondo Premio al Concorso Internazionale Pennacalamaio

La giuria del Concorso letterario Pennacalamaio (che era stato Bandito dall’Associazione Culturale Savonese Zacem in collaborazione con Libro Mondo e con il patrocinio della Provincia di Savona, Comune di Savona e hotel San Marco di Savona) ha proclamato i vincitori delle 15 sezioni in gara. La cerimonia della premiazione, che si è svolta il 25 maggio a Savona, ha visto la partecipazione di innumerevoli autori, italiani e stranieri, tra cui il nostro Andrea Tavernati, giunto al secondo posto nella sezione “libro edito di poesia” grazie al suo libro “Intima essenza”. Per tale occasione, abbiamo chiesto ad Andrea le sue impressioni:

“Dunque, i concorsi letterari sono un’ottima occasione per esercitare la propria autodisciplina zen.
Li considero uno strumento per farsi conoscere un po’ di più. Uno strumento come un altro. Da quando ho pubblicato l’Intima Essenza ho partecipato e sto partecipando a parecchi eventi di questo tipo. Purtroppo ormai quelli completamente gratuiti sono pochi, anche se i contributi richiesti sono in genere contenuti. Dato che il mio libro è fatto di haiku sto privilegiando i concorsi dedicati a questo genere o che prevedono una sezione dedicata a questo genere. In Italia sono pochissimi.

tavernati1In quanto agli esiti, ho imparato che se si ottengono dei riconoscimenti, si gioisce con soddisfazione e si trova almeno un minimo di conferme sul fatto che, forse, quello che si scrive non fa proprio schifo. Se invece non si ottiene nulla, non bisogna sprecare tempo a farsi troppi mea culpa, archiviare la pratica e tirare dritto. Ai concorsi ne succedono di tutti i colori e le ragioni per cui non si viene selezionati sono imperscrutabili.

Nel caso specifico ho partecipato proprio perché era prevista una sezione dedicata agli haiku, il che vuol dire che gli organizzatori hanno un minimo di sensibilità per questa forma. Ho trovato il concorso sulla newsletter di concorsiletterari, ho notato la sezione haiku e ho partecipato. Tra l’altro il concorso prevedeva una marea di altre sezioni e io non amo i concorsi “di tutto, di più”. Se non ci fosse stata la sezione haiku, sicuramente non avrei partecipato.

Non conoscevo l’associazione che l’ha organizzato e men che meno sapevo “chi o cosa” ci stava dietro. Per cui apprendere di aver vinto il secondo premio mi ha fatto molto piacere, perché vuol dire che semplicemente qualcuno ha letto e apprezzato, come dovrebbe sempre essere.

La cerimonia di premiazione è stata molto semplice. Tra l’altro era proprio domenica scorsa e tra le elezioni e il primo caldo in Liguria, non c’era molta gente. Comunque anche leggere le proprie poesie in pubblico è sempre una bella esperienza (quando si alzano gli occhi dal foglio si è lì a chiedersi, tra gli applausi: “cosa diavolo avranno capito?”, ma tant’è…).

tavernati2Bene. Conseguenze pratiche: Mia figlia, che si è generosamente offerta di accompagnarmi, ha scattato qualche foto. Ho aggiunto una riga in più sul curriculum che dice: “Secondo premio, ecc…” Ho pubblicato un simpatico post su una serie di pagine Facebook di Gruppi di poeti haiku e associazioni varie e ho inviato un comunicato stampa ai quotidiani della mia zona e ad altre associazioni culturali locali… Non avrò un lettore in più… ma chissà… dai e dai…”

Intervista a Simone Fanni

Profumo criminaleIntervista a Simone Fanni

 

  • Simone Fanni non è nuovo al genere giallo, nel recente passato ha pubblicato e ricevuto dei riconoscimenti proprio per il suo talento innato. Con “Profumo criminale” propone un romanzo dallo stile originale, per nulla scontato: un ottimo giallo. Come nasce la tua passione per questo genere?

Credo che siano tutti quei morti. In un giallo si possono mettere dentro tantissimi morti. Ogni scrittore di gialli sa bene che nel suo romanzo può metterci un numero a piacere di morti, la sola cosa che conta è che inizi a farlo già nelle prime pagine. Ho molta paura di morire, perché in quel momento sarò costretto a esserci. Mi consola il pensiero di non temere la morte, perché credo che la morte sia il niente. Sfido chiunque a toccare il niente. Qualcuno provi ad annusarlo e qualcun altro aguzzi l’udito nel tentativo di ascoltarlo. E vogliamo parlare di chi possa essere in grado di vedere il niente? Ho fatto questo discorso alla mia parrucchiera e mi ha detto che se guardassi i programmi di Maria de Filippi cambierei opinione.

