L'intervista1

Intervista a Gaetano Manna

Intervista a Gaetano Manna

Il libro di Gaetano Manna, L’aria non può parlare, affronta un percorso interiore attraverso una serie di vicissitudini che accompagnano il lettore a comprendere anche sé stesso. La narrazione diventa il mezzo per dipingere un’epoca e una società di cui conosciamo molto, grazie alla cronaca, ma estremamente poco della sua vera essenza.

  • Come nasce l’idea che ti ha spinto a scrivere il tuo libro?

Nasce su una serie di circostanze che avvengono quasi in simultanea, in modo del tutto inaspettato e particolare.

Nel 2011, mentre approfondivo la conoscenza della nascita e sviluppo dei manicomi criminali (seconda metà del secolo diciannovesimo) mi imbattei nelle notizie che venivano diffuse dai media inerenti la denuncia della Commissione di inchiesta del servizio sanitario nazionale del Senato della Repubblica (https://www.youtube.com/watch?v=-J5-wGkx0iM) all’interno dei cosiddetti OPG (Ospedali psichiatrici Giudiziari). Il video che spopolò in internet, oggetto di approfondimenti giornalistici (ad esempio RAI tre, “Presa diretta” del giornalista Iacona) era sbalorditivamente simile agli scenari che io iniziavo a descrivere e raccontare nel mio romanzo. Questo elemento mi incoraggiò e mi spinse a proseguire nell’intento di scrivere quella che poi è diventata la storia del libro.

  • La Sicilia ha un ruolo fondamentale nella tua vita, non solo come Terra, ma anche come costumi e tradizioni. A parte le tue origini, cosa ti ha convinto ad ambientarvi la storia?

Per una serie di motivi. Innanzitutto perché sono di origini siciliane e poi perché ho vissuto in una famiglia cosiddetta “allargata”, dove erano presenti, oltre ai miei genitori, anche la nonna e la zia. Il tempo passato da piccolo con mia nonna, e con i suoi fantastici racconti, mi ha permesso di vivere la cultura siciliana come se fossi realmente in Sicilia. Abile raccontatrice, passavo ore ad ascoltare le mirabolanti avventure di Giufà, personaggio letterario della tradizione orale popolare della Sicilia, privo di qualsiasi malizia e furberia, credulone, facile preda di malandrini e truffatori di ogni genere. Oltre a questi due fattori, indispensabili per avviare la storia scritta ne aggiungerei un terzo, ovvero il fatto che in provincia di Messina (Barcellona pozzo di Gotto) c’è un vecchio manicomio criminale, inaugurato nel 1925 e dismesso per quelle funzioni originarie solo nel 2015 (meglio tardi che mai!).

  • Qual è la Sicilia che emerge dalle pagine del romanzo?

È la Sicilia del Gattopardo, del forte contrasto tra classi ricche, rappresentate da persone agiate e spregiudicate e tutto il resto: poveri uomini costretti a vivere nella miseria più totale, soprattutto a Messina a seguito del devastante terremoto che la colpì nel 1908. E’ la sfrontatezza degli uomini perbene a non mollare neanche un centesimo delle loro ricchezze a favore di persone che morivano letteralmente di fame. Cambiare tutto per non cambiare niente: la cultura siciliana mafiosa è fatta di questa essenza, che affonda le sue radici nei secoli passati. Sicilia, terra di conquista di tanti eserciti e tante culture, di popoli che l’hanno (apparentemente) dominata ma, in realtà, il popolo siciliano è come il bambù: si piega ma non si spezza. Il siciliano assiste e aspetta che il vento cambi direzione per tornare ad essere quello di sempre. C’è un vecchio detto siciliano che dice:

“Calati juncu, chi’ passa la china”, ovvero: calati giunco, finché passa la piena. (è un invito a saper sopportare, anche umiliandosi, aspettando tempi migliori).

  • Chi è Antonio Anastasi?

