L'intervista1

Intervista a Margherita Terrosi

Intervista a Margherita Terrosi

Terrosi_EEEL’anima particolarmente sensibile di Margherita Terrosi si riversa in questo romanzo, ponendo a confronto due realtà, quella femminile e quella maschile, sottolineando sia le diversità che le similitudini di entrambi gli universi. Due mondi che dovrebbero essere destinati ad attrarsi ma che, spesso, invece si allontanano.

  • Frittate e Grattacieli, la curiosità è tanta. Da cosa è scaturita la scelta di un titolo così originale?

Frittate e Grattacieli è un titolo troppo geniale per essere farina del mio sacco! Me lo ha gentilmente “prestato” il Prof. Edoardo Lombardi Vallauri, linguista e professore presso l’Università degli Studi di Roma Tre, nonché autore di una trasmissione andata in onda su Radio 3 qualche anno ed intitolata “Castelli in aria”: Frittate e Grattacieli era appunto il titolo di una delle puntate. In un elegantissimo ed acuto gioco di semplificazioni, il Prof. Vallauri divide l’umanità in due categorie: “I grattacieli sono tutte quelle persone che hanno un obiettivo ben formato da raggiungere e dedicano la loro intera esistenza al conseguimento di esso. Tipici grattacieli sono tutte le grandi personalità: te ne potrei citare a centinaia a partire dai personaggi premi nobel per arrivare agli archistar. E queste persone sono grattacieli altissimi. Poi ci sono anche grattacieli non famosi ma pur sempre alti. Il resto dell’umanità è composto da frittate di varia forma e dimensione. A differenza del grattacielo che si sviluppa lungo una linea verticale che tende all’infinito, la frittata si spalma senza nessuna logica e predeterminazione sul piano orizzontale dell’esistenza”. (tratto dal romanzo).
Durante la sua trasmissione, Vallauri non dà un giudizio né sui grattacieli né sulle frittate; analizza, invece, in modo imparziale i pro e i contro delle due tipologie umane e si pone delle domande che lascia senza risposta, perché, in fondo, non vogliono essere niente altro che spunti di riflessione per l’ascoltatore. E allora, si chiede e ci chiede, è meglio avere accanto una persona determinata, che va dritta allo scopo senza frapporre distrazioni oppure è meglio vivere con una persona che ogni giorno ha voglia di re-inventarsi e di mettersi in discussione imbarcandosi in nuove esperienze? Io, nel romanzo, ho cercato di farmi ulteriori interrogativi e mi sono chiesta: cosa succede in una relazione fra una frittata ed un grattacielo? Quali sono le loro dinamiche di coppia? Ma soprattutto: quella fra una frittata e un grattacielo è una relazione possibile?

  • La comunicazione “epistolare” si è rivelata, per il tuo personaggio, un canale fondamentale di espressione e di sfogo nel tuo libro. Spiegaci il perché di questa scelta.

Vorrei poterti dare una risposta piena di solide motivazioni che giustifichino questa scelta. La realtà, invece, è che la forma epistolare era, per me “principiante”, la forma più semplice; e lo è stata ancora di più scegliendo di scrivere nella modalità ad un’unica voce: pochi dialoghi, un unico personaggio principale. Questa opzione mi ha consentito di concentrarmi sul solo personaggio di Mina e di essere liberamente di parte. È un romanzo volutamente e fortemente sbilanciato. Volevo che i lettori, ma in particolar modo le lettrici, riuscissero ad entrare in simbiosi con la protagonista e a sentire quello che lei sentiva mentre scriveva quelle lettere. E le lettere sono, forse, gli scritti in cui tiriamo fuori la parte più intima e vera di noi stessi.

  • Non è semplice per una donna, mettersi a nudo, con le sue fragilità. La protagonista del tuo libro ci riesce, cercando una sorta di riscatto nei confronti di sé stessa e delle innumerevoli occasioni perdute. Pensi che, forse, se non vi fosse stata una precisa situazione, la consapevolezza non sarebbe venuta a galla?

Domanda complessa che meriterebbe una risposta molto articolata… Non so se una precisa situazione possa essere la molla che fa scattare nella donna la decisione di guardarsi allo specchio e di chiedersi che cosa voglia fare della sua vita: a volte, neppure le violenze domestiche riescono a scardinare quei meccanismi mentali con cui siamo state cresciute ed educate e che ci limitano nel nostro modo di essere e di vivere. La società in cui viviamo è difficilissima per le donne; siamo in fondo, perennemente schiave: schiave dell’estetica, del marito, della famiglia, del lavoro, del sesso. In televisione veniamo catalogate e divise in ruoli schizofrenici che si concretizzano, alla fine, in poche categorie fortemente riduttive e svilenti: la fidanzata perfetta, la mamma perfetta, la figa perfetta/oggetto sessuale. Perché? – mi chiedo. Perché permettiamo agli uomini di farci questo? Perché permettiamo a qualcun altro di inserirci in una categoria? E perché dobbiamo accontentarci di rapporti di coppia che ci limitano e che ci prosciugano quando non ci uccidono? Dopo un matrimonio fallito ed un’infelice convivenza di sette anni, la protagonista decide che è arrivato il momento di guardarsi allo specchio: vorrei che tutte le donne si sentissero libere di guardarsi allo specchio; e vorrei che si sentissero libere di romperlo quello specchio, se l’immagine che vi vedono riflessa non piace. Perché quello specchio non lo hanno attaccato loro al muro: lo ha attaccato qualcun altro.

