Chi è stressato alzi la mano

Chi è stressato alzi la mano

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Chi non vuole più esserlo alzi anche l’altra

di Manuela Leonessa

Lo stress rischia di compromettere la tua vita?

Se la meditazione trascendentale non fa per te, se la New Age da sempre ti lascia un po’ perplesso, se l’omeopatia ti convince, ma fino ad un certo punto, ci sono due cose che puoi ancora fare: tenerti lo stress o leggere questo articolo.

Ho un paziente, nome fittizio Marcello, che ritiene di essere l’uomo più stressato del mondo.
Che sia vero o no per lui è importante che io gli creda, perché se anche il primato non fosse reale, la sua sofferenza lo è.
Al nostro primo incontro l’ansia lo divora, per contrastarla ingurgiterebbe qualunque cosa, caramelle, sigarette, unghie, ma davanti a me non osa, se ne sta perciò in mezzo alla stanza con la bocca aperta in attesa di qualcosa. Non è un bello spettacolo, davvero, ma io sono una professionista perciò lo accolgo con un sorriso, e come se fosse il principe azzurro lo invito calorosamente a sedersi di fronte a me.

Chiedo ― Quand’è che si sente più stressato?

Sempre.― mi risponde, duro,  come se fosse colpa mia.

Con i “sempre” e con i “mai” si lavora male, non si sa bene da che parte afferrarli, perciò alla ricerca di una qualsiasi maniglia obbietto ― “Sempre”, è un sacco di volte. Me ne racconti una.

Marcello boccheggia, sembra un branzino alla ricerca d’ossigeno  ― Al lavoro.

Con un sorriso lo incoraggio a raccontare, ma è evidente che non ne ha nessuna voglia. Si agita sulla sedia, vorrebbe essere da un’altra parte. Si porta le mani alla testa lentamente senza impazienza e senza emozione.  Mi confida ― A volte ho paura di impazzire. Dottoressa, è possibile che io stia diventando pazzo?

La sensazione di diventare pazzo è quasi normale nelle persone molto stressate.― lo rassicuro ― È solo una sensazione, mi creda. Ma mi parli del suo lavoro, cosa fa?

Marcello è un contabile, lavora con i numeri tutto il giorno e lo sa fare bene. Lo chiudessero in uno stanzino a fare il proprio lavoro, sarebbe l’uomo più sereno del mondo, ma ci sono i colleghi e, soprattutto, c’è il capo.

È davvero così terribile?

Mi guarda disperato. Questo capo è la somma di tutti i suoi mali. Se non esistesse, la vita di Marcello sarebbe diversa ― Buon per lei che esiste, sennò non sarei qua.― conclude con un sorriso sgonfio. Cerca di essere  spiritoso ma è troppo depresso per riuscirci veramente. Io sorrido lo stesso per fargli capire che mi sono accorta della battuta, dopodiché insisto ― Mi racconti un episodio.

È un uomo crudele, riesce a farmi sentire sempre una nullità.

― Quand’è che l’ha fatta sentire una nullità?

― Sempre, non mi faccia ripetere.

― Anche oggi?

― E certo!

― Mi racconti cosa è successo oggi.

Cosa vuole che le dica, è un uomo crudele, non mi faccia ripetere. Scenate con lui ce n’è tutti i giorni a non finire. Per la miseria, sono diciotto anni che mi rende la vita impossibile, che brontola criticando tutto quello che faccio. Come se non fossi più capace di fare il mio lavoro.

― E lei ci crede?

― Cosa?

― Che non è più capace di fare il suo lavoro.

― E per forza che ci credo. ― si interrompe, deglutisce. ―A furia di sentirmelo dire.― mormora, infine, con il groppo in gola.

Gli lascio il tempo di riprendersi, tacciamo entrambi per qualche minuto. Poi mi ripeto un’altra volta ―Mi racconti cosa è successo oggi.

C’è questo maledetto progetto sulla tutela della maternità, io devo rendicontare le spese, non sto a fargliela troppo lunga, si tratta di un finanziamento. Legge 53. É una settimana che imposto un foglio di Excel che tenga conto di tutte le voci. Ho chiesto più volte al mio capo se andava bene e lui si è degnato di venire a vedere solo oggi, dopo una  settimana che ci lavoro sopra.

― E come è andata?

― Come vuole che sia andata? Ha detto che faceva schifo, che non serviva a niente, che avevo speso una settimana a fare un lavoro inutile, e che se fosse dipeso da lui, questo mese, non mi avrebbe pagato lo stipendio.

E lei come si è sentito?

Mi ha guardato come se fossi un ebete. Succede spesso che un cliente mi guardi come se fossi un ebete, dovrei esserci abituata,  invece continua a farmi un certo effetto. Il brutto del nostro lavoro sta proprio qui, dobbiamo fare domande apparentemente idiote, tanto scontata sembra la risposta.

Come mi sarei dovuto sentire secondo lei. Un fallito, no?

Il fatto è che la risposta scontata non è.

Perché un fallito? Ha sbagliato solo l’impostazione di un foglio Excel.  Ammesso che l’abbia sbagliata davvero, quanti anni sono che fa questo lavoro?

― Diciotto, non mi faccia ripetere.

È uno precisino, Marcello, ricorda tutto e me lo sottolinea ogni volta. Non deve essere male come contabile.

E in diciotto anni, quante volte ha fatto male il suo lavoro? Quante volte bene?

Mi guarda come un assetato di fronte a una granita, ha capito dove voglio arrivare.
Sovente tendiamo a guardare gli eventi tutti bianchi o tutti neri, buoni o cattivi. Facciamo valutazioni estreme, ci possiamo sentire perfetti o completamente imperfetti. Siamo nella logica del “o, o”.
O farò tutto in maniera precisa e meticolosa o sarà tempo sprecato.

Vi faccio un altro esempio per chiarire il concetto, e stavolta mi rivolgo alle signore perennemente a dieta.

Ho mangiato troppo a colazione. Tanto vale che mi abbuffi anche a pranzo.

Penso di avere chiarito il concetto.
Ma per tornare a Marcello, sottolineare quanto sia sbagliato confondere la parte con il tutto, non è sufficiente.

Mi ha fatto sentire un cretino, un deficiente. ― mi dice in tono disperato ―Non mi sono mai sentito così umiliato. Non oso tornare in ufficio, domani.

Percepisce l’evento come qualcosa d’intollerabile, per lui è praticamente una catastrofe. Gli chiedo se ha figli.

