L'intervista1

Intervista a Elena Moscardo

Intervista a Elena Moscardo, autrice di “I nostri scarponi sulla via MOSCARDO_ESTERNAFrancigena”

I nostri scarponi sulla via Francigena è un libro singolare, un diario di viaggio, che percorre il tragitto fra Modena e Roma, che i protagonisti hanno compiuto nell’anno Giubilare del 2000 per arrivare fino alla Capitale. Un pellegrinaggio vissuto in quest’epoca moderna in cui l’effimero pare abbia preso il sopravvento sulle nostre vite e in cui le scelte facili sono diventate il mal costume comune, Elena Moscardo, autrice del libro, racconta questa esperienza condivisa con il marito Alessandro.

  • Innanzi tutto, tu e tuo marito siete avvezzi camminatori e la comune passione per i viaggi a piedi vi ha portati a percorrere diversi tragitti, come nasce la scelta di raccontare al pubblico proprio questa vostra esperienza?

L’idea e la voglia di raccontare agli altri questa esperienza, non mi è venuta subito, ma quasi 10 anni dopo averla vissuta. Il tutto è iniziato quando, raccontando ai nostri figli o agli amici i vari fatti che erano accaduti, ho iniziato ad accorgermi che la mia memoria cominciava a fare capricci: le tappe, gli incontri, le sensazioni che avevamo provate durante il viaggio spesso si sovrapponevano e confondevano. Sono allora ritornata a prendere in mano il diario di viaggio che avevo scritto allora, e rileggendolo mi sono accorta delle tante cose descritte che già non ricordavo più e delle tante altre, invece, che mi tornavano in mente ma non avevo scritte. E’ allora che ho deciso di iniziare questo libro, perché fosse anzitutto un ricordo ed una testimonianza per me, per mio marito e per i nostri figli, ma poi anche per tutti coloro che avrebbero avuto voglia di leggerlo e di ripercorrere quei sentieri assieme a noi. Perché quando si vive un’esperienza di vita bella è proprio un peccato non condividerla!

  • Gli equipaggiamenti si discostano notevolmente da quelli usati in tempi meno recenti, che cosa c’era dentro nei vostri zaini e cosa cambieresti ora, a distanza di qualche anno?

Nei nostri zaini c’erano poche cose, perché dovevamo tassativamente rientrare nel peso di 11-12 kg consigliato a chi cammina per tratte di circa 10 giorni. Tra gli oggetti indispensabili: i bastoncini da trekking, una mini-guida cartacea fatta da Alessandro, alcune carte IGM delle località attraversate, una bussola, la torcia, la cassetta di primo-soccorso e pochi medicinali essenziali, un coltello serramanico multiuso, la macchina fotografica e un diario. Come capi di abbigliamento: due magliette, un micro-pile, due pantaloncini, due pantaloni lunghi, una mantella per la pioggia, un fazzoletto da usare come copricapo, gli scarponi e un paio di sandali da cammino. In aggiunta solo un po’ di biancheria, un asciugamani e un pezzo di sapone, per tenere rinfrescato questo ristrettissimo guardaroba.
Se dovessimo ripartire adesso riprenderei con me esattamente le stesse cose, purtroppo non gli stessi scarponi, a cui ero affezionatissima, perché sono durati per solo poche altre uscite dopo quel lungo viaggio! Unica cosa in più, non in sostituzione, sarebbe un buon telefono con riferimenti GPS, per avere a disposizione tutte le mappe e le indicazioni sulle varie tappe in tempo reale. Tuttavia il nostro navigatore per eccellenza resterebbe una buona mini-guida preparata con cura e su misura per noi nel periodo precedente alla partenza. Realizzarla è una delle cose più divertenti dell’avventura!

  • Per una donna, affrontare un viaggio del genere comporta diverse difficoltà, anche da un punto di vista puramente pratico, come hai affrontato il tuo personale pellegrinaggio?

