Il Longobardo

DIECI DOMANDE AD ANDREA RAVEL

Dieci domande ad Andrea Ravel, a cura di Claudio Arnaudo

Il Longobardo è un libro scritto a 4 mani e si è classificato secondo nel concorso indetto da EEE per i romanzi storici. Questa l’intervista curata da Claudio Arnaudo ai due autori.

Il Longobardo

Siete padre e figlio, e scrivete in coppia, perché avete scelto di utilizzare uno pseudonimo invece dei vostri veri nomi?

Potremmo rispondere che i nostri nomi e cognome sono molto lunghi e occuperebbero una buona parte della copertina del libro. Questo è sicuramente vero, ma il motivo principale che ci ha spinti a scegliere uno pseudonimo è che Andrea Ravel è un elegante nom de plume, facile da ricordare e fa pensare subito a Ravello. Il nostro progetto, infatti, è quello di raccontare una saga familiare in più libri e ci piaceva l’idea che fosse proprio un membro della famiglia a scriverne la storia.

A questo proposito, non è irrealistico pensare ad una famiglia con una storia così lunga e ad una genealogia ininterrotta?

Non è frequente, ma è assolutamente possibile. Pensiamo ai Savoia o ai Capetingi. In Inghilterra molte famiglie nobiliari risalgono all’epoca della conquista normanna. Io stesso ho un amico i cui antenati sono entrati in Italia al seguito di Carlo Magno.

Perché avete scelto di scrivere un romanzo storico? E’ un genere che richiede molto lavoro di documentazione ed è facile commettere errori o anacronismi.

Siamo entrambi appassionati di romanzi storici e d’avventura e volevamo provare a scrivere una delle storie che ci sarebbe piaciuto leggere. Per quanto riguarda gli errori se ne possono commettere scrivendo qualsiasi opera di finzione. Siamo certi di averne commessi anche in “Terra di conquista” (speriamo pochissimi).

Potete fare qualche esempio di errori evitati?

Cominciamo da uno evitato per caso: nella prima stesura del romanzo uno dei personaggi dice che gli piace la minestra di zucca. In una revisione successiva abbiamo eliminato la frase perché non ci piaceva, ma solo successivamente ci siamo ricordati che zucca è originaria dell’America e fino al XVI secolo non era conosciuta in Europa.
In un altro caso, un amico a cui abbiamo fatto leggere la bozza del manoscritto ci fatto notare che l’espressione “a pochi pollici dal mio viso” non era possibile all’epoca perché il pollice è un’unità di misura anglosassone.
Per finire, l’editore ci ha segnalato che non era opportuno scrivere “nello spazio di un’ Ave Maria”, perché la preghiera con il saluto a Maria risalirebbe al XVI secolo. L’abbiamo sostituita con “nello spazio di un Pater.”

Perché avete deciso di pubblicare in formato e-book?

L’e-book non è solo un diverso supporto su cui leggere, ma è anche un modo diverso di approcciare il prodotto libro da parte di tutti: autore, editore, distributore e lettore.
Finora il mondo dell’e-book è stato esplorato solo molto parzialmente e non ne sono state sfruttate tutte le enormi potenzialità, soprattutto in Italia. Tuttavia presenta già oggi alcuni aspetti positivi: garantisce una distribuzione universale e immediata (basta un click), costi di pubblicazione contenuti e, di conseguenza, prezzi più bassi per i lettori. Alcuni editori più coraggiosi e lungimiranti lo hanno capito ed hanno puntato sull’editoria on-line; grazie a loro molti aspiranti scrittori hanno potuto diventare scrittori effettivi senza dover passare attraverso le forche caudine della stampa e della distribuzione fisica, operazioni che gravano sul prezzo di copertina di un libro senza fornire in cambio alcun vantaggio al lettore. Comunque “Terra di conquista” avrà anche il formato cartaceo, per chi proprio non può farne a meno.

Qual è, secondo voi, la giusta proporzione tra storia e finzione in un romanzo?

Non esiste un mix ideale. Chi scrive un romanzo storico non dovrebbe mai dimenticare di essere prima un intrattenitore, e poi uno storico. La cosiddetta “verità storica” deve scaturire dalla trama e dalle azioni dei personaggi. Inoltre la relazione tra storia e finzione dipende dal periodo storico: scrivendo dell’epoca dei Longobardi non esiste una grande quantità di storia documentata e il narratore ha a disposizione uno spazio più ampio per integrare con la sua fantasia o introdurre elementi avventurosi.

In “Terra di conquista” utilizzate la narrazione in prima persona. Non credete che un romanzo ambientato nel Medioevo possa risultare poco credibile se scritto in prima persona?

La vera difficoltà della narrazione in prima persona è che è difficile fornire al lettore informazioni che il protagonista non conosce e questo rende il lavoro dello scrittore più difficile. Ma la trama e la struttura del romanzo non ci lasciavano scelta. Solo Giulio Cesare scriveva di sé in terza persona!

Avete scritto una corposa nota storica. La ritenete indispensabile in un romanzo storico?

Non pensiamo sia obbligatorio, ma secondo noi è una buona pratica. Chi legge ha il diritto di sapere quale sia la storia reale e quale quella inventata, così come deve conoscere quali sono le libertà che l’autore si è preso. Un altro elemento importante è la bibliografia, nella quale il lettore può trovare ulteriori informazioni e approfondimenti.
C’è però un aspetto che vorremmo mettere in risalto: “Terra di conquista” ha richiesto tre anni di lavoro preliminare sulle fonti originali, visite a musei e siti archeologici e la lettura di decine di saggi. Alla fine tutto questo patrimonio di informazioni è stato filtrato dalla narrazione e quasi non si nota leggendo il romanzo. Ed è bene che sia così, perché riteniamo che un narratore scriva per raccontare una storia e non per fare sfoggio di cultura.

Quali scrittori vi hanno ispirato di più?

Oggi il romanzo, soprattutto quello storico e d’avventura, è anglosassone, e i modelli non possono che venire da lì. Tra i contemporanei metteremmo al primo posto Tolkien bravissimo nel creare un universo fantastico perfettamente plausibile. Poi due ladies, Dorothy Dunnet e Hilary Mantel: di loro ci piacerebbe possedere il rigore e la capacità di evocare con assoluta precisione epoche e situazioni. Patrick O’Bryan è un punto di partenza fisso per chi vuole scrivere di una coppia di protagonisti. A John Grisham ci siamo ispirati per lo stile, asciutto e semplice, ma con un vocabolario abbastanza ricco, e per la fluidità nella costruzione dei periodi. Tra i grandi del passato Dumas padre per il mix perfetto tra storia e avventura. Fuori dal mondo anglosassone e sopra a tutti Umberto Eco. Lui è il romanzo!

Quanto è difficile scrivere in due? Vi capita mai di essere in disaccordo o di litigare?

Molto spesso e quasi su ogni cosa, ma se non fosse così scrivere sarebbe veramente noioso!

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