Una figlia― mi risponde torvo ―di quattordici anni.

Si confida con suo padre? Le racconta i suoi dispiaceri, le sue paure?

― Abbastanza.

― Come si chiama sua figlia?

―Denise.

Gli sorrido. È un bel nome.

Denise fa qualche sport?

―Gioca a pallacanestro.

―Gioco di squadra, bene. Allora, Marcello, immagini che una sera  sua figlia torni dall’allenamento disperata. Lei che fa?

― Le chiedo cosa è successo.

Non conoscendo Denise chiedo a Marcello di suggerirmi una situazione che potrebbe gettare la figlia in una situazione di vergogna intollerabile. Lui ci pensa un po’ poi sogghignando mi propone questo:

Durante un’azione a canestro, per lo sforzo le è scappata una scoreggia che tutti hanno sentito.

Devo complimentarmi con lui, sarebbe una situazione insostenibile anche per me.

Benissimo. Denise è stravolta dalla vergogna. Le confessa che non ha più il coraggio di tornare in allenamento. Vuole abbandonare la squadra. Lei cosa le risponde?

Ci pensa un po’, corruga la fronte. È totalmente immerso nella simulazione ― Le dico di non farla tanto tragica, che è una cosa che può succedere a tutti, anzi che magari è già successa qualche volta  e nessuno ci ha fatto troppo caso.

― Esatto.

― Ma la mia situazione è diversa ― protesta ― qui è il mio capo a considerarmi un fallito.

― E chi glielo dice?

― Me lo ha detto lui.

―Le ha proprio detto: Marcello, lei è un fallito?

―No, ma…

― Il suo capo tratta così solo lei?

―Il mio capo è uno stronzo, mi scusi. Tratta male tutti.

―E siete tutti dei falliti?

― No, no, anzi.

―Direi che non lo è neppure lei e il suo capo lo sa benissimo. Vediamo la situazione per quella che è, spiacevole, imbarazzante, se vuole. Un “capo stronzo”, mi scusi lei adesso, è una faccenda sgradevole, ma le catastrofi sono un’altra cosa. Una catastrofe non la sostiene nessuno, una faccenda sgradevole, lo ammetta, è in grado di sostenerla pure lei.

Lo stress è il risultato di una relazione tra l’individuo e l’ambiente. La persona stressata sente questa relazione come affaticante o esorbitante rispetto alle proprie risorse e dunque come una possibile fonte di pericolo per il proprio benessere.

Perché Marcello era stressato? Perché era convinto di essere davvero un fallito e perché riteneva insopportabile l’opinione negativa che il capo aveva di lui. L’ansia di Marcello si è ridimensionata quando ha accettato l’idea che fallire un compito non è il fallimento dell’intera persona, e quando si è convinto che un capo per quanto miserabile sia, non è un fenomeno intollerabile ma solo sgradevole.
E quando ci sentiamo costipati, come wurstel in una busta, per via dei figli pubescenti, del collega incompetente o dell’ennesimo corteggiatore irriducibile che possiamo fare?
Possiamo pensare, e imparare a modificare i  pensieri, le emozioni, le azioni, e le nostre reazioni abituali.
Se la montagna non va da Maometto, sarà Maometto ad andare dalla montagna.
Vi spiego cosa c’entra Maometto con tutto questo.

Prendiamo il figlio pubescente. Da quando ha iniziato a crescergli la barba è diventato ingestibile, saccente, aggressivo  insolente e la vostra vita, di conseguenza, è diventata un inferno.
Non riconoscete più in lui il marmocchietto di pochi anni prima che vi faceva pensare a un miracolo qualunque cosa facesse.

Non è giusto.― vi dite, e in alcuni momenti lo vorreste sopprimere, ma non lo fate perché poi vi dispiacerebbe, e lo sapete.

Non potete neanche sperare che gli passi presto, perché, ed è un fatto, l’adolescenza si sa quando inizia, ma non si sa bene quando finisca, Intuite, infine, che la situazione potrà solo peggiorare. Se non potete cambiare vostro figlio, allora, non vi resta che cambiare voi stessi, o per meglio dire, i vostri pensieri.

Questo figlio è un vero disastro, prima o poi mi farà impazzire.

Non è vero, è solo un normalissimo adolescente, al massimo vi farà arrabbiare.

È sempre così sgradevole, è diventato davvero insopportabile.

In realtà, a volte, continua a essere affettuoso e a cercarvi come un tempo, ma fate fatica a ricordarlo.

È vero, qualche volta è ancora gentile, ma conta di più la sua maleducazione.

E chi l’ha detto?

Si comporta così perché mi odia. Che cosa gli ho fatto?

Sbagliato, si comporta così perché è un adolescente.
L’interpretazione del proverbio è molto personale? Vero, ma funziona abbastanza.

E funziona solo in un senso, perché è vero che Maometto può andare alla montagna se la montagna non va da Maometto, ma se Maometto non andrà alla montagna, temo che alla montagna non importerà niente.

 

Un ragazzo da settemila copie

Un ragazzo da settemila copie

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Alessandro Cirillo, giovane autore emergente lanciato da EEE, alla scrittura ha ormai preso gusto e le settemila copie vendute ne sono una chiara testimonianza.

Dopo Attacco allo Stivale, thriller d’azione pubblicato nel gennaio 2013, ha pubblicato Nessuna scelta nell’aprile 2014, poi Trame oscure nel febbraio 2015 (secondo classificato nella sezione ebook al Premio Letterario e Giornalistico “Piersanti Mattarella” 2015) e, nel dicembre dello stesso anno, è uscito Angelus di sangue, scritto a quattro mani con un altro autore emergente EEE, Giancarlo Ibba.

Ora, dopo aver venduto oltre settemila copie dei suoi romanzi, a maggio del 2016 Alessandro ha pubblicato Schiavi della vendetta che, siamo certi, diventerà un bestseller come i precedenti.