Devo confessare che grazie alla mia buona capacità di adattamento anche in condizioni difficili, quando sono a disposizione pochi confort, non ho incontrato particolari disagi, o comunque non tali da non riuscire, in qualche modo, a trovare una strategia per affrontarli e superarli. Sono una donna forte, questo devo riconoscermelo! Per me le maggiori difficoltà sono state quelle psicologiche come quella di imparare a gestire lo scoraggiamento, che a volte mi ha presa, dovuto alla momentanea perdita della motivazione che mi aveva portato a fare quello che stavo facendo. E senza un buon sostegno motivazionale è più difficile affrontare tutto: la fame, la sete, il freddo, il caldo e la fatica fisica.
Il mio personale pellegrinaggio è stato un’ottima scuola per imparare a conoscere i miei limiti, ad accettarli e a conviverci. E forse la cosa tra tutte più importante che ho imparato da questa esperienza è stata quella di sapermi affidare. Questo per me significa accettare con umiltà e con Fede che le cose, dalle più piccole e quotidiane a quelle importanti, a volte non vanno come vorresti, e si divertono a sconvolgere i tuoi piani, ma se le accetti così come vengono ti fanno quasi sempre arrivare ad un risultato inaspettato ben al di sopra delle tue aspettative.

  • Come ogni buon diario che si rispetti, fra le pagine vi sono raccolti momenti d’intensa emotività dovuti ai più svariati motivi, sia personali che esterni, vi è stato un episodio che, a distanza di tempo, rammenti più di altri?

In realtà tutti sono stati episodi belli e significativi per aspetti diversi, e non vorrei dimenticarne nessuno. Se proprio dovessi sceglierne uno solo da raccontare, sceglierei l’episodio del nostro incontro con il cane Mezzo-Husky sulla strada verso Larciano Castello. E’ stata un’occasione importante per riflettere su argomenti come l’amicizia, la fedeltà, il senso del dovere… Credo che quel cane, nell’accompagnarci per un tratto della nostra strada, ci abbia donato gioia e sicurezza, e soprattutto con la sua presenza ci abbia distratto dalla fatica e dalla noia delle tante ore di cammino.

  • Qual è stato il momento più difficile sia da descrivere nel libro che da affrontare durante il percorso?

Il momento più difficile da affrontare nel percorso è sicuramente stata la discesa dal Rifugio Duca degli Abruzzi a San Marcello Pistoiese sotto la piaggia, il vento ed immersi in una fitta nebbia che impediva di vedere dove mettevi i piedi. Lì ho dovuto veramente tirare fuori tutta la mia volontà.
Il momento più difficile da descrivere, invece… probabilmente la sofferenza di Alessandro per la sua borsite al tallone durante gran parte del viaggio; credo di non essere riuscita a rendere veramente quanto questo inconveniente abbia pesato su di lui fisicamente e psicologicamente. Lui è stato molto forte e tenace!

  • I momenti di difficoltà vissuti hanno sicuramente rinsaldato il vostro legame, tuttavia, considerando la vostra come una prova per misurare singolarmente voi stessi, pensi che gli ostacoli intercorsi siano stati creati appositamente anche per verificare la solidità dei vostri intenti?

Sicuramente, di questo ne sono convinta. Niente succede per caso, ed anche le prove, le difficoltà che si sono poste sul nostro cammino sono servite per farci riflettere sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, perché è solo vedendole faccia a faccia che siamo riusciti ad affrontarle e a superarle. E poi, non si dice forse che: ‘…quando il gioco si fa duro… è lì che i duri cominciano a ballare!’ ?

  • Questa esperienza che cosa ti ha lasciato, oltre agli evidenti e splendidi ricordi che descrivi nel tuo libro?

Domanda difficile… non è facile spiegare una cosa così ‘intima’, ma proverò a rispondere. Questa esperienza mi ha lasciato tante cose, ed oggi non sarei la donna, la moglie e la mamma che sono se non l’avessi vissuta. E la cosa più importante che ho imparato è stata quella di saper accettare con umiltà che le cose non vadano secondo i miei programmi. E per una persona razionale, programmatrice e meticolosa come sono io, è stato un vero dono. Non è una cosa che ho imparata per sempre ed ora mi comporto di conseguenza… sarebbe troppo facile! E’ invece un pensiero che si è insinuato nel mio animo e nella mia mente e si ripresenta ad ogni occasione, come un monito, una voce interiore che non posso più far finta di non sentire, anche se ancora, a volte, mi infastidisce. Questo monito mi dice che, come lungo un sentiero, tutti i bivi di strada che si presentano nelle mie giornate sono importanti, perché da lì la strada prende direzioni completamente diverse, e che ce ne saranno sempre tanti, senza tregua, senza sosta, da affrontare in qualunque condizione, anche quando sarò stanca, demotivata o delusa. Mi ricorda che il modo migliore per continuare a camminare, superando questi bivi e scegliendo la via giusta per il mio cammino è quello di non credere superbamente di doverlo fare da sola, ma di sapermi affidare…e sapete, non è affatto facile per una come me che si considera una buona camminatrice, accettare, a volte, di farsi portare in braccio!

