cBook. Quando l’e-book incontra il cinema

cBook. Quando l’e-book incontra il cinema

di Alessandra Rotondo

La rivoluzione digitale, ormai lo sappiamo, ha avuto un impatto significativo sul modo in cui fruiamo i contenuti mediali. Ha riplasmato i contenitori, spinto alcune tecnologie e reso altre obsolete. Ha modificato il nostro modo di essere lettori, spettatori, ascoltatori, giocatori di gran parte dei prodotti di entertainment cui eravamo abituati fino all’altro ieri.

Sono trascorsi più di dieci anni dall’arrivo tra le nostre mani del primo smartphone con touchscreen capacitivo: sintesi e feticcio del nostro rapporto con la tecnologia. Nel frattempo, una tendenza più delle altre si è manifestata come diretta conseguenza della rivoluzione digitale: quella all’ibridazione.

Se da un lato qualcuno storce il naso, precisando che un libro è un libro, un film è un film e un videogioco è un videogioco; dall’altro, gli esperimenti di composizione, rimodulazione e potenziamento dell’esperienza di fruizione continuano a moltiplicarsi.

Sul fronte del libro, nel riflesso del fiacco bilancio dei primi dieci anni di e-book, qualcuno intravede una mancanza di reale dirompenza del «nuovo» formato. Copia anastatica della versione cartacea, il libro digitale si limiterebbe a garantire al lettore (meglio, a un certo tipo di lettore) qualche beneficio in termini di praticità. Senza potenziarne – anzi, forse, affievolendone – l’esperienza di fruizione.

Che l’e-book potesse essere molto di più della versione in pixel del libro a stampa l’abbiamo sentito dire più che sperimentato. Quelli «enhanced», arricchiti, si sono prestati e si prestano per lo più a dar forma a prodotti sperimentali. Qualche movimento più consistente lo abbiamo visto con le app e nel settore bambini e ragazzi, in luoghi di confine tra la narrazione e il gioco.

Un libro che, d’altro canto, entra sempre più in concorrenza con le altre forme dell’intrattenimento. E, negli ultimi anni più che in passato, pubblico e attenzione deve spartirseli anche con un certo tipo di serialità televisiva, caratterizzata da forti venature autoriali e maggiore complessità narrativa.

Come si dice, «se non puoi combatterli, unisciti a loro». Questo deve aver pensato Nick Fletcher, sceneggiatore e produttore, nel concepire cBooks: il cinematic book. Il progetto è nascente, ma le premesse sono chiare. Il «libro cinematico» è digitale, e alla narrazione monodimensionale della parola scritta affianca momenti audiovisuali, con clip che risolvono particolari snodi della storia, approfondiscono la psicologia del personaggio, ne esplorano il passato o il futuro e consentono rapidi cambiamenti del punto di vista.

Non si tratta, come nel caso di altri progetti visti in passato, di una giustapposizione di linguaggi (la traccia audio e l’e-book, il video e lo script). Piuttosto, di un prodotto multimediale complesso nel quale è l’autore – e solo lui – a decidere qual è il linguaggio più adatto a narrare ciascuna azione, confezionando una storia che il fruitore dovrà approcciare nella molteplicità dei suoi formati.

A chi lo accusa di stravolgere la forma libro, Fletcher ribatte che il cBook è un libro: con un contenuto testuale fondamentale e preponderante, che si fonde con il linguaggio audiovisivo per meglio esplorare i risvolti della narrazione. E non esclude che il formato possa essere specificamente rivolto, in futuro, a progetti di promozione della lettura: con la clip video «sbloccata» al termine del capitolo come premio per il lettore.