Perché ve lo stiamo dicendo? Perché Alessandro è uno di voi, un autore che ha iniziato come tanti altri, mettendo in gioco la propria passione e i propri sogni. Nella vita lavora presso le Ferrovie dello Stato, un lavoro logorante che spesso lo porta a contatto con la parte più oscura del genere umano, ma anche con “vecchiette” deliziose che lo prendono per mano e lo conducono lontano da una discussione accesa. Alessandro però non scrive di vecchietti o di passeggeri che vogliono aver ragione anche quando non hanno il biglietto o quando si comportano in modo fastidioso, arrecando disturbo agli altri; lui racconta le gesta avventurose di soldati, agenti segreti, complottisti e attentatori. Non solo, scrive, attraverso il suo blog, anche articoli che parlano delle nostre Forze Armate, approfondimenti che trasmettono ai lettori la sua passione per un Paese che ha un passato glorioso e che, ancora adesso, lascia nel DNA di molti quel fiero orgoglio di poter appartenere a un’utopia.

E nel tempo, questa sua passione si è trasformata aiutandolo ad affinare lo stile, a rendere ancora più realistici e umani i suoi personaggi, a raccontare storie così attuali da ritrovarle scritte nei giornali, come fatti di cronaca vera, nell’arco di pochi mesi. Alessandro è un autore dei nostri tempi, calato in un quotidiano modo di vivere che appartiene a chiunque di noi: un padre di famiglia e un marito premuroso.

Eppure, nonostante questo suo apparente stato di “normalità”, possiede un talento indubbio che lo porta a resistere perennemente nelle classifiche di Amazon e non solo entro i primi 100 di una determinata categoria, anche nella classifica Top 100 dei bestseller assoluti.

E, con cotanto risultato, possiamo forse non essere orgogliosi di lui?

Paolo Fiorino e la sua esperienza con EEE

Paolo Fiorino è uno scrittore dalle grandi doti naturali e il suo romanzo storico, Eroi nel nulla ne è la riprova. Tuttavia, non fatevi fuorviare, al di sotto dell’immagine seria e competente si nasconde un animo gioioso che non vede l’ora di esprimere anche la sua parte più ironica e goliardica. #EEE #autoriEEE

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Paolo Fiorino e la sua esperienza con EEE

di Paolo Fiorino

Era una notte buia e tempestosa…

Questo, oltre che l’incipit preferito da Snoopy per i suoi racconti, potrebbe essere anche l’inizio di un immaginario romanzo sull’avventura dello scrittore che tenta di attraversare il mare burrascoso della pubblicazione.

L’unico modo di attraversare questo mare, seguendo la rotta sicura che permette di lasciarsi alle spalle le sirene tentatrici degli editori a pagamento, che lo attirano  solo per approfittare dei suoi sogni, gli scogli dei rifiuti che rischiano squarciare la fragile chiglia della sua voglia di scrivere, e i mostri marini dell’indifferenza che rischiano di stritolarlo e sommergerlo, è avere una buona nave, robusta e con un grande equipaggio. Ma una buona nave e un buon equipaggio non bastano, sono nulla senza una guida esperta.

E qui sta la forza della nostra nave: Capitan Piera al comando, l’editora che sa come far mantenere la rotta, Il primo ufficiale Irma, la guida che ha sempre una buona parola per tutti ma che non lesina ceffoni quando servono, l’ufficiale di macchina Andrea, animo poetico  sempre pronto a oliare i meccanismi del gruppo e poi Marina e tutti gli altri componenti dell’equipaggio che cercano sempre di tirare fuori il meglio da un pugno eterogeneo di marinai che, quando ci si mettono d’impegno, remando tutti nella stessa direzione, hanno la forza di spingere la nave fuori dalla burrasca.

Alla fine, per chi sceglie di farne parte, la nave EEE è come una casa, una famiglia di cui essere fieri e orgogliosi. Su questa nave, come in tutte le famiglie, ci si aiuta quando ce n’è bisogno e si impara. È un lavoro faticoso e continuo, per il quale servono anche i no, non quelli gratuiti e distruttivi ma quelli motivati e seguiti dai consigli.

Di notti buie e tempestose l’autore medio vi posso assicurare che ne vive parecchie, ma in questo mare un approdo sicuro esiste e io l’ho trovato al porto della EEE.

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Danae Lorne e la sua esperienza

Danae Lorne è un’autrice schiva eppure appassionata. E lo è a tal punto che i suoi libri sono carichi di quella sensualità che solo una persona dotata di grande sensibilità potrebbe scrivere e riuscire a trasmettere. Per quanto la s’incontri di rado in rete, la sua presenza aleggia in modo costante in ogni nostra iniziativa e il suo appoggio non manca mai. #EEE #autoriEEE

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Danae Lorne e la sua esperienza con EEE

di Danae Lorne

Una famosa frase di Fernando Pessoa recita così: La letteratura, come ogni altra forma d’arte, è la dimostrazione che la vita non basta.

Per me è sempre stato così.

Da bambina ricordo che a occhi chiusi sognavo spesso altri mondi, altri scenari, altri amici, altre emozioni. Era entusiasmante, confortante. Ero altrove, riuscivo ad essere dove volevo. Una propensione naturale che negli anni si è dimostrato il mio più grande punto di forza e nello stesso tempo, forse, la mia più grande debolezza.

Si perché quando ho cominciato a scrivere sul serio, l’ho fatto per “scappare” da una situazione scomoda.

A volte scappare è l’unico rimedio che ti resta. E allora esternare il mio mondo interiore attraverso la scrittura all’inizio è stato necessario, quasi terapeutico perché  quello che è venuto fuori alla fine mi ha fatto bene, è stato come rifugiarmi in un luogo che non ha nome ma che sa tutto di me, e se ne sa prendere cura.

Questo è ancora il motivo principale che mi spinge a scrivere, anche se non smetterò mai di ringraziare Piera Rossotti, la mia “editora”, che per prima mi ha regalato la gioia e l’immensa soddisfazione di poter condividere tutto questo con i miei lettori.

Il mio primo contatto con la sua casa editrice è avvenuto attraverso un importante ed utilissimo sito (www.danaelibri.it) gestito da lei e dai suoi collaboratori. Ne Il Rifugio degli esordienti avevo trovato dritte importanti per presentare il mio romanzo alle varie case editrici, nel modo più appropriato.

Ricordo ancora l’emozione che provai quando, qualche tempo dopo, nella cassetta della posta, trovai due buste formato A4 contenenti le proposte di due case editrici. Ero felice, li lessi con attenzione e li misi da parte, in attesa di qualcosa… di altro. Quando mi arrivò la mail di Piera e la sua di proposta editoriale la accettai senza riserve. Il suo motto “Sono un editore scopritore di talenti e non un detentore di diritti” sbandierato nella home del vecchio sito della casa editrice (www.edizioniesordienti.com) mi  inorgogliva non poco e in seguito ho avuto modo di constatare che non si trattava solo di uno slogan pubblicitario. Con loro ho pubblicato la mia prima trilogia ed ho avuto la grandissima soddisfazione di ritrovare i miei romanzi in tutte le più importanti piattaforme della rete. La mia casa editrice è cresciuta moltissimo in questi ultimi tre anni, ed ogni loro passo è sempre stato contraddistinto dalla serietà e dalla passione.

