L'identikit del serial killer

L’identikit del serial killer – Parte 2

L’identikit del serial killer – Parte 2

Modus operandi, personalità, fasi omicidiarie e firma

Per i contenuti e i temi trattati, l’articolo è rivolto a un pubblico adulto

di Stefania Napoli

Modus operandi

Il modus operandi consiste nell’insieme di scelte e comportamenti diretti a programmare e svolgere una determinata azione. Nel caso dei serial killer, esso costituisce le modalità e i mezzi utilizzati dall’assassino per portare a termine gli omicidi, inclusi i criteri di individuazione, cattura e uccisione della vittima.

Il modus operandi seriale è un comportamento appreso, dinamico, soggetto a modifiche e perfezionamenti generati dall’esperienza che permette all’assassino di migliorare la sua tecnica omicidiaria e ridurre i rischi di essere identificato. Se durante il primo delitto il seriale non ha corso rischi di essere fermato o catturato, penserà di aver trovato il metodo ideale per commettere i suoi delitti e lo itererà senza variazioni. Al contrario, se per esempio la vittima avesse reagito e tentato la fuga, nell’episodio criminale successivo egli la immobilizzerà e solo dopo la ucciderà.

Il modus operandi esprime gli elementi base che identificano la personalità del killer, ossia quelle caratteristiche psichiche e comportamentali che prendono origine dalle interazioni tra l’individuo e l’ambiente socio-familiare che lo circonda. Essa si articola in due distinte dimensioni psicobiologiche, il temperamento e il carattere. Il primo è individuabile già dall’infanzia e rimane stabile per tutto il corso della vita poiché presenta caratteristiche biologiche ereditabili; il secondo, invece, è fortemente influenzato dall’ambiente ed è quindi legato alla storia del soggetto e al patrimonio culturale appreso durante lo sviluppo.

Personalità

John Edward Douglas

Nel caso degli assassini seriali, la personalità presenta tratti anomali e comportamenti deviati che causano una compromissione funzionale significativa e una forte sofferenza che sfocia nella mancanza di empatia e di un reale contatto con la realtà.

John Douglas, ex agente speciale del Federal Bureau of Investigation nonché uno dei primi criminal profiler della storia, ha dato vita a un assioma che racconta l’importanza dello studio del modus operandi: il nostro comportamento riflette la nostra personalità.

Ecco perché l’analisi del modus operandi rappresenta il primo prezioso indizio per le forze dell’ordine e gli investigatori nell’identificazione della potenziale vittima successiva e delle cause profonde che spingono il seriale a commettere gli omicidi.

Fasi omicidiarie

Lo psicologo americano Joel Norris negli anni ’80, ha definito sette fasi psicologiche che i seriali sperimentano nel commettere i loro crimini, considerate essenziali ai criminologi per entrare nella mente del serial killer.

