Roberta Andres e La sua Postazione

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Roberta Andres e La sua Postazione

Ogni autore possiede una propria postazione in cui le idee prendono forma e le parole scorrono velocemente sul monitor. Per i più conservatori esistono ancora gli scrittoi, carta, penna, talvolta calamaio. Tuttavia, a prescindere dal mezzo con cui si esprimono i pensieri, la magia che scaturisce è quella insita in ogni forma d’arte e noi vogliamo farvi vedere come se la cavano i nostri autori.

La mia postazione

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Qui scrivo, mi estraneo dallo scorrere vorticoso della vita quotidiana e mi immergo in me stessa cercando il filo che colleghi gli elementi dei miei racconti e dei miei romanzi.
Qui ho scritto “Le foto di Tiffany”, qui sto scrivendo altri romanzi che sono ancora in bozza; qui ho scritto anche moltissimi dei miei racconti usciti in varie antologie, tra cui “Io tornerò farfalla”, pubblicato dalla EEE in “Amore e morte”: un racconto che segna per me un momento importante sia per l’incontro con questa Casa Editrice e un bel gruppo di colleghi e collaboratori; sia per la delicatezza della tematica di questa Antologia.
Ricordando quel che la grande Virginia Woolf chiama “la stanza tutta per sé” ne ho curato e ne curo i particolari per sentirmi completamente a mio agio in questo angolo della mia casa, per proteggerlo dal flusso della vita che mi sta intorno senza farlo però inaridire.
Qui di solito lavoro di sera o di notte, quando è più facile star tranquilla e non essere disturbata. Spesso è in disordine, ma come dicono molte persone disordinate, è un disordine del tutto apparente, in realtà è un equilibrio preciso che rispecchia l’ordine dei miei pensieri e della mia “memoria di lavoro”, per cui solo sedendomi e guardandomi attorno io riesco a ritrovare all’istante il filo del discorso mentale che ho lasciato interrotto la sera prima.
Di solito, mentre scrivo, i miei gatti riescono comunque a intrufolarsi nella stanza e spesso si stendono sulla tastiera del computer chiedendomi attenzione e coccole. Cerco inutilmente di continuare a scrivere facendo finta di niente , scostandoli un po’ ma senza cacciarli perché mi fanno molta tenerezza, specialmente uno dei due, quello nero, con cui ho un rapporto speciale avendolo allevato.
I miei figli, invece, sono più discreti: sono cresciuti vedendomi alla tastiera e hanno imparato che quella parentesi è importantissima per la serenità della madre.

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