Sono orgogliosa di fare parte di questa grande famiglia che spero di conoscere di persona al più presto.

Giancarlo Ibba e la sua esperienza

Giancarlo Ibba è l’autore che meglio rappresenta il New Gothic nel panorama letterario italiano e le sue storie, ambientate su suolo nostrano, specialmente nella sua amata Sardegna, portano il lettore a immergersi nell’orrore puro dato dal quotidiano. Come lo stesso Giancarlo afferma, non c’è nulla di più terrificante del terrore che scaturisce dalla normalità. #EEE #autoriEEE

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Giancarlo Ibba e la sua esperienza con EEE

di Giancarlo Ibba

Il mio primo contatto con la EEE risale all’ottobre 2011. Mi trovavo in Sardegna per trascorrere le ferie al caldo (nel Profondo Sulcis l’autunno arriva più o meno nel periodo natalizio) e ricaricare le batterie in vista della prossima Stagione Invernale. Un pomeriggio, mentre con la pancia piena dei manicaretti materni e del vino paterno contemplavo dalla sedia a sdraio l’oscillare delle fronde degli ulivi nel giardino, ricevetti una telefonata della Fidanzata. “Ho trovato su internet una nuova Casa Editrice che cerca manoscritti di autori esordienti!” annunciò. Con il mio solito entusiasmo pomeridiano post-banchetto, ho replicato: “Ah-ah.”

“Ti segno la mail?”

Risposta (immaginatela con lo stesso tono stralunato di Forrest Gump): “Okay”.

La mia scarsa eccitazione, oltre alla digestione lenta e i postumi del Cannonau di Jerzu, era dovuta principalmente a due fatti: primo, fino ad allora i miei tentativi di comunicare con una CE erano stati inutili; secondo, nonostante tutti gli amici che mi dicevano il contrario, io non ero ancora convinto di essere abbastanza bravo nello scrivere da poter addirittura pubblicare un libro. Alla fine del Liceo Scientifico, dopo aver vinto una Targa Premio in un Concorso Letterario Comunale, avevo spedito a un Presunto Editore un manoscritto intitolato “Verdetto Invisibile” (quello che oggi costituisce il nucleo originale de “L’alba del Sacrificio”). Qualche settimana dopo mi arrivò per posta un plico con la risposta. In breve, la storia era piaciuta (a chi? Dettaglio non specificato) e si voleva procedere con la pubblicazione. Facile, no? Dov’era la fregatura, direte voi? La fregatura era che mi si chiedeva un contributo di 7.500.000 lire e l’acquisto preventivo di minimo 500 copie.

Declinai l’offerta, ovviamente. A quei tempi, quasi diciottenne, tutte le somme oltre i tre zeri mi erano praticamente sconosciute. La paghetta settimanale, somministrata dai genitori ai figli, era un concetto mitologico, qualcosa che esisteva soltanto nei telefilm americani tipo “Casa Keaton”. L’unica paga che conoscevo era quella di mio padre, che arrivava il 27 di ogni mese (con il senno di poi, tutto sommato ero un privilegiato) e dovevamo farla bastare fino al 27 successivo. Quando andava bene, sbrigando qualche commissione o lavoretto, con grande parsimonia riuscivo a racimolare gli spiccioli per acquistare un pallone da calcetto Tango (5000 lire), un gelato (rigorosamente un ghiacciolo al limone, con il suo duro e appiccicoso bastoncino di liquirizia, prezzo 250 lire) e qualche caramella alla menta (25 lire ciascuna).

Non ho più spedito nulla fino ai tempi dell’università, quando, sollecitato dai pochi lettori-cavie dei miei raccontini horror, decisi di riprovarci. Non avevo grosse aspettative, ma perlomeno li avrei fatti contenti. Così investii in grandi buste arancioni, fotocopie rilegate e francobolli, una frazione del mio budget extra annuale. Questo extra proveniva dal lavoro estivo a cui nel frattempo mi ero dedicato… ma questa è un’altra storia, come si dice.

Tagliando corto, tutti i manoscritti inviati a CE più o meno grandi non ricevettero risposta e finirono chissà dove. In un certo senso, ne fui anche contento, perché in fondo mi vergognavo delle assurdità che andavo scrivendo. Così, smisi di pensarci e mi dedicai con pazienza a trasferire dal cartaceo al digitale le pagine dei miei block notes, malamente imbrattate di inchiostro in quegli anni spensierati e fuggevoli. Nel frattempo scrissi altre cose, parecchie incompiute, tra le quali un romanzo breve intitolato “Ragazzi Normali”.

E con “Ragazzi Normali” ritorniamo all’autunno del 2011.

Finite le ferie e tornato alle fresche montagne della Valle d’Aosta, recuperai l’indirizzo email e inviai in lettura alla EEE il file word di un romanzo horror intitolato “Frammenti di Terrore”. In poche parole, si trattava della versione espansa, corretta e rivista, del racconto adolescenziale spedito al Presunto Editore.

Immediatamente (grande novità!) ricevetti una risposta automatica di avvenuto ricevimento. Il giorno seguente una cortese mail della signora Piera Rossotti mi informava che il file era stato messo in lista di attesa per la lettura. I tempi previsti per un responso erano di circa sei/otto mesi e, in ogni caso, mi sarebbe stata fornita una scheda di lettura e un parere obbiettivo sulle possibilità di pubblicazione.

Benissimo, pensai.