Di facile intuizione il risvolto economico del progetto. Il prototipo di cBook è stato realizzato a partire da un film uscito nel 2015, Monsoon Tide. Una coproduzione anglo-indiana sceneggiata e diretta da Fletcher. Una scelta che, da un lato, rivela il desiderio di ampliare l’universo narrativo attorno a un prodotto d’intrattenimento, moltiplicando le possibilità di guadagno a esso legate. Dall’altro, di rivolgersi a un’area geografica in cui, tanto la crescente alfabetizzazione che la sempre più capillare diffusione dei dispositivi mobili, stanno favorendo l’emersione di un nuovo pubblico di lettori. Un pubblico alla ricerca d’intrattenimento, di contenuti accattivanti, immediati e dal profilo intellettuale non necessariamente eccelso.

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E-book ora più adatti al prestito e a tutti i device

E-book ora più adatti al prestito e a tutti i device

Due importanti innovazioni per gli e-book: migliorano le modalità del prestito bibliotecario digitale e la grafica è uniformata anche per diversi dispositivi

di Gregorio Pellegrino 

La comunità che gira intorno all’EPUB è in continuo fermento. Nel mese di settembre 2017 due importanti notizie hanno animato il mondo dell’ebook: in Canada la società DeMarque ha presentato una delle prime applicazioni di lettura che implementa Readium LCP (Licensed Content Protection) per il prestito digitale, mentre la Readium Foundation, in particolare l’EDRLab, presenta il primo prototipo funzionante di framework CSS per l’EPUB.
Entrambe le notizie toccano la realtà nostrana: la società DeMarque è il partner tecnico del distributore italiano Edigita, mentre il framework CSS è stato presentato da EDRLab e Readium Foundation, di cui la Fondazione LIA è membro.

Nei mesi scorsi avevamo parlato della prima demo ufficiale del DRM Readium LCP mostrata durante la seconda edizione dell’EPUB Summit, ora l’implementazione da parte di DeMarque per il mercato Canadese è un passo avanti importante, che incoraggia una rapida adozione in Italia. Francesca Noia di Edigita conferma: «LCP è già disponibile sulla piattaforma per tutti gli editori [italiani, ndr] che vorranno utilizzarlo per distribuire i loro titoli inizialmente nelle biblioteche canadesi e in futuro su tutti i circuiti che lo supporteranno».

Il sistema di DRM Readium LCP, particolarmente adatto per il prestito bibliotecario digitale, riduce considerevolmente la barriera tecnologica che l’utente incontra con gli altri sistemi, inoltre ha un costo di gestione nettamente inferiore alle alternative disponibili sul mercato.

Da questa parte dell’Atlantico, il 31 agosto 2017 l’EDRLab, sede europea della Readium Foundation, ha rilasciato il primo prototipo funzionante di framework CSS per l’EPUB. Nell’ambito dell’EPUB, questo framework rappresenta un passo importante per gli editori e i produttori di testi digitali. Al momento, infatti, è molto difficile impostare una grafica di un e-book che sia consistente sulle differenti applicazioni di lettura. Il framework è stato sviluppato in larga parte dal francese Jiminy Panoz, e-book designer, che lo scorso anno, stanco dell’inconsistenza nell’impaginazione grafica dei testi digitali sui diversi dispositivi, aveva mappato con la tecnica del reverse engineering le modifiche grafiche apportate da ogni app di lettura e creato un template CSS in grado di normalizzarle, così da garantire una resa il più simile possibile, su tutti i dispositivi. Il progetto è open-source e consultabile a questo link.

Forte di questa esperienza Jiminy Panoz, aiutato da contributi e feedback di tutta la comunità internazionale dell’editoria digitale, ha impostato un framework modulare e open source per la resa grafica dell’EPUB, che permette a chi produce i file EPUB di avere una buona sicurezza della resa grafica dei propri prodotti.

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L’entrata di Kobo nel mercato degli audiolibri

L’entrata di Kobo nel mercato degli audiolibri

di Denise Nobili

Sulla scia della fortuna e della popolarità sempre maggiore che l’audiolibro sta riscuotendo, anche Kobo si lancia sul mercato degli audiobook, studiando un servizio apposito per i suoi clienti che andrebbe a offrire un’alternativa ad Audible di Amazon.