  • Lo stesso inizio da modo di capire una certa propensione anche per l’horror, dal momento che la storia si basa proprio su uno scrittore di romanzi sui vampiri, condita però da una vena ironica davvero notevole. Questa caratteristica, data dal sarcasmo, è presente in tutti i tuoi romanzi?

L’ironia è la spada più affilata. Taglia in due il pubblico, separa quelli che la colgono da quelli che non ci riescono. Ma è anche la spada con l’impugnatura più scivolosa, se il colpo non è calibrato bene, la testa che vola è proprio quella dello spadaccino. Per questo, in tutte le mie storie, durante le operazioni di revisione, mi sono accorto di essermi decapitato almeno mille volte. Così, mi sono ricucito la testa prima di mettere i romanzi in vetrina. Purtroppo sono altre mille le teste che ho perduto quando ormai era troppo tardi.

  • I personaggi sembrano caricature di quel classico stereotipo presente in quasi tutti i romanzi gialli, tuttavia le descrizioni e il modo con cui li fai muovere all’interno della trama denotano una ricerca molto accurata del particolare, da dove trai lo spunto per scegliere i tuoi protagonisti?

Li metto nella scena che sto scrivendo e poi qualcosa succede sempre. Loro fanno cose, uccidono, amano, vincono e perdono, dormono e così via. Però non posso dire di avere una sorgente di spunti dalla quale sgorghino personaggi. Comunque “Profumo criminale” è diverso. Per la prima volta ci sono alcuni amici veri che si muovono in tempi e spazi immaginari. Sono Giulia, Augusto, Michele e Patrizio. Ognuno di loro, in qualche modo, condivide con me il piacere di collegare lo stomaco ai polpastrelli e pestare sui tasti di un computer per dare un corpo alle proprie fantasie.

  • Profumo criminale è decisamente un romanzo atipico, la lettura è talmente scorrevole e divertente che, arrivando alla fine, si ha quasi voglia di tornare all’inizio e ricominciare. Questo denota una grande maestria nel saper apporre dialoghi e fasi narrative, come e quando nasce la tua passione per la scrittura?

Nasce alla fine degli anni novanta del secolo scorso. Ero povero, pieno di debiti e il mio corpo emanava un’aura di creatività repressa. Era un’aura insopportabile, la mia ex ragazza non riusciva a dormire per colpa della mia aura. Così, una sera, era tornata a casa con un corso di scrittura creativa preso in edicola per duemila lire. Non lo avevo neppure aperto, ma sotto il mio primo foglio bianco non avrei potuto avere nulla di più rassicurante. Con la biro tra le dita della destra, la fronte tra quelle della sinistra e il gomito sulla scrivania presa a rate, avevo partorito tutto d’un fiato un racconto breve sulla faccenda della diga del Vajont. Ecco là, il mio hobby low cost. Alcune ore dopo, la mia aura di repressione si era estinta e la mia ex aveva ripreso a dormire.

  • Nonostante l’ironia e la parte umoristica, il libro è veramente un giallo e la trama si dipana in modo elegante e fluido fino alla conclusione finale, ciò nonostante si ha quasi l’impressione che il protagonista sappia esattamente di essere all’interno di un romanzo e che tutte le decisioni finali le prenderà comunque lo scrittore. Questa scelta è voluta?

Naturalmente. Gli scrittori sono tutti pazzi e la scrittura non è altro che uno strumento per veicolare un delirio di onnipotenza. Lo scrittore non decide solo la sorte degli altri, per fare questo basterebbe essere un assassino, un giudice, un insegnante, un dittatore o il direttore di una banca. Lo scrittore decide chi ama e chi non deve essere amato, nessun altro può farlo nella vita reale.

  • Francesco, il tuo protagonista, è decisamente un personaggio bizzarro, un anti eroe che non sfoggia né muscoli né particolari doti alla Sherlock Holmes per giungere a scoprire il vero colpevole della vicenda. Tuttavia, la sua simpatia e il suo essere quasi fatalista lo aiutano a superare i momenti critici, quanto sei Francesco nella vita reale?

Quale vita reale?

  • E a proposito di vita reale, un passaggio del tuo libro dice: “Anche se certe volte non si può fare a meno di confondere il romanzo con la realtà, morire fra le righe di un libro non è proprio come morire nella vita” il tutto scritto in un momento piuttosto surreale. Questi accostamenti fra “serio” e “faceto” sono studiati appositamente oppure hanno origini naturali?