Ho tanti difetti, ma come quasi tutti i Sardi (evoluzione genetica dovuta alla pratica millenaria della pastorizia?) possiedo la virtù della pazienza. Così, mi dedicai ad altre faccende e lasciai che il tempo facesse il suo corso. In primavera, inattesa, ricevetti un’altra mail con allegata scheda di valutazione. Mi aspettavo quattro righe messe in croce (come era accaduto con il Presunto Editore, invece mi trovai sotto gli occhi un paio di pagine belle fitte. Ogni aspetto della mia “opera” era stato analizzato, evidenziandone i pregi e sottolineando i numerosi difetti. In definitiva, la conclusione era: così com’è adesso il romanzo non mi convince e non lo riteniamo pubblicabile. Non me la presi. Scrissi una lettera di ringraziamento per il lavoro svolto e, comunque, anche solo per avermi degnato di una risposta. Ne nacque un breve scambio epistolare digitale con la signora Rossotti, dove lei mi spiegò che parte delle sue perplessità sul mio romanzo (oltre alla incasinata struttura temporale non lineare) derivavano da un fatto di gusto personale: non le piacevano le storie di autori italiani ambientate negli Stati Uniti. Perché non provare ad ambientare il racconto in Sardegna? buttò lì, semplicemente. Accettai il suggerimento e le risposi che avrei riscritto tutta la vicenda da capo, localizzandola nel Sulcis. Già mentre scrivevo questa risposta, un bel po’ di nuove idee mi balzarono in mente. Non ero sicuro di farcela, ma avrei di certo fatto del mio meglio.

Passò qualche mese. Cominciai a riscrivere “Frammenti di Terrore” e, nel frattempo, ripassai per l’ennesima volta il file di “Ragazzi Normali”. Pensavo: questa storiella di studenti fuoricorso e docenti fatti a pezzi potrebbe piacere o no? A fine giugno, superando la mia ritrosia, inviai in lettura il file alla EEE. A questo punto della narrazione dovete sapere una cosa: il primo romanzo era il mio figlio preferito (il primogenito), mentre il secondo lo consideravo un figlio… minore. Perché? Perché uno era stato scritto in vent’anni, mentre l’altro in poco più di un mese, senza sforzo e senza mai richiedere grandi modifiche.

Figli e figliastri, insomma.

Comunque sia, a questo punto accade una cosa curiosa. Per vari motivi, resto un mesetto senza ispezionare la mail, anche perché in quel periodo ricevevo soltanto spam, pubblicità e poco altro. Un giorno di fine luglio controllo la casella di posta elettronica e, in cima alla lista delle ricevute, trovo una mail della Rossotti. La apro e leggo: Buongiorno. Allora, pubblichiamo? Resto di stucco. Così scorro in basso la lista e trovo un’altra mail, scritta una settimana prima. Mi comunicava che aveva letto personalmente “Ragazzi Normali”, le era piaciuto (a parte il fatto che non avrebbe più guardato le braciole di maiale e le cernie negli acquari con gli stessi occhi di prima) e voleva pubblicarlo. Naturalmente, accettai la proposta. La correzione della bozza richiese pochissimo tempo: decidemmo di cambiare il titolo in “La vendetta è un gusto”, eliminammo qualche refuso e un errore madornale riguardo agli stipiti che sbattono.

Ad ogni modo, credo di essere uno dei pochi aspiranti scrittori che si è perso la prima mail che gli annunciava la prossima pubblicazione del suo romanzo d’esordio. Bella roba, eh? Tuttavia, quelle due parole, tra lo stupito e l’impaziente (allora, pubblichiamo?), mi sono rimaste impresse. Del resto, a mia parziale giustificazione, come potevo aspettarmi una risposta dopo nemmeno un mese?

Ai primi di agosto il contratto editoriale era firmato e l’ebook pubblicato nei vari store digitali.

Nel giro di dieci mesi ero entrato nel catalogo e nella scuderia EEE, a quell’epoca ancora esiguo, ma con buone prospettive per il futuro, come ripeteva spesso Renato Pozzetto nel film “Il ragazzo di campagna”.

Con i piedi ben saldi sul terreno, come sempre, la signora Rossotti mi comunicò di non aspettarmi grandi cose, poiché il mercato digitale era solo agli inizi e un autore sconosciuto poteva considerarsi soddisfatto se raggiungeva le 500 copie vendute. Io, che di solito non mi aspetto niente di buono dalla vita, pensai che ero già soddisfatto soltanto per aver pubblicato. Potete darmi torto? Le aspettative generano frustrazione, diceva Buddha.

In ogni caso, sorprendentemente, “La vendetta è un gusto” cominciò a vendere. Superò le 500, le 1000 e le 1500 copie, piazzandosi anche per qualche tempo in cima alla classifica generale di Amazon Kindle. Uno dei primi inaspettati bestseller della EEE, testuali parole della signora Rossotti durante l’emozionante Salone del Libro 2012 (il primo della mia vita), e ne vado fiero e orgoglioso!

Per concludere, oggi, quattro anni dopo gli eventi narrati nelle ultime righe di questo lungo resoconto, posso affermare (ma penso che si sia capito, no?) che la mia esperienza con la EEE e l’esimia editora Piera Rossotti è stata, è e sarà molto positiva. La EEE è una Casa Editrice a misura d’uomo (a misura d’autore, oserei affermare), dove è possibile creare un rapporto personale oltre che professionale con la boss e con gli altri colleghi (quelli che ho conosciuto, perlomeno), un rapporto basato sul rispetto reciproco, la collaborazione e la franchezza delle opinioni. L’importante, come ho già detto, è restare tutti con i piedi per terra e la testa fra le nuvole. Infine, dove altro avrebbe potuto trovare il ragazzo di campagna che vive in me, un’editora a cui dare impunemente del tu se non alla EEE?

Giorgio Bianco e il valore terapeutico della scrittura

Giorgio Bianco e il valore terapeutico della scrittura

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di Giorgio Bianco

Ho sempre avuto un rapporto difficile con le terapie, compresa quella dell’inchiostro. Per provare a spiegarlo, devo però partire da un altro fluido: l’acqua. Quand’ero bambino amavo la pioggia. Ero l’unico. Amichetti e compagni di scuola mi prendevano in giro. Poi mettevano su il broncio: pensavano alla gita rimandata, alla mamma che vieta di andare nel parco a giocare a pallone. Io invece ero felice. Perché la pioggia mi trasmetteva, e lo fa ancora, una sensazione di intimità calda, di amicizia e famiglia, il desiderio di raccogliersi. La pioggia fuori, il fuoco dentro. Sedersi sul pavimento, ascoltare canzoni, parlare. Raccontare storie. Ecco. Nacque così la mia voglia di scrivere, di aprirmi al mondo sfidando l’intemperie oltre la finestra. Rivoli d’acqua si aprivano strade dalle curve imprevedibili lungo i vetri, la grondaia si divideva fra ritmo e melodia, i tetti ondeggiavano deformi nel riflesso delle pozzanghere. Quante cose da scrivere. Poco per volta, cominciai a farlo. Su piccoli quaderni o grandi blocchi per appunti. Mi piaceva l’inchiostro verde. Oggi ho quasi 52 anni e uso il computer, ma le storie continuano a uscirmi dalle dita. Anzi, il desiderio si è perfezionato in una specie di smania, la provo anche in questo momento.

