cBook. Quando l’e-book incontra il cinema

cBook. Quando l’e-book incontra il cinema

di Alessandra Rotondo

La rivoluzione digitale, ormai lo sappiamo, ha avuto un impatto significativo sul modo in cui fruiamo i contenuti mediali. Ha riplasmato i contenitori, spinto alcune tecnologie e reso altre obsolete. Ha modificato il nostro modo di essere lettori, spettatori, ascoltatori, giocatori di gran parte dei prodotti di entertainment cui eravamo abituati fino all’altro ieri.

Sono trascorsi più di dieci anni dall’arrivo tra le nostre mani del primo smartphone con touchscreen capacitivo: sintesi e feticcio del nostro rapporto con la tecnologia. Nel frattempo, una tendenza più delle altre si è manifestata come diretta conseguenza della rivoluzione digitale: quella all’ibridazione.

Se da un lato qualcuno storce il naso, precisando che un libro è un libro, un film è un film e un videogioco è un videogioco; dall’altro, gli esperimenti di composizione, rimodulazione e potenziamento dell’esperienza di fruizione continuano a moltiplicarsi.

Sul fronte del libro, nel riflesso del fiacco bilancio dei primi dieci anni di e-book, qualcuno intravede una mancanza di reale dirompenza del «nuovo» formato. Copia anastatica della versione cartacea, il libro digitale si limiterebbe a garantire al lettore (meglio, a un certo tipo di lettore) qualche beneficio in termini di praticità. Senza potenziarne – anzi, forse, affievolendone – l’esperienza di fruizione.

Che l’e-book potesse essere molto di più della versione in pixel del libro a stampa l’abbiamo sentito dire più che sperimentato. Quelli «enhanced», arricchiti, si sono prestati e si prestano per lo più a dar forma a prodotti sperimentali. Qualche movimento più consistente lo abbiamo visto con le app e nel settore bambini e ragazzi, in luoghi di confine tra la narrazione e il gioco.

Un libro che, d’altro canto, entra sempre più in concorrenza con le altre forme dell’intrattenimento. E, negli ultimi anni più che in passato, pubblico e attenzione deve spartirseli anche con un certo tipo di serialità televisiva, caratterizzata da forti venature autoriali e maggiore complessità narrativa.

Come si dice, «se non puoi combatterli, unisciti a loro». Questo deve aver pensato Nick Fletcher, sceneggiatore e produttore, nel concepire cBooks: il cinematic book. Il progetto è nascente, ma le premesse sono chiare. Il «libro cinematico» è digitale, e alla narrazione monodimensionale della parola scritta affianca momenti audiovisuali, con clip che risolvono particolari snodi della storia, approfondiscono la psicologia del personaggio, ne esplorano il passato o il futuro e consentono rapidi cambiamenti del punto di vista.

Non si tratta, come nel caso di altri progetti visti in passato, di una giustapposizione di linguaggi (la traccia audio e l’e-book, il video e lo script). Piuttosto, di un prodotto multimediale complesso nel quale è l’autore – e solo lui – a decidere qual è il linguaggio più adatto a narrare ciascuna azione, confezionando una storia che il fruitore dovrà approcciare nella molteplicità dei suoi formati.

A chi lo accusa di stravolgere la forma libro, Fletcher ribatte che il cBook è un libro: con un contenuto testuale fondamentale e preponderante, che si fonde con il linguaggio audiovisivo per meglio esplorare i risvolti della narrazione. E non esclude che il formato possa essere specificamente rivolto, in futuro, a progetti di promozione della lettura: con la clip video «sbloccata» al termine del capitolo come premio per il lettore.

Di facile intuizione il risvolto economico del progetto. Il prototipo di cBook è stato realizzato a partire da un film uscito nel 2015, Monsoon Tide. Una coproduzione anglo-indiana sceneggiata e diretta da Fletcher. Una scelta che, da un lato, rivela il desiderio di ampliare l’universo narrativo attorno a un prodotto d’intrattenimento, moltiplicando le possibilità di guadagno a esso legate. Dall’altro, di rivolgersi a un’area geografica in cui, tanto la crescente alfabetizzazione che la sempre più capillare diffusione dei dispositivi mobili, stanno favorendo l’emersione di un nuovo pubblico di lettori. Un pubblico alla ricerca d’intrattenimento, di contenuti accattivanti, immediati e dal profilo intellettuale non necessariamente eccelso.