È tutto studiato. Il senso di questa storia è l’inevitabile distorsione della realtà. Il messaggio nascosto tra una parola e l’altra è che ciascuno di noi vede le cose dal proprio punto di vista e su quello costruisce un’opinione. La condizione geografica e sociale, la musica che possiamo ascoltare, l’arte che ci circonda, avere due genitori che si amano, essere un figlio sano, andare in parrocchia oppure a visitare un museo, tutte queste cose sono fogli trasparenti sui quali qualcuno ha scarabocchiato qualcosa per noi. Dopo aver sovrapposto tutti i fogli trasparenti, gli scarabocchi si incrociano ed è impossibile vedere cosa ci sia dall’altra parte. Quindi, non credo che esista un’oggettività delle cose, se questo è il modo di intendere la realtà.

  • Il protagonista è appunto uno scrittore che spesso si interroga sulle strategie migliori per vendere un libro e per tornare a cavalcare l’onda del successo, quanto hai studiato realmente il mondo dell’editoria per giungere a determinate conclusioni?

Ogni prodotto, un paio di occhiali, un orologio, l’articolo di un quotidiano, il panino del pub di Giulio, è cucito su misura per il cliente e i libri non fanno eccezione. Le realtà locali sono la strada per vendere quel tanto di copie che basta per arrotondare lo stipendio. Ti faccio un esempio: se scrivessi un libro sulla madonna che appariva ogni terza domenica del mese sul soffitto della camera da letto di un’amica di mia zia, quasi tutte le parrocchie del Nordest farebbero a gara per avermi come ospite della domenica e i fedeli sarebbero felici di acquistare una copia del libro con la mia dedica. Ma a me non interessa, preferisco raccontare i morti ammazzati a quelli che vogliono leggere i capricci del mio stomaco.

  • Isabella e Francesco sono nomi piuttosto ricorrenti nelle tue pubblicazioni, che cosa rappresentano per te?

L’amore.

  • Quanto tempo impieghi per preparare un libro che sia pronto per la pubblicazione?

Le storie che ho pubblicato le ho scritte quasi tutte in meno di dodici mesi. “Profumo criminale” è il romanzo più breve che abbia mai pensato, ma ho lavorato due anni su queste pagine perché le riempivo contemporaneamente a quelle di un’altra storia a proposito della quale sono costretto a mantenere la massima segretezza.

  • Passiamo ora a conoscere brevemente l’autore, non solo come magnifico scrittore di gialli, ma anche come persona. Quando Simone Fanni non scrive, come occupa il proprio tempo?

Quasi tutti i giorni Simone Fanni legge qualcosa e fotografa qualcuno. Una volta all’anno, insieme a pochi parenti e amici, gira l’abominevole film di Natale. Il film è abominevole perché i parenti e gli amici sono veramente degli attori cani.

  • Quali sono i prossimi progetti che hai nel cassetto?

Scrivere ancora, naturalmente.

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Un’altra estate

Un'altra estate

Le promozioni continuano

Nel corso di questa settimana le nostre promozioni pongono sotto i riflettori Un’altra estate di Paolo Ferruccio Cuniberti, arrivato fra i 19 finalisti di Sanremo Writers 2014. Questo romanzo, facente ideologicamente parte di una trilogia riferita a epoche ben precise: Body and Soul riporta a galla gli anni ’70 e Indagine su Anna ricostruisce le atmosfere degli anni ’80, ambienta la storia in quegli anni ’60 in cui la società italiana ha subito quei cambiamenti che hanno influenzato il nostro vivere odierno. Le migrazioni delle masse lavoratrici, non solo intese da sud a nord, ma anche da est a ovest, ma soprattutto dalle campagne alle grandi città, diventano lo sfondo adatto per raccontare le vicende dei due protagonisti, Carlo e Maria, figli di quella generazione contadina che perde la propria identità, fagocitata dalla metropoli. Ed è proprio per non dimenticare che l’autore ha scritto questo romanzo, cercando di imprimere su carta i ricordi legati alla propria terra e a quella dei suoi famigliari.

La nostra intervista all’autore

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Intervista a Paolo Ferruccio Cuniberti

Un'altra estate di Paolo Ferruccio CunibertiIntervista a Paolo Ferruccio Cuniberti

 

  • Ben arrivato Paolo, siamo davvero molto curiosi di conoscerti meglio e non solo attraverso le tue opere, ma anche come persona e come scrittore. L’esserti recentemente classificato fra i 19 finalisti per Sanremo Writers 2014, grazie al libro “Un’altra estate”, non è altro che l’ennesimo riconoscimento alla tua bravura, come ti fa sentire? Quali sensazioni suscita in te?