Ma la smania è salubre? E scrivere è terapeutico? Difficile dirlo, per me. Scrivo quasi ogni giorno, quindi non ho termini di paragone in negativo. In linea generale sono una persona sofferente. Qualcuno mi ha detto che la mia intelligenza emotiva è sproporzionata rispetto a quella razionale. Una diagnosi semplice, per chi mi conosce. In ogni caso credo che l’idea della scrittura terapeutica si leghi al fatto di “buttare fuori”, cioè di liberare la negatività affidandola all’inchiostro. Può essere. Io però scrivo molto spesso sotto la spinta dal tormento. Le mie storie sono sì un inno alla vita, addirittura all’avidità della vita. Ma sono anche piene di gente sconfitta, fragile, che paga a caro prezzo l’intensità delle proprie emozioni, dei sentimenti.

Mettiamola così. Forse scrivere non è terapeutico, ma è una buona compagnia. Di più: aiuta a dare una forma precisa ai nostri dolori, a conoscerli meglio. Non sarà una cura, ma almeno è un passo avanti. In effetti, mentre scrivo mi capita spesso di piangere. Ma quando spengo il computer sento di aver scaricato il peggio, di essermi sfogato. Non una guarigione definitiva, ma almeno un antidolorifico.

Inoltre possiamo prendere il discorso dal verso opposto: se io non potessi più scrivere starei sicuramente peggio, dunque scrivere è essenziale per salvarmi la salute. Cito il grande musicista Lou Reed: “Prima bevevo due bottiglie di whiskey al giorno, ma da quando ho iniziato a fumare quattro pacchetti di sigarette, ho ridotto a una sola bottiglia. Quindi, dal mio punto di vista, il fumo è tutta salute!”.

Sarebbe bello avere risposte certe, vero? Io invece sono bravo soltanto con le domande, purtroppo. Però una cosa la dico spesso e ora la ripeto volentieri a voi, amici di penna. Scrivere un libro è come raccontare tutto a un amico: alla fine lo ringrazi per essere rimasto in silenzio mentre facevi chiarezza con te stesso.

I laboratori di scrittura di Chiara Curione

La mia esperienza sui laboratori di scrittura creativa e di lettura

di Chiara Curione

Parlare dei miei laboratori di scrittura creativa significa andare a ritroso nel tempo e raccontare in un certo senso il mio percorso di scrittrice fino ad oggi, dove la Biblioteca ha sempre avuto un ruolo importante.

IMG-20160315-WA0002Il contatto con la Biblioteca è stato una tappa fondamentale per il mio lavoro di scrittrice, soprattutto dopo l’uscita del mio primo romanzo “La sartoria di Matilde”.  Infatti, subito dopo ho iniziato collaborando con i laboratori di lettura della biblioteca di Gioia del Colle, il paese in cui vivo, organizzati da Cinzia Losito e scrivendo storie per i bambini.

L’ambiente della nostra biblioteca attento alle novità e sensibile alla promozione della cultura, grazie alla competenza del personale e della bibliotecaria Arianna Addabbo, ha sempre creato un’atmosfera particolare, fornendomi libri interessanti capaci di stimolare la mia curiosità e fantasia per i testi che avevo intenzione di realizzare. Qui con Cinzia Losito che progettava i laboratori, Giovanna Laverminella che realizzava i disegni per le storie da raccontare ai bambini e Cataldo Donvito che suggeriva le letture, cominciai  scrivendo le fiabe storiche su Federico II.

Ci fu molto entusiasmo per l’idea che avevo di raccontare le vicende storiche dell’imperatore svevo e la sua discendenza in modo diverso. Pensando che anche la storia, quella reale, si potesse raccontare come una fiaba, decisi di unire elementi reali a elementi fantastici e leggendari, notando che i testi realizzati in questo modo attiravano i bambini e li avvicinavano alla storia. In breve tempo, il libro che avevo realizzato con le fiabe storiche “le Imprese di Federico II” fu pubblicato e adottato in numerose scuole come testo di narrativa e usato per laboratori di lettura. Dopo questa esperienza ci fu la pubblicazione di un altro mio lavoro: il romanzo storico sul brigantaggio dal titolo “Un eroe dalla parte sbagliata”, pensato proprio per raccontare ai ragazzi in modo semplice le complesse vicende del periodo storico Post-Unitario e della tragedia che segnò il sud Italia da quel momento in poi.

Vedere che i miei libri avevano successo presso le scuole e soprattutto che piacevano ai ragazzi mi ha dato la voglia di fare un passo in più. Trasmettere le tecniche della scrittura creativa, stimolando la fantasia che è racchiusa in loro e progettando dei laboratori di scrittura creativa. Tempo dopo, grazie all’incontro con Viviana Basile che è esperta di animazione, c’è stata l’idea di realizzare dei laboratori particolarmente avvincenti per i ragazzi con l’animazione.

Il primo di questi laboratori per bambini di nove anni ci è stato richiesto dall’associazione culturale “La casa del sorriso” ed è stato incentrato sulla figura di san Filippo Neri. Un personaggio fuori dalle righe, un uomo che univa ragazzi di estrazione sociale diversa, che amava il canto e la preghiera, un sacerdote che diventava un burlone con le sue strane penitenze date ai fedeli. Avevamo la certezza che i bambini si sarebbero incuriositi ascoltando le vicende della sua vita, tuttavia nessuno si aspettava che da questo laboratorio sarebbe nato un libro.

I bambini erano talmente attratti dalla vita del Santo che alla fine sembrava l’avessero conosciuto di persona, quando con l’animazione si entrava nell’atmosfera della vita cinquecentesca di Roma. Grazie a quest’idea i bambini si sentivano parte integrante dell’Oratorio creato da san Filippo, dopo ascoltavano una lezione di tecnica di scrittura creativa e partivano con la stesura dei loro racconti. Per ogni incontro i partecipanti hanno scritto delle storie incredibili, rapportandosi alla vita del Santo sia nel presente sia nel passato e nel futuro.