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In Usa non si ferma la crescita dell’audiolibro

In Usa non si ferma la crescita dell’audiolibro

di Alessandra Rotondo

L’Audio Publishers Association ha pubblicato i risultati della sua annuale indagine sul settore degli audiobook, condotta (per la parte che concerne il mercato) dalla società di ricerca indipendente Management Practice e dalla Edison Research per quanto riguarda il pubblico e le sue abitudini.
Su entrambi i fronti sembra non arrestarsi la forte crescita che da qualche anno a questa parte sta attraversando il comparto. Nel 2016 le vendite hanno infatti superato i 2,1 miliardi dollari, con una crescita del 18,5% a valore e del 33,9% a volume rispetto all’anno precedente. È il terzo anno di seguito che le vendite a valore aumentano di circa il 20% rispetto all’anno precedente.
L’incremento delle vendite è generato in gran parte dall’aumento del pubblico che si dichiara «ascoltatore» di audiolibri: il 24% degli americani (più di 67 milioni di persone) ha completato l’ascolto di almeno un audiobook nel corso del 2016, con un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. Il 48% dei fruitori di audiolibri ha, inoltre, meno di 35 anni e spesso chi ascolta audiobook ascolta anche podcast (che però non fanno riferimento al perimetro di mercato che si sta analizzando). In particolare, gli ascoltatori di podcast che sono anche fruitori di audiobook, negli ultimi 12 mesi hanno ascoltato il doppio degli audiolibri rispetto ai non fruitori di podcast.
Chi ascolta audiobook è spesso un lettore forte. In media, infatti, l’«ascoltatore» ha letto (su qualsiasi supporto, anche audio) 15 libri l’anno. In più, il 77% degli «ascoltatori forti» concorda o concorda fortemente con l’affermazione «gli audiolibri aiutano a portare a termine la “lettura” di più libri». Cresce poi il numero degli utenti che utilizza lo smartphone per ascoltare gli audiobook: era il 22% nel 2015, attualmente è il 29%.
La maggior parte degli ascolti avviene tra le mura domestiche (57%), mentre l’automobile è la seconda location più ricorrente (32%). Il 68% degli intervistati dichiara di dedicarsi ai lavori domestici durante la lettura. Altri comportamenti multitasking emergenti coinvolgono l’attesa della cottura dei cibi (65%), l’esercizio fisico (56%) e il bricolage (36%).
Per la prima volta il sondaggio di quest’anno ha chiesto conto ai fruitori anche dell’eventuale ascolto attraverso smart speaker come Amazon Echo o Google Home: il 19% ha dichiarato di averci «letto» almeno un audiobook nel corso dell’ultimo anno.  Tra gli «ascoltatori frequenti» la percentuale sale al 30.

Altri aspetti interessanti messi in luce dalla ricerca:

  • Le biblioteche rimangono il più importante canale d’accesso all’offerta del settore e il prestito bibliotecario è il più efficace driver di scoperta per i nuovi titoli. È il 27% del campione a dichiararlo.
  • Tra gli oltre 50 mila titoli prodotti in formato audio nel 2016, i generi più rappresentati sono il giallo, la fantascienza e il rosa.
  • I tre principali motivi per cui gli utenti dicono di preferire l’ascolto di audiolibri sono 1)la possibilità di fare altro durante «la lettura», 2)il fatto che gli audiolibri siano portatili e fruibili ovunque, 3) il divertimento nella «lettura».
Secondo Tom Webster, vicedirettore strategico di Edison Research, «il mercato degli audiobook continuerà a crescere, perché continuerà a crescere il pubblico interessato a questo tipo di fruizione». L’ampiamento dell’ascolto di audiolibri, unito a quello dei podcast e al rapporto che evidentemente lega i due tipi di consumi, è il segnale di una sempre più evidente rinascita della «parola parlata». E del suo mercato.

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L’e-book sta per morire?

L’e-book sta per morire?

La maggior parte dei flussi di vendita passa per Amazon, che si rifiuta fermamente di fornire i dati di vendita per quei libri pubblicati esclusivamente sul Kindle. In queste pieghe non sondate potrebbe annidarsi un potenziale incremento del mercato digitale non proveniente dagli editori tradizionali

di Alessandra Rotondo

L’arrivo del Kindle – nel 2007 per il mercato statunitense, nel 2009 per il resto del mondo (inizialmente solo nella versione in lingua inglese) – è stato spesso paragonato, per dirompenza, a quello dell’iPod nell’industria musicale. «Non c’è da stupirsi» commenta Simon Rowberry su The Bookseller. «Il formato e-book prometteva notevoli vantaggi. Gli utenti avrebbero potuto modificare le impostazioni tipografiche del testo per una maggiore leggibilità, la portabilità sarebbe aumentata, nessun limite avrebbe più condizionato il rapporto tra il lettore e il catalogo dell’editore».