R: Il romanzo Un’altra estate dopo Sanremo Writers (che ha visto circa 400 partecipanti) è stato anche tra i sei segnalati del premio Saturnio – Città di Moncalieri e sarà in concorso prossimamente per altri eventi simili. Sono ovviamente piccole gratificazioni che fanno piacere, anche se in fondo non sono così importanti per imporsi all’attenzione di una platea ampia di lettori. Si dice che l’unico premio che veramente “muove il mercato” è il premio Strega, ma, come ben sappiamo, ci vuol ben altro per arrivarci (e non parlo solo di qualità letteraria…).

  • Come è iniziata la tua carriera di scrittore?

R: A parte i tentativi che ho fatto da ragazzo, come tanti, è la maturità che mi ha fatto riscoprire il talento latente per la narrativa. Per molti anni non ho scritto in termini creativi, anche se ho studiato le strutture formali del romanzo con i classici della critica letteraria: Propp, Bachtin, Lukács, Genette, Eco… poi mi sono occupato di studi sulla cultura popolare con un taglio decisamente scientifico/antropologico, scrivendo alcuni articoli per riviste culturali. Ora li ho riuniti nel volume Orsi, spose e carnevali che ho pubblicato per l’editore Araba Fenice, ma sono destinati a un pubblico decisamente di nicchia. Invece, con la narrativa mi sono sentito libero di utilizzare tutti gli strumenti acquisiti, di metterli anche da parte, e lasciarmi portare dal divertimento di scrivere. Per certi versi i miei romanzi li considero un’evoluzione dei lavori precedenti: uno scrittore è sempre un po’ antropologo, perché descrive e analizza i comportamenti umani e sociali.

  • Le tue pubblicazioni seguono un filo logico, formando quasi una trilogia che riporta alla memoria un passato a cui apparteniamo tutti, sia personalmente che come frutto di scelte generazionali, vuoi parlarcene?

R: L’idea della trilogia è arrivata dopo il secondo romanzo ambientato negli anni 80, Indagine su Anna. Il romanzo d’esordio è stato Body and soul, dedicato agli anni 70. Un libro breve, scritto in poche settimane, quasi di getto, che racconta come vivevano i giovani in quegli anni a Torino, e con l’intento dichiarato di dimostrare che, in fondo, in Italia non si è riusciti a cambiare molto in positivo, e che tutti i nostri problemi attuali sono gli stessi, o quasi, di allora. In quel decennio c’erano forse più ideali, più sogni, ma la cruda realtà era destinata a spezzarli presto; è anche un libro che racconta la passione per il jazz e come questa possa condurre al furto… Anche questo romanzo è andato in finale al premio InediTo 2012. Con il romanzo sugli anni 80, invece, ho voluto narrare una storia un po’ più noir, un’indagine sui costumi di una signora “bene”, mostrando attraverso questa vicenda (narrata anche in forma epistolare) quale fosse la superficialità del vivere e la crisi di valori in quegli anni (quelli della “Milano da bere” per intenderci, anche se la storia è sempre ambientata a Torino), e come la trasformazione sociale si fosse ormai compiuta in senso deteriore, così come ancora oggi la vediamo. Era inevitabile tirare le fila di questo discorso, riavvolgendo il nastro e tornando ai cruciali anni 60 con l’ultimo romanzo.

  • Il tuo ultimo libro, “Un’altra estate”, richiama eventi e atmosfere tipiche degli anni ’60, su cosa ti sei basato per scrivere questo romanzo?

R: Ho individuato nel decennio degli anni 60 la radice delle più profonde trasformazioni sociali che ha vissuto il nostro paese. E’ stato il decennio della definitiva scomparsa della civiltà contadina italiana, una civiltà millenaria. Si pensi che ancora negli anni 50 oltre la metà della popolazione attiva era addetta all’agricoltura, mentre oggi è ridotta a malapena al 5 per cento. Cavour nell’800 scriveva che l’agricoltura “era la più gradevole e conveniente” forma di lavoro possibile. Negli anni 60 del secolo dopo, invece, quasi nessuno voleva più fare il contadino. Si sono spopolate le montagne, le colline, il Sud. Si preferiva la catena di montaggio in Fiat piuttosto che imbracciare ancora una zappa. D’altra parte la meccanizzazione moderna dell’agricoltura richiedeva ingenti investimenti che nessun mezzadro o piccolo proprietario italiano era in grado di sostenere. Ma è un discorso che ci porterebbe lontano, anche se lo trovo appassionante. L’emigrazione verso le città industriali non è stata dunque soltanto da Sud a Nord come spesso si sostiene, ma soprattutto dalla campagna arcaica alla città industriale. La fine di quella civiltà ha comportato profondi cambiamenti negli individui, nelle relazioni sociali, nella cultura del paese. Questa è l’osservazione che sta alla base del romanzo, peraltro la “mutazione antropologica” era già stata vista da Pasolini nei primi anni 70. I miei protagonisti, un ragazzo del Nord e una ragazza del Sud, vivono spaesati tutte le contraddizioni del periodo, tra vecchie tradizioni e desiderio di modernità, rappresentato dal segreto acquisto di un 45 giri dei Rolling Stones.