20151227_103859Da questo laboratorio, infatti, è nato un libro dal titolo “Noi bambini e San Filippo” che raccoglie i loro racconti, tutti originali e alcuni anche abbastanza ironici. In seguito abbiamo organizzato laboratori di scrittura creativa per i ragazzi più grandi, incentrandoli sulla figura di Federico II perché la Puglia in cui vivo era la sua amata terra. Qui, dai tanti castelli alle numerose cattedrali, tutto parla ancora di lui. Da questo laboratorio, in cui operavamo in tre con Viviana Basile e Marianna La Carbonara, esperta di arte, abbiamo realizzato qualcosa di più originale: calamite, segnalibri e calendari con illustrazioni tratte da codici miniati, queste opere sono accompagnate da iscrizioni tratte dagli incipit dei racconti elaborati dai ragazzi. Riuscire a trasmettere le tecniche di scrittura creativa ai più giovani è sicuramente un’attività interessante per uno scrittore, si dà e si riceve molto da queste esperienze, si va alla continua ricerca di testi che possano stimolare la fantasia, letture in cui facilmente ci si immedesima con i protagonisti, testi che possano essere per i partecipanti fonte di ispirazione, con incipit capaci di catturare il lettore  e dialoghi ad effetto.

Dopo quest’attività, abbiamo continuato organizzando i laboratori di lettura per i più piccoli in collaborazione con la Biblioteca. Determinate ad approfondire la lettura attraverso i nostri laboratori, cercando di catturare al massimo l’attenzione dei partecipanti, abbiamo elaborato in collaborazione con Cinzia Losito e Viviana Basile un progetto che ha l’obiettivo di ampliare le potenzialità dei bambini attraverso la lettura animata e il gioco creativo, suscitando un collegamento tra immaginazione e fantasia. In questo modo stiamo realizzando dei laboratori di lettura per bambini dai tre ai nove anni, seguendo l’idea di Rodari che riduce le funzioni di Propp a venti più uno, cioè l’inizio.

Propp, che era un antropologo e linguista, studiò le origini storiche della fiaba nelle società tribali traendone una struttura che rappresenta un modello per tutte le narrazioni. Si tratta di uno schema in cui identificò trentuno sequenze che compongono il racconto e rappresentano le situazioni tipiche dello svolgimento della trama di una fiaba, riferendosi in particolare ai personaggi e ai loro ruoli. Ma grazie a Rodari, sperimentando il suo metodo che gioca con la fantasia e l’immaginazione, i bambini hanno un approccio diverso con le storie, diventando loro stessi autori di nuove storie, così il laboratorio di lettura diventa magico.

Noi cominciamo con lettura animata delle storie, poi proponiamo di formare delle squadre per un gioco con le tavole illustrate con le quali i bambini devono rielaborare a modo loro la storia che hanno ascoltato. Il fatto straordinario che emerge alla fine di ogni laboratorio è che le storie inventate dai bambini attraverso le immagini sono realmente fantastiche, potrei definirle un misto di realtà e fantasia, con il solito lieto fine. Ai nostri laboratori hanno partecipato numerose classi e tutti i bambini hanno mostrato grande interesse. Ecco come l’ascolto di una storia, l’approfondimento della lettura attraverso i personaggi e il gioco di smontare e ricostruire una nuova storia anima i nostri laboratori, entusiasma i bambini.

Il mio contatto con la Biblioteca continua a essere fonte di nuove idee e motivo di ricerca per un mare di racconti. I programmi sono tanti, difficile è poterli realizzare tutti.

L’attività dei laboratori attraverso i quali si elaborano modi diversi per giocare con le parole, creare nuove storie, tramandare i miti e le leggende ci entusiasma sempre e ci fa notare come la semplicità dei bambini e la loro capacità di vedere oltre l’apparenza e giungere alla sostanza delle cose ci sorprende continuamente, facendoci riscoprire anche da adulti il fanciullo che resta sempre dentro di noi.

Bruno Bruni e la sua esperienza

Bruno Bruni ha il piglio del sognatore incallito, anche se un po’ disilluso dalle esperienze. Eppure, sotto quella scorza, nasconde un’anima in grado di regalare grandi emozioni, a 360 gradi. Conoscerlo e comprendere di essere di fronte a un vero “personaggio” è davvero un tutt’uno… poi, quando si riesce a conoscere anche sua moglie Paola, allora tutto diventa chiaro: il sogno è reale, tangibile ed è diventato una gran bella coppia. #EEE #autoriEEE

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Bruno Bruni e la sua esperienza con EEE

di Bruno Bruni

Ho inviato manoscritti a molte case editrici, grandi e piccole. Quasi tutte mi hanno ignorato senza problemi. Solo tre mi hanno risposto. La prima, una piccolissima, di cui non ricordo più il nome, che gentilmente mi spiegava come il mio romanzo non fosse in linea con i loro piani editoriali. La seconda è stata l’Editore “Il giovane Holden”. Disposti a pubblicare in cambio di un acquisto di molte copie da parte mia. Ho declinato. Terza è arrivata EEE.

A dirla tutta, anche EEE un mio romanzo, “I Viandanti”, lo aveva rifiutato. Dicendomi onestamente che non era piaciuto. Altrettanto onestamente, penso sia stata una errata valutazione. Ma io sono testardo, ne ho inviato un secondo, Voce e pianoforte… E stavolta è andata bene. Ebook pubblicato. Soddisfazione da parte mia, naturalmente. Non esultanza né sbalordimento. Sono troppo vecchio, troppo scettico, per esultare facilmente. E poi, credo, di essere sempre stato conscio di aver scritto un buon romanzo, ne ero convinto già mentre lo scrivevo, completamente immerso nella storia. Quindi, soddisfazione per essere pubblicato ma anche convinzione che fosse, come dire, quasi inevitabile che accadesse. Con tanti saluti alla modestia…

Come mi sono trovato in casa EEE? Bene, naturalmente. Editore ben strutturato, con idee chiare e capacità di scegliere buoni autori. E poi, e questa è forse la cosa migliore, qui si fa parte di un gruppo, non si è mai soli. Noi scrittori siamo un poco… ipocondriaci (mi passate l’espressione?) e trovare gente paziente e comprensiva che ci rassicura, beh, non è certo cosa da poco!