  • Una curiosità, quando siete finalmente giunti a Roma, qual è stato il tuo primo pensiero e che cosa hai fatto per prima cosa?

Ad essere sincera, il mio primissimo pensiero è stato: ‘E’ finita, finalmente…Ce l’ho fatta!’. Il secondo pensiero è andato alla strada percorsa, alle difficoltà, ma anche alle tante gioie vissute, agli incontri, ai paesaggi, a noi stessi e a tutte le persone che amiamo.
La prima cosa che ho fatto arrivata a Roma è stata quella di chiedere ad un passante di scattarci una fotografia davanti alla Basilica di San Pietro. Volevo avere una prova concreta che eravamo lì, finalmente giunti alla tanto desiderata meta, mio marito ed io insieme, un istante bloccato nel tempo, da tenere per sempre come ricordo.

  • Hai affrontato numerose presentazioni in questo periodo, le quali ti hanno portato a contatto con persone diverse, qual è la domanda che ti senti rivolgere più spesso e, ovviamente, tu cosa rispondi?

La domanda che le persone mi rivolgono più spesso è ‘Che cosa te l’ha fatto fare?’ e la mia risposta è sempre la stessa. Abbiamo intrapreso quel viaggio a piedi di 380 km sulla Via Francigena con la voglia di fare un’impresa impegnativa, non tanto fisicamente, ma più per la ricerca del senso delle cose e di noi stessi, e per questo indimenticabile. Volevamo metterci alla prova fisicamente e psicologicamente, e vedere se, alla fine, ci saremmo riusciti. Sapevamo, per sentito dire, che il pellegrinaggio è un’esperienza che ti cambia nel profondo, e abbiamo voluto provarlo sui noi stessi. Il desiderio di fare questa esperienza insieme a mio marito è perché, allora inconsciamente oggi coscientemente, desideravamo che qualunque cambiamento fosse avvenuto in noi durante quel viaggio, doveva essere nella stessa direzione.

  • Il ritmo che impone una camminata permette di poter godere della natura circostante, in quanto esperta nell’ambito zoologico-naturalistico, come reputi che sia lo stato di salute della nostra fauna?

Dici proprio bene, perché veramente è solo il lento camminare che ti permette di accorgerti di quello che hai intorno, di sentire i rumori della natura e di cogliere le tracce del passaggio di qualche animale, che vive lì accanto, ma tende ad essere molto riservato. Ritengo che il paesaggio, le bellezze naturali come la fauna e la flora della nostra penisola risentano di un’eccessiva antropizzazione e che alle poche isole-riserve naturali sia data troppa poca valorizzazione e quasi nessun finanziamento perché possano sopravvivere. Il fatto è che lo Stato per primo, ma anche il modo diffuso di pensare della gente, purtroppo, le considera territorio perso per l’economia di mercato anziché, come dovrebbe essere, una risorsa enorme su cui creare un’economia sociale e solidale che coinvolga tutta la popolazione.

  • Quando Elena non scrive, come occupa il proprio tempo?

Attualmente oltre a cercare di fare al meglio la mamma e la moglie, collaboro con varie Associazioni Onlus e con il Museo di Storia Naturale della mia città per progetti nell’ambito culturale e della valorizzazione e salvaguardia ambientale-naturalistica del territorio intorno a Verona. E quando mi rimane un po’ di tempo ancora, naturalmente, cammino! Perché fermare una come me, è veramente difficile.

  • Quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro?

Desidero scrivere ancora, questo è sicuro. In realtà sto già scrivendo un nuovo racconto i cui personaggi-protagonisti sono gli animali che ho avuto nella mia vita e con i quali ho condiviso intensi momenti di amicizia; in questo testo emerge preponderante la biologa-etologa che è in me, il mio amore per la natura, per gli animali ed il loro comportamento. Posso dire che scrivo anzitutto per raccontare le cose che vedo, che sento e che provo, soprattutto quelle che per me hanno significato molto e, pertanto, desidero condividerle anche con chi avrà voglia di leggerle.
Per il momento, quindi, come scrittrice resto legata al genere autobiografico, di cronaca e saggistica, ma non voglio escludere che nel futuro potrò spaziare anche in altri genere letterari, perché, come è nel mio carattere, mi piace mettermi alla prova!

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