  • Si è detto che in parte il libro può essere anche interpretato come una biografia, quanto ti rappresenta questo romanzo?

R: Nell’ultimo romanzo, come in parte anche nei precedenti, racconto di fatti, ambienti e persone (anzi, meglio dire personaggi) di cui ho fatto esperienza nel corso della vita. C’è la mia campagna piemontese di quand’ero bambino, dove trascorrevo l’estate, e le terre siciliane che ho conosciuto anni dopo, anche attraverso i racconti di mia moglie e dei suoi genitori, con fatti e misfatti. Ma il processo creativo della scrittura li porta evidentemente ad assumere ruoli per così dire “iconici”, nel senso che devono rappresentare in maniera inequivocabile il contenuto, il messaggio, che voglio trasmettere. Perciò ogni vicenda, ogni protagonista non esiste nella realtà così com’è ma è frutto di un’elaborazione, di una costruzione, di una strategia comunicativa. Insomma, nella narrativa non si fa né storia, né cronaca, occorre sapientemente condurre il lettore per mano, farlo identificare con i personaggi e le loro vicende fino alla parola Fine.

  • Si può dire che quasi tutti i tuoi libri portano un’impronta piuttosto evidente di quelle che sono le tue esperienze personali?

R: Come dicevo, i miei romanzi sono solo in parte autobiografici. Utilizzo dei materiali personali o li prendo a prestito da qualcun altro, ma me ne servo per inventare i personaggi e le loro storie, per farli muovere nel loro contesto in maniera credibile. Io non ho mai fatto il contadino, né sono mai stato in galera per furto… come avviene a qualche mio protagonista.

Ovviamente, se mi vengono in mente episodi divertenti o significativi che mi sono realmente capitati li posso anche utilizzare. Nell’ultimo romanzo, che è ambientato parzialmente in Sicilia, ho anche elaborato una reale vicenda di mafia accaduta alla famiglia di mia moglie e che da tempo tenevo particolarmente a raccontare. Tuttavia non ne conoscevo tutti i dettagli e ho colmato con l’invenzione, anche a fini meramente narrativi. Credo di aver trovato la chiave giusta per raccontarla e che la storia sia riuscita bene.

  • Il tuo genere narrativo è piuttosto raffinato e trae anche le radici dalla tua propensione a ricercare il lato etnologico e folcloristico di quanto ti circonda, potresti dire di sentirti vicino a grandi autori come Cassola o Moravia?

R: Quelli che citi non sono gli autori che ho amato di più, anche se naturalmente li ho letti. Forse i miei riferimenti stanno di più in un certo mondo einaudiano, e vanno da Pavese a Fenoglio a Calvino, per esemplificare con alcuni degli italiani. Di Pavese ho amato la tormentata profondità (era anche studioso di antropologia e l’ha introdotta nella casa editrice), di Fenoglio condivido le radici e capisco a fondo i suoi personaggi, di Calvino invece ho ammirato la levità dello scrivere (l’eleganza anche) e soprattutto l’ironia. Senza l’ironia i miei romanzi sarebbero come quelli di un  certo neorealismo piagnone. Mi piace anche la brevità. Non riesco a scrivere trecento pagine per esprimere un concetto. Spesso i grandi scrittori moderni si sono espressi al meglio nel racconto lungo o romanzo breve.

Una mia recente (ahimè tardiva) scoperta tra gli stranieri è John Fante che negli anni 30 scriveva già come si dovrebbe scrivere oggi. Descrizioni e dialoghi fulminanti, tragicomici. Ma se dovessi elencare tutti quelli che ho apprezzato ci vorrebbe troppo tempo. Ogni autore ti lascia qualcosa di importante, è il bello della letteratura.