Un’altra cosa, però, ci tenevo a dirla. Una cosa forse solo mia, non so. Ho amato i miei personaggi dal primo istante in cui li ho… incontrati, credo di averlo detto anche nell’intervista. Ma prima, quando erano inediti, erano un amore segreto, quasi vergognoso, nascosto nella mia testa. Adesso è diverso. Adesso, che chiunque lo voglia possa leggere le loro storie, amarli come me, o anche detestarli, non importa, non sono più segreti. Non sono più solo miei. Sono diventati “veri”.

È come se fossero nati, diventati esseri in carne e ossa che camminano per le strade di questo mondo. Per me è la sensazione più appagante che abbia mai provato. E non dispero di incontrarli veramente, un giorno, in un bar, in un viale. Per poterli salutare, e dirgli “Visto? Ve lo avevo detto che vi avrei fatto uscire dalle pagine. Ringraziate me, e ringraziate Edizioni Esordienti Ebook, testoni…”

Andrea Ravel e la sua esperienza

Claudio e Filiberto Arnaudo (Andrea Ravel per i lettori), rispettivamente padre e figlio, sono gli autori del ciclo Il Longobardo, serie di romanzi storici dedicati a una delle radici più importanti del nostro passato. Claudio rappresenta “pubblicamente” un po’ entrambi e possiede uno spirito decisamente carico di allegria (anche se a prima vista nessuno lo direbbe), in grado di abbattere le mura di Gerico. #EEE #autoriEEE

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Andrea Ravel e la sua esperienza con EEE

di Claudio Arnaudo

Dire EEE e dire Piera Rossotti Pogliano è un po’ la stessa cosa e il mio primo incontro con EEE è avvenuto proprio attraverso una telefonata con la Signora Rossotti in persona.

Era un pigro giovedì pomeriggio di fine Agosto 2014 e stavo per entrare in piscina quando suona il cellulare…

“Buongiorno Signor Arnaudo, sono Piera Rossotti etc etc… il suo romanzo è arrivato secondo al nostro concorso per i romanzi storici.”

“Secondo? E perché non primo” rispondo, pentendomi immediatamente. (Mia moglie dice, a ragione, che sono impulsivo, ho un pessimo carattere e invecchiando non miglioro). Dall’altra parte percepisco un momento di sbalordimento, vorrei rimediare in qualche modo ma forse il silenzio è la scelta preferibile.

“Se lei è d’accordo” continua imperturbabile la Signora “penserei di pubblicarlo. Ma, come prima cosa, occorre cambiare il titolo. Quello che ha scelto non va assolutamente bene.”

“A parte il fatto che ci abbiamo messo due anni (io e mio figlio) a sceglierlo” replico decisamente irritato “a me pare perfetto.”

“È un titolo che fa pensare a un romanzo a metà tra il fantasy e il racconto a sfondo religioso. Io detesto il fantasy e i romanzi religiosi non li legge nessuno!”

Vi risparmio il seguito della conversazione, soprattutto quando mi ha intimato di accorciare il manoscritto entro il limite massimo delle battute previste. Devo dire che aveva, naturalmente, ragione più o meno su tutto: il titolo era pessimo, ma soprattutto non dava l’idea del tipo di romanzo che avevamo scritto.

Questo è stato il mio approccio a EEE, traumatico al punto che ancora non riesco a rivolgermi al mio editore che in due modi: o Signora Rossotti Pogliano o Professoressa Rossotti. Inutile dire che il rapporto è poi migliorato e da un po’ di tempo sto riflettendo sulla possibilità di proporle di darci del tu e magari chiamarci per nome, ma non è niente di più che un’idea. Anche se, devo dire, Professoressa Piera (Rossotti) non suona poi tanto male.

Irma Panova Maino e il valore terapeutico della scrittura

Irma Panova Maino e il valore terapeutico della scrittura

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di Irma Panova Maino

Scrivere crea un senso di liberazione, di sollievo e diventa una vera “palestra” in cui sfogare tutte le energie, le frustrazioni e persino le delusioni.

Altrimenti perché mai si dovrebbe scrivere? A scuola impariamo l’arte della scrittura puramente a livello “tecnico”, prima a mettere insieme le lettere, scritte con bella mano, e poi a mettere insieme le parole, stando attenti a tutte le regole grammaticali che distinguono un testo comprensibile da uno poco leggibile. Tuttavia, nessuno insegna come esternare ciò che si ha dentro. Non esiste alcuna legge, suggerimento, elenco che possa fornire istruzioni adeguate sul valore dell’esternazione e su come questa possa essere effettuata. Soprattutto non sono segnalate le controindicazioni, anche se queste poi esistono con l’andare del tempo.

Spesso basterebbe mettere nero su bianco i propri pensieri per cogliere le soluzioni, per sciogliere i nodi e arrivare al nocciolo effettivo di una questione. Forse tanti dubbi e malintesi, soprattutto discussioni, non ci sarebbero nemmeno se solo si fosse perso un po’ di tempo nell’analizzare, per iscritto, i pensieri e le ipotesi. Forse, molta violenza verbale si esaurirebbe sopra un foglio di carta, anche se virtuale, lasciando lì la propria impronta e non sopra altri volti o altra carne.

Il forse, purtroppo, è d’obbligo, ma tant’è che molti autori (e loro lo sanno), utilizzano proprio la scrittura per eviscerare dall’anima tutta la negatività che li circonda, offrendo buoni spunti alla positività e alla speranza. Sono sogni, è vero, mere chimere che a volte possono produrre un effetto risonante piuttosto spiacevole, ma è il carattere dello scrittore che alla fine predomina e il suo stile, il suo bisogno di esprimersi, talvolta, resta tristemente legato al proprio scritto. Quindi, se da una parte è vero che nella maggior parte dei casi lo scrivere può calmare l’anima, dall’altra è anche vero che può diventare la fonte di altre paranoie, fornendo spunti ulteriori per estraniarsi dai rapporti sociali. Forse, per questo molti scrittori diventano esseri solitari, chiusi nei propri mondi immaginari, intrappolati fra trame e personaggi.

Provate a immaginare cosa accadrebbe se doveste svegliarvi e scoprire che siete stati catapultati in uno dei vostri libri…

Gli autori horror potrebbero iniziare a provare serie apprensioni, ma anche per altri generi non sarebbe così semplice uscire indenni dall’immaginario. Dunque, nei nostri scritti riversiamo ciò che il nostro subconscio elabora, creando altre realtà parallele e se questo da una parte ci libera dalla pesantezza dei pensieri, dall’altra frustra le aspettative, diventando, talvolta, un circolo vizioso, pronto per essere sfogato nel libro successivo.