  • Quanto è stata decisiva la solitudine per la figura femminile presente nel tuo romanzo? Cosa la spinge a non accontentarsi più della sua relazione?

Personalmente, credo che sia solo nel silenzio della solitudine che riusciamo a “sentire” noi stessi. A volte manca il coraggio di ascoltarlo, quel silenzio… Perché è, in fondo, un silenzio molto rumoroso, pieno dei nostri pianti di dolore e dei cocci rotti delle nostre aspettative infrante. Mina è coattamente costretta ad ascoltare la sua solitudine; e l’ascolta tutta, fino in fondo. L’ascolta talmente tanto da rendersi conto di essere molto più in compagnia quando è sola con se stessa che in un rapporto di coppia. E non c’è solitudine più dolorosa di quella che scaturisce nel sentirsi soli in una relazione d’amore.

  • Quali difficoltà hai riscontrato nell’addentrarti nei meandri della descrizione degli stati d’animo dei tuoi personaggi?

Per descrivere certe emozioni devi viverle o averle vissute in prima persona. La difficoltà sta nell’andare a ricercare queste emozioni dentro di noi, perché, a volte, può essere molto doloroso andare ad aprire certi cassetti di ricordi di cui pensavamo di aver buttato via la chiave. E ancora più difficile è cercare di trasferire sulla carta queste emozioni in modo non banale, non scontato; soprattutto in un modo che possa coinvolgere il lettore e renderlo partecipe, meglio se simbiotico, con gli stati d’animo dei personaggi.

  • Quanto è importante, in un romanzo come il tuo, l’aspetto psicologico? In quali degli aspetti salienti potrebbe ritrovarsi il lettore?

In un romanzo come il mio credo che l’aspetto psicologico sia fondamentale: in fondo, è un romanzo in cui gli eventi che si verificano sono pochi. È un romanzo intimo che descrive una catarsi: la protagonista si trova a dover gestire una situazione emotiva per la quale non era preparata. Entrare nella mente di Mina, per capire le sue reazioni e le sue scelte, è stata la mia priorità. Se volevo che il lettore comprendesse Mina, le sue fragilità e le sue mancanze, perché la “perdonasse” per la sua arrendevolezza, dovevo descriverne la psiche.

  • L’essere frittate o grattacieli sono prerogative tipicamente maschili e femminili? Oppure possono essere intercambiabili?

Se penso ad un grattacielo, penso a Rita Levi Montalcini, ma anche ad Umberto Eco. Sono intercambiabili certo. Eppure il prezzo più alto per diventare un grattacielo lo paga la donna, molto meno l’uomo. Nel suo libro “Elogio dell’imperfezione” la Montalcini racconta molto bene di come ha dovuto rinunciare ad avere un rapporto stabile e, conseguentemente a una famiglia, per proseguire la sua attività di ricerca: era ben consapevole che i due ruoli, quello di ricercatrice e quello di moglie e madre, non potevano coesistere. Fino a che a una donna non sarà concesso di diventare un grattacielo, senza per questo abbandonare il sogno di avere una famiglia o anche solo un compagno, il nostro pianeta sarà prevalentemente costellato di grattacieli di sesso maschile.

  • Sappiamo che hai uno spirito animalista molto ben radicato, da cosa nasce questo tuo impegno?

Gli animali, come i bambini, non hanno in sé, nel loro essere, la dicotomia bene/male: non è nella loro natura recare sofferenza, cosciente e  volontaria, a un altro essere vivente. L’uomo adulto sì. L’uomo adulto ha la capacità, la volontà e il potere di imporre sofferenze ad altri esseri, siano essi suoi simili o no. Gli animali e i bambini sono coloro che meno possono difendersi dagli atti di violenza dell’uomo adulto: saranno sempre vittime e saranno sempre vittime silenziose. Io non voglio che la mia vita si basi e costruisca sulla sofferenza e sul dolore di un altro essere vivente: la scelta di diventare vegetariana, di non indossare capi in pelle o pellicce, è una scelta puramente etica, è una scelta di coscienza.

  • Quando Margherita non scrive, come occupa il proprio tempo?

Se per tempo intendi quello libero, ti dirò che amo praticare sport, leggere, andare al cinema, cucire. E poi mi piace il tempo speso insieme alle mie amiche del cuore, alle quali sono legata dai tempi del liceo.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sognare è libero e gratuito: possiamo farlo in qualunque momento del giorno e in qualunque luogo, e anche  in qualunque modalità. Allora io lascio la mia mente libera di pensare e sognare in grande. La lascio immaginare la pubblicazione di un mio libro che diventerà un best seller e da cui trarranno la trama di un film.
E poi la lascio libera di sognare una storia d’Amore con la maiuscola, in cui da parte di entrambi i partner vi sia complicità, fiducia, sostegno e intesa. Ma questa è Fantascienza. E io non so scrivere di Fantascienza.

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