  • Recentemente hai partecipato al Salone del Libro di Torino, le opinioni sono piuttosto contrastanti, c’è chi lo ritiene l’ennesimo flop e chi invece ne parla in termini entusiastici, quali sono state le tue impressioni?

R: Sinceramente, i difetti del Salone di Torino trovo siano più meno sempre gli stessi. Gran kermesse, rumorosa, piena di tutto e di più. Credo che l’obiettivo principale dell’organizzazione sia quello di sopravvivere. Come al solito attirano il pubblico solo gli autori famosi, quelli più televisivi, mentre per la piccola editoria e gli autori emergenti non c’è quasi nessuna possibilità di avere sufficiente visibilità. Tuttavia spiace non esserci. Personalmente ci sono stato per due giorni perché invitato a parlare in un paio di eventi. Forse senza queste occasioni non ci sarei neppure andato. Non è nemmeno conveniente per acquistare libri!

  • Spesso la figura dello scrittore è legata a degli stereotipi che lo presentano come un alcolizzato rubacuori o come un avventuriero senza scrupoli, tu come vivi, invece, questo fattore?

R: Aspetta che bevo un sorso di whisky e faccio scendere la pupa bionda dalle mie ginocchia… dicevi prego? Scherzi a parte, la figura che descrivi appartiene un po’ ad un certo tipo di eroe romantico del mondo culturale americano dove non sono mancati effettivamente individui del genere, penso a Scott Fitzgerald, Hemingway, Kerouac,  Bukowski, lo stesso Fante che citavo prima, mentre gli italiani (e gli europei in generale) sono sempre stati un po’ dei “professorini”. L’ultimo di questi che mi viene in mente per esempio è Baricco. Però si tratta di generalizzazioni e ognuno fa caso a sé. Non sopporto comunque i saccenti, chi se la tira troppo, i palloni gonfiati.

  • Quale dei tuoi romanzi ti ha dato più filo da torcere, facendoti sudare le proverbiali 7 camice?

R: Sicuramente Indagine su Anna. L’ho tagliato, riscritto parti, rimontato più volte e non ero mai soddisfatto, tant’è vero che non l’ho mai mandato a nessun concorso letterario perché temo il giudizio. Eppure è un libro che a molti è piaciuto (ad altri meno). Sarà che tratta argomenti anche “scabrosi”, il nudismo, il sesso di gruppo, il voyeurismo, sebbene non siano l’oggetto e l’obiettivo principale delle mie intenzioni, è sempre difficile affrontarli a mente sgombra e con il tono giusto. Temi che il lettore si concentri solo su questo, perdendo di vista gli altri significati. La narrazione poi è a più voci perché è anche in parte un romanzo epistolare: ci sono le lettere del marito e le risposte dell’investigatore, ovviamente in prima persona; poi in terza persona si delineano i caratteri della segretaria, dello stesso investigatore e dell’investigata col suo mondo. Insomma, non è stato un libro semplice.

  • Quando Paolo non scrive, come impiega il proprio tempo?

R: A parte la quotidianità, ultimamente mi sono buttato nella conduzione di una trasmissione radiofonica settimanale di jazz. Pareva una passeggiata e invece mi sta occupando, anche mentalmente, più del previsto. Ho seguito il Torino Jazz Festival, con interviste e dirette di concerti live. Tra poco seguirò il festival Alba Jazz con collegamenti con gli organizzatori. Poi occorre fare ricerche, documentarsi… Un bell’impegno.

  • Infine, quali progetti hai nel cassetto?

R: Dal punto di vista della scrittura mi sono preso una pausa. Il mio ultimo romanzo è uscito nell’autunno 2013, i due precedenti nel 2012 e 2011. Un libro all’anno direi che è una produzione abbastanza intensa. Ora mi sto dedicando alla promozione e mi accollo l’organizzazione di parecchi eventi, anche perché il mio piccolo editore EEE-Book non può fare di più, ma questo vale anche per Araba Fenice con l’altro libro di saggistica. Nell’arco dell’estate avrò ancora diverse date, la più interessante delle quali dovrebbe essere in Sicilia, dove sono stato invitato come autore ospite nell’ambito delle manifestazioni organizzate dal Parco Letterario Pino Battaglia (poeta di Aliminusa nelle Madonie). Poiché Un’altra estate racconta proprio di quei luoghi, è parso bello poterne parlare proprio sul posto. Forse farò anche una serata esattamente nel feudo che ho descritto nel libro, nella piazzetta tra le case in pietra. Con la dolce aria estiva delle sere siciliane.