E’ il personaggio principale della storia. Di famiglia benestante (la sua è una storica famiglia di Notai siciliani) ha però una forte intolleranza alle disuguaglianze, di ogni tipo! Sin da piccolo non sopporta i suoi genitori per il loro modo di vivere e approcciarsi con il mondo esterno. Per loro il mondo iniziava e finiva con la loro stretta cerchia di amici, ovviamente tutti benestanti e distanti dal mondo reale. Questa intolleranza scatenerà i successivi conflitti con il padre e la madre e lo costringeranno ad essere portato dal padre a Palermo, nel collegio dei Gesuiti.

  • Si dice che in ogni scritto un autore doni una parte di sé, ti senti più vicino ad Antonio o a Roberto? Oppure sei tu la storia?

Bella domanda! Direi che in ognuno di loro c’è una parte di me: di Roberto la bontà d’animo e la curiosità, di Antonio l’intolleranza alle ingiustizie e la testardaggine a portare avanti le cose fregandosene delle conseguenze.

  • Tenendo conto che spesso gli autori (soprattutto i meno esperti), traggono spunto dalle serie tv, che sono per la maggior parte americane, quale errore consiglieresti di non fare, soprattutto nell’ambito lavorativo che conosci?

Parli con uno che di serie televisive americane non ne vede una dai tempi della mitica “Happy days” – ricordi il grande Fonzie? Scherzi a parte, la cultura americana, con la produzione e diffusione martellante di film, serie TV e quant’altro, rischia di produrre l’idea che quel mondo (americano) sia quello reale. In realtà di reale c’è ben poco. La storia, la nostra storia, rischia di essere dimenticata, sotto tutti gli aspetti. Questo purtroppo è il vero dramma: senza la conoscenza della nostra storia rischiamo di non avere più quelle radici del passato che ci ha fatto essere così come siamo, oggi. La storia mi ha permesso di comprendere tante cose che ho riportato, fedelmente,  nel romanzo. Pertanto l’invito a tutti è quello di conoscere le proprie radici, attraverso la storia.

  • Avendo lavorato in campo psichiatrico, quanto hai trovato alienante questa esperienza?

L’uomo è l’animale in grado di compiere azioni tra le più estreme in natura: dalle straordinarie bellezze di un’opera d’arte a forme di crudeltà verso altri simili inimmaginabili. Sotto quest’ultimo aspetto non riesco ancora a capacitarmi di come alcuni uomini possano concepire una serie di azioni finalizzate a provocare dolore in un altro essere umano. L’unica risposta che mi sono dato, visto la professione che svolgo, è che certi uomini hanno dentro di se solo esperienze negative che predominano rispetto a quelle positive. Se hai conosciuto solo il male non puoi dare che male.

  • Si dice che gli italiani non leggono e che, sostanzialmente, preferiscano il cellulare a un buon libro. Dato che hai avuto modo di presentare il tuo romanzo al pubblico, cosa ne pensi della precedente affermazione?

L’affermazione che gli italiani non leggano, purtroppo, è data dai numeri. Oggi con internet gli italiani leggono forse di più, ma in modo superficiale. Un romanzo come il mio incute paura per il solo fatto che si compone di 650 pagine. Molti miei amici mi hanno confermato la fatica nel mettersi a leggere tutte queste pagine ma c’è una speranza: mia suocera. Ebbene si, mia suocera, che non aveva mai letto in vita sua che libercoli di qualche pagina sta leggendo il mio romanzo per la seconda volta! Se c’è riuscita mia suocera le speranze che lo possano leggere tanti altri c’è.

  • Quando Gaetano non scrive, come occupa il proprio tempo?

Lo dedico a organizzare e programmare servizi sanitari, dedicati soprattutto alla cura delle dipendenze patologiche. Faccio anche formazione per gli operatori. E’ un lavoro gratificante ma impegnativo.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

L’idea di scrivere un altro romanzo mi affascina ma, purtroppo, devo fare i conti con un lavoro altrettanto impegnativo che lascia poco spazio alla fantasia. Ma le idee ci sono e io sono una persona che sa aspettare il momento opportuno, un po come il nostro Antonio che, nonostante i decenni di reclusione forzata, non ha perso la lucidità del pensiero e nemmeno la voglia di andare avanti.

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