A dieci anni dall’arrivo degli e-book sul mercato, molti si chiedono se il formato abbia mantenuto le promesse fatte. Anche alla luce dei dati, che mostrano come nell’ultimo periodo il libro elettronico si sia costantemente confrontato con un consistente calo delle vendite. Il PA Publishing Yearbook registra, per il 2016, un -17%, a fronte di un aumento dell’8% dei ricavi provenienti dalle vendite del «libro fisico». Sul versante dei «formati innovativi», l’e-book appare peraltro totalmente surclassato dall’audiolibro, che – almeno nel mercato statunitense – continua incessantemente a crescere.

Tuttavia, continua Rowberry, sono poche le opinioni che si spingono più in là della superficie. E se, apparentemente, il «declino» dell’e-book può essere imputato alle preferenze bibliofile dei lettori e al loro amore per la carta, la faccenda è più complessa di così.

In primo luogo, i sistemi e le metriche di rilevazione e sintesi dei dati sul mercato editoriale dell’Associazione degli editori britannici (quelli di tutte le associazioni degli editori, potremmo aggiungere) si stanno ancora adeguando ai nuovi modelli dell’editoria. Proprio come l’industria musicale ha dovuto – volente o nolente – confrontarsi e imparare a «misurare» il fenomeno dello streaming (Spotify, giusto per portare l’esempio più celebre), così l’industria editoriale sta ancora capendo come valutare l’impatto delle nuove forme e tecnologie di lettura (come i servizi in subscription, per esempio: Amazon Unlimited primo fra tutti).

La «quota e-book», peraltro, non include segmenti emergenti delle vendite digital onlytra cui gli autopubblicati, dove nuovi generi guidano un mercato vibrante e divergente. La maggior parte di questi flussi, infatti, passa per Amazon, che si rifiuta fermamente di fornire i dati di vendita per quei libri pubblicati esclusivamente sul Kindle. In queste pieghe non sondate potrebbe annidarsi un potenziale incremento del mercato digitale non proveniente dagli editori tradizionali.

La riduzione delle entrate provenienti dagli e-book, considera ancora Rowberry,  è una conseguenza diretta della priorità riconosciuta dagli editori ai prodotti editoriali stampati, a scapito di quelli digitali. Il lancio del Kindle negli Usa, nel 2007, è iniziato con la commercializzazione dei titoli digitali a 9,99 dollari: con uno «sconto» di almeno 10 dollari rispetto al cartaceo. Questo approccio era naturalmente insostenibile nel lungo periodo, ma ha condizionato le aspettative dei lettori rispetto al costo dei libri elettronici. Quando i prezzi degli e-book si sono fisiologicamente avvicinati a quelli del libro fisico – ma i lettori erano ormai abituati alla «convenienza» del prodotto digitale – la vendita delle copie cartacee ha cominciato a cannibalizzare il mercato del libro elettronico.

È pur vero che sia l’EPUB che il formato proprietario di Kindle si basano su tecnologie di 20 anni, in un’epoca caratterizzata da una rapida obsolescenza tecnologica. Il recente piano che prevede la fusione dell’IDPF con il W3C potrebbe segnare un momento fondamentale di svolta per l’editoria digitale e rappresentare una sfida significativa per il formato e-book. Infatti il comitato, pur continuando a sostenere l’EPUB, sta sperimentando nell’ambito delle Portable Web Publications (PWP), con l’obiettivo – probabilmente – di «spostare» la lettura digitale dalle applicazioni dedicate ai browser, attraverso sistemi nativi. Questo comporterebbe indubbiamente dei vantaggi, ma chiamerebbe i libri a scendere nell’arena della conquista dell’attenzione sul web, al pari di tutte le altre offerte di contenuti con le quali l’utente si trova a interagire durante la navigazione.

Se il PWP sostituirà effettivamente l’EPUB, la resistenza di Amazon nei confronti del formato potrebbe risultare – col senno di poi – lungimirante. Per il momento, comunque, a Rowberry le profezie funeree sul libro digitale sembrano azzardate. Certo non impossibili, se il disinteresse di Amazon e la caduta del mercato trade dovessero perpetuarsi.

Gli editori, dal canto loro, dovrebbero guardare all’e-book come a un alleato piuttosto che come a un antagonista del libro cartaceo. Lasciare che l’e-book muoia per trarre beneficio dalla vendita delle copie stampate nel breve periodo, potrebbe significare rinunciare al libro digitale come formato autonomo e circoscritto nel lungo periodo. E dover competere indistintamente con l’enorme varietà di generi e formati offerti dal web per conquistare l’attenzione dei lettori, in un futuro non poi così lontano.

Sorgente: L’e-book sta per morire?