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Intervista a Leonella Cardarelli

religioni e spiritualitàIntervista a Leonella Cardarelli

    • Ben arrivata fra noi Leonella, il tuo libro colpisce e incuriosisce, soprattutto in quest’epoca in cui, fra mille polemiche e altrettanta indifferenza, l’essere umano pare abbia realmente dimenticato lo spirito con cui affrontare la religione. Come nasce il tuo libro?
      Salve! Il libro nasce da una serie di appunti, successivamente approfonditi e rielaborati; mi sembrava un lavoro fatto bene e ho pensato di pubblicarlo.

    • Pensi che l’uomo moderno non possa più credere moderatamente, limitandosi a diventare ateo o, al contrario, passando all’estremismo?
      Mah… io penso che ognuno è libero di credere in ciò che vuole e di fare ciò che vuole ma senza arrecare danno agli altri e senza imporre le proprie idee. Diffido da chi assume posizioni eccessivamente rigide, su qualsiasi tipo di argomento, perché la rigidità rappresenta sempre una forma di chiusura. Il punto è che oggi stanno venendo meno molte certezze e molti punti fermi perciò si cerca di aggrapparsi a qualcosa pur di sentire un senso di appartenenza.

    • Dal momento che concordo con te a proposito del fatto che l’antropologia non può non essere presa in considerazione quando si parla di religioni globali, come il cristianesimo o l’islamismo, le variazioni che ogni popolo aggiunge al proprio credo religioso, pensi che ne sfigurino il pensiero originale?
      Beh, in parte sì… ad esempio oggi se  si incontra una donna con l’hijab molti dicono “ha il burqa”, invece il burqa è un’altra cosa, cioè copre tutto il corpo, occhi compresi, e non rientra nell’islam. Molti elementi che vengono attribuiti alla religione in realtà sono frutto dell’uomo.

    • Personalmente, tu come interpreti il credo religioso?
      Personalmente mi definisco panteista.

    • Pensi che possano esistere dei parallelismi fra la teologia in genere e la mitologia, il folklore e l’odierno fantasy?
      Sì, certo, la letteratura, la mitologia e il folklore sono pieni di simboli.

    • Infine, la domanda di rito: che cosa vorresti consigliare a un autore esordiente?
      Di scrivere col cuore.

 

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Le offerte di EEE

religioni e spiritualitàReligioni e Neospiritualità.

La settimana scorsa ha dato inizio ad una serie eccezionale di offerte, che la EEE ha deciso di proporre ai propri lettori, agevolando la diffusione dei libri presenti nel proprio catalogo e fornendo, a chiunque volesse approfittare di questa splendida occasione, uno spunto in più per non perdersi le opere dei propri autori preferiti, o fosse anche solo interessato a godersi un ottimo romanzo. Tuttavia, proprio per sottolineare l’aspetto qualitativo e culturale delle scelte editoriali attuate da EEE, le promozioni sono iniziate con un libro curioso che non è un romanzo, ma un saggio vero e proprio, in cui la religione è presa in esame senza i soliti pregiudizi che si riscontrano nella nostra società moderna. Religioni e Neospiritualità non è solo un libro in cui vengono affrontate, comparate e distinte le maggiori correnti religiose che sono presenti nel panorama mondiale, ma un’opera in cui le caratteristiche di ognuna vengono messe a confronto e traghettate nel nuovo millennio, offrendo nuovi spunti di riflessione. L’autrice, Leonella Cardarelli, non ha inteso parteggiare per l’una o per l’altra, ma ha fornito un’equilibrata valutazione, sottolineando quelle che sono peculiarità comuni. Il linguaggio utilizzato non è, ovviamente, semplice, data la natura del tema, ma nemmeno così complesso da rendere ostica la lettura. Molte sono le curiosità che si possono trovare fra i vari capitoli, curiosità che possono diventare un modo per conoscere il “nostro vicino di casa”, scoprendo che determinati usi e costumi traggono origine da fattori ben precisi, la cui logica resta ineccepibile. Particolari che, conoscendoli, possono abbattere quelle barriere culturali che, spesso, impediscono una reale interazione fra i popoli. Tuttavia, se consideriamo la presenza, sempre più massiccia, di bambini provenienti da altri Paesi del Mondo, proprio nelle nostre scuole, poter valutare al meglio come educare i nostri figli, affinché possano rendersi tolleranti e accoglienti verso chi è presumibilmente “diverso”, non può che giovare all’intera società in cui viviamo. Dunque, non perdetevi questo libro e leggetevi la nostra intervista all’autrice.

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B come blog.