  1. Fase aurorale o insorgenza del desiderio omicidiario. Presenta una durata variabile di mesi o anni ed è caratterizzata da una progressiva estraniazione dalla realtà: il seriale si isola, avverte il desiderio di provocare dolore e sofferenza. Egli vive e rivive la fantasia omicidiaria nella sua mente, pregusta il piacere perverso di ciò che farà, finché non si verifica un evento scatenante, il trigger, che spinge l’assassino a superare il confine tra immaginazione e atto omicidiario.
  2. Fase di puntamento o della ‘pesca a traino’. L’assassino si mette alla ricerca della vittima prediligendo posti a lui familiari e in cui si sente a suo agio, la cosiddetta ‘comfort zone’. Opta per vittime deboli, facilmente avvicinabili motivo per cui solitamente si apposta vicino ai cortili delle scuole o nei quartieri a luci rosse. Anche questa fase può perdurare mesi, fino all’identificazione della vittima perfetta.
  3. Fase di seduzione. Vi ricorrono quasi esclusivamente gli assassini organizzati, fiduciosi nelle proprie capacità attrattive e dotati di migliori abilità sociali rispetto ai disorganizzati, quindi in grado di attivare quella sorta di ‘sesto senso’ che permette di percepire i bisogni della vittima e di porsi come coloro che li possono soddisfare. Il killer dunque socializza con la vittima fino a ottenerne la fiducia, vanificandone così ogni successivo tentativo di difesa.
  4. Fase di cattura. Il killer si rivela per ciò che è. Approfittando di un momento favorevole e cogliendola di sorpresa, l’assassino trascina la sua vittima in un posto isolato, la sua auto, la sua casa o un parco. Questa fase procura estremo piacere al seriale che avverte di possedere il potere e il controllo sulla sua vittima.
  5. Fase omicidiaria. Esecuzione del delitto, culmine dell’appagamento per l’assassino. Norris descrive tale fase come una sorta di rievocazione rituale delle esperienze dolorose e violente vissute dall’assassino durante l’infanzia. Il killer può finalmente invertire i ruoli, trasformandosi da vittima inerme a potente carnefice. Il seriale disorganizzato ha maggiore probabilità di uccidere subito la sua preda, mutilarne volto e corpo, in una sorta di depersonalizzazione della vittima. Qualsiasi altro atto violento, come lo stupro, spesso viene eseguito post-mortem. Anche il killer organizzato può decidere di uccidere la sua vittima immediatamente dopo la cattura, ma la maggior parte delle volte preferisce torturarla, portarla vicina alla morte, fermarsi un attimo prima e continuare così fino a finirla. L’atto omicidiario viene volutamente ritardato perché il reale motivo del crimine è il piacere che il killer trae dalla tortura, dal dominio sul corpo di un’altra persona e dall’affermazione assoluta di sé. Ciò vale in particolare quando si tratta di assassini sadici, i più organizzati tra tutti i seriali.
  6. Fase totemica. Dopo l’omicidio, lo stato di eccitazione lascia progressivamente spazio a una condizione fortemente depressiva. Per conservare l’intensità della fase omicidiaria e riviverla, l’assassino quindi asporta parti del corpo o oggetti della vittima, sono molto diffuse le perversioni sessuali che analizzeremo in seguito. Questa fase è particolarmente importante sia per il seriale che per il profiler: per il primo rappresenta un aiuto nell’alleviare la fase depressiva successiva, in quanto maneggiando i cosiddetti “trofei” sottratti, egli rivive l’omicidio e le emozioni che gli davano piacere; per il secondo, perché la scelta dei “trofei” e il modo in cui il seriale se li procura forniscono utilissime e univoche indicazioni sulla personalità dell’assassino e sui meccanismi che lo spingono a uccidere.
  7. Fase depressiva. Può durare giorni, settimane o addirittura mesi ed è la più complessa dal punto di vista psicologico. Il seriale crolla, le sue energie psicofisiche si scaricano, inizia a provare un profondo senso di angoscia e di disagio interiore, che lo portano addirittura a tentare il suicidio. L’omicidio seriale, infatti, può essere paragonato a un film senza un finale soddisfacente: il killer sperimenta la tensione e l’eccitazione della sua fantasia che però non si conclude come lui immaginava. Ecco perché a ogni omicidio successivo, l’assassino tenterà di replicare la scena del crimine rendendola più simile possibile alle sue fantasie perverse, costruendo in questo modo il suo particolare modus operandi. Dopo ogni crimine, la fantasia diventerà più reale e l’omicidio più brutale. Tale ciclo continuerà fino a oltranza, in una spirale discendente di violenza e crudeltà, fino all’arresto o al suicidio dell’assassino.

La firma

Un altro fattore spesso presente negli omicidi seriali e forte indicatore della personalità e della psiche dell’assassino è la cosiddetta firma, ossia le azioni non sono funzionali all’esecuzione del delitto che il seriale deve mettere in atto per raggiungere il completo appagamento del suo bisogno psicologico.

Contrariamente al modus operandi, la firma è costante in ogni delitto, invariabile negli anni, radicata in una lunga storia di fantasie malate che il serial killer ha immaginato per mesi o anni. Essa costituisce un rituale compulsivo strettamente legato al reale e profondo movente del reato, e si ripresenterà con le medesime caratteristiche e allo stesso modo negli omicidi successivi.

La firma si manifesta tramite volontarie e studiate alterazioni della scena del crimine che vanno dalla mutilazione di determinate parti del corpo della vittima al posing, il posizionamento del cadavere in un particolare atteggiamento.

Ai fini dell’identificazione del profilo criminale seriale è importante distinguere il citato posing dallo staging che consiste in alterazioni del luogo del delitto attuate allo scopo di depistare gli investigatori e quindi rientranti a pieno titolo nel modus operandi e non della firma.

Di particolare importanza sono altri due elementi rintracciabili sulla scena del crimine: l’overkilling o overcrime, ossia il compimento di atti di eccessiva violenza nei confronti della vittima, non necessari alla realizzazione del crimine; e l’undoing, l’esatto opposto, il comportamento con cui il seriale mette in atto gesti di pietà, come per esempio ricomporre il cadavere della vittima o coprirne il volto.

In conclusione, il modus operandi riguarda le modalità con cui il crimine viene consumato, la firma invece rappresenta il perché, il motive più profondo. In alcuni casi fra le due categorie esiste una sottilissima differenza e gli investigatori devono prestare molta attenzione a non confondere i due elementi e concentrarsi soprattutto sulla ricerca della firma, non lasciandosi sviare dalle astuzie comportamentali messe in atto di volta in volta dall’assassino.

Nel prossimo articolo analizzeremo i fattori predisponenti alla serialità omicidiaria che trasformano un essere umano qualunque in un serial killer.

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