Un blog tutto nostro.

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“Prima novitàun Blog tutto nostro, nuovo, con tante idee e possibilità per autori e lettori di interagire facilmente, per informarsi, ma anche per proporre, discutere. C’è anche un concorso per racconti a tema: “Amore e Morte”. Grande tema letterario, di tutti i tempi. Ma, soprattutto, ci teniamo a dialogare con voi, a metterci in gioco (quello che i “grandi” editori non hanno più voglia di fare!).”

Queste sono le parole di Piera Rossotti, la quale, nella sua newsletter apre ufficialmente le porte al Blog.

Perché un blog?

Esiste già un sito ufficiale nel quale è possibile visionare tutti i titoli presenti nel catalogo EEE (circa 200… e non sono pochi), in cui sono comunque presentate le ultime novità ed è possibile acquistare direttamente i libri, quindi perché aprire un altro spazio nel web?
Perché un blog è più diretto e permette un’interazione con gli utenti che un sito tradizionale non può fare. Quindi un blog, abbinato alla pagina ufficiale EEE, è già una vera innovazione, un modo per dire: “Noi ci siamo. Siamo qui a vostra disposizione!”. In questo spazio raccoglieremo le novità, le curiosità e gli eventuali pensieri del nostro editore, gli stessi che vi arriveranno attraverso le newsletter. Vi faremo conoscere e daremo largo spazio ai nostri autori presentandoli al meglio. Preparatevi, vi faremo lavorare e lavoreremo affinché ognuno di voi possa avere il giusto riconoscimento e perché le opere presentate da questa piccola, ma grande, Casa Editrice, possano avere il giusto risalto.
Noi sappiamo bene che i libri presenti nel catalogo sono tutti qualitativamente validi, noi sappiamo che vengono scelti seriamente e non tutto ciò che viene sottoposto all’Editore trova la via della pubblicazione, dunque è con grande orgoglio che prepareremo le vetrine ai nostri autori, sottolineando, in questo modo, le loro capacità.
Buon lavoro a tutti!

 

Concorso “Amore e Morte”

Primo concorso letterario de Il Mondo dello Scrittore in collaborazione con EEE: “Amore e Morte”

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Il Mondo dello Scrittore non è una casa editrice, per questo l’antologia verrà pubblicata da Edizioni Esordienti Ebook. Vi state chiedendo il perché? Presto detto: l’editore ha già una piattaforma distributiva diffusa, ben avviata e conosciuta. L’editore sa bene come affrontare i costi di gestione di tale piattaforma, oltre a dare prestigio alla pubblicazione, cosa che non avverrebbe con un self publishing, anche se ben fatto e curato. L’editore garantisce ulteriori canali che aumentano la visibilità (sito, blog, canale youtube con video, newsletter…). Essere pubblicato in un’antologia di questo genere offre all’autore un surplus di visibilità.

Tale antologia, come appena detto, non sarà una raccolta in self publishing, ma bensì una raccolta di elaborati giudicati in un concorso in collaborazione con un editore, il quale avrà cura di proporla sul mercato nel modo più consono. Verranno, dunque, selezionati dieci racconti, ma ci riserviamo la facoltà di segnalare ulteriori pezzi meritevoli, che saranno anch’essi  inseriti nell’opera o viceversa, di ridurre il numero dei selezionati nel caso il livello qualitativo risultasse troppo basso e/o la quantità dei partecipanti non fosse sufficiente a raggiungere il numero determinato in partenza.

Un lavoro del genere comporta un notevole sforzo per noi organizzatori e giudici (Il Mondo dello Scrittore Network), ma sappiate che oltre a garantirvi il nostro supporto da un punto di vista pubblicitario, la pubblicazione in merito offrirà un ritorno di visibilità e promozione a tutto il Network e il Network è composto anche da voi!

In pratica, non c’è qualcuno che lavora gratis per altri, ma tutti insieme lavoriamo affinché, già da questa fase embrionale, di coordinazione e di organizzazione nella quale ci stiamo adoperando, sia tutto efficiente e di qualità. E, quando si arriverà al momento della lettura e della selezione, non saremo certamente da meno. Saremo imparziali e intransigenti. Cercheremo il “pelo nell’uovo”, analizzando ogni testo con la stessa cura e dedizione che pretendiamo dai nostri scritti. Quindi fate attenzione e non presentateci opere che necessitino di un lavoro pesante di editing. Inoltre, a noi spetterà la formattazione, l’impaginazione, la scelta di una cover inedita e la promozione successiva. Dunque, buon lavoro a tutti!

Bando di concorso