Per ora la novità investirà soltanto l’applicazione di Kobo e alcuni Paesi: Canada, America, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda. L’app è stata aggiornata (sia per iOS che per Android) attraverso l’integrazione di un audio player e una sezione apposita, da cui sarà possibile accedere all’offerta di audiobook tra cui scegliere per l’acquisto e procedere direttamente all’ascolto. La serietà di Kobo nell’approcciare questo settore è dimostrata dalla dimensione dell’offerta di audiolibri disponibili fin da subito: 1,5 milioni di titoli. Ma l’azienda canadese promette un aggiornamento continuo del catalogo, con aggiunte settimanali.

Come già aveva fatto in passato attraverso un unlimited subscription program per gli e-book, Kobo ha previsto un programma di affiliazione mensile, che prevede il pieno accesso a tutto il catalogo senza alcuna limitazione sulla base del prezzo di copertina. Soprattutto per chi non ha mai provato ad ascoltare un audiolibro, è stato comunque pensato un periodo di prova gratuito di 30 giorni. Sia attraverso l’applicazione, sia attraverso la piattaforma e-commerce utilizzata da Kobo per i suoi servizi, Rakuten, sarà possibile iscriversi.

L’audiobook coniuga alcuni vantaggi, dalla possibilità di ascoltare un libro mentre si sta guidando a quello della portabilità pressoché ovunque: non sorprende quindi né l’uso sempre maggiore che se ne sta facendo, né la scelta di Kobo di pensare a un programma di affiliazione apposito, anche nella prospettiva di portarsi allo stesso livello di Amazon. Il mercato globale degli audiolibri conta cifre enormi, attualmente valutate attorno ai 3.500 miliardi di dollari, e lo scorso anno ha visto una crescita del 31% in America, dove anche la produzione continua a essere sostanziale da almeno tre anni (circa 36 mila titoli all’anno).

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Informazione digitale, continua la crescita negli Usa

Informazione digitale, continua la crescita negli Usa

di Camilla Pelizzoli

Confermando la tendenza dello scorso annosempre più statunitensi cercano e consultano le notizie attraverso i social network. Tuttavia l’aumento, leggero in termini di popolazione generale, è portato dalla crescita notevole di alcuni segmenti in particolare della popolazione, come sottolineato dai dati rilevati dal Pew Reasearch Center.

Infatti si è sì passati dal 62% al 67% degli adulti americani che leggono notizie sui social (e di questi lo fanno «spesso» il 20%), ma le persone di più di 50 anni sono passate dal 45% al 55%; le persone non caucasiche dal 64% al 74%; e aumentano anche le persone senza un titolo di studio superiore, passando dal 60% al 69%. Una crescita importante, che da una parte sottolinea probabilmente un aumento di consapevolezza e di utilizzo da parte degli ultra-cinquantenni, dall’altra una possibilità, per categorie che spesso fanno parte di un discorso «minoritario», di seguire canali d’informazione non mainstream che riportano accadimenti e fatti magari ignorati dai player tradizionali, oppure inseriti in una «narrativa» in cui il fruitore non si rispecchia.

Social media news user profiles
I vari social differiscono profondamente, inoltre, nelle percentuali di utenti che li usano anche per informarsi. Se la palma d’oro degli «utenti informati» va a Twitter, utilizzato dal 75% dei suoi utenti per informarsi, vero è che in realtà questa alta percentuale non conta molto nel momento in cui si confrontano le dimensioni di questo social con gli altri; solo il 15% degli americani adulti utilizza Twitter (ovvero, sul totale degli statunitensi «solo» l’11% usa Twitter per informarsi). Certo, con la presidenza Trump questi numeri sono aumentati; tra gli utenti già registrati, la percentuale di chi usa il social per informarsi è cresciuta del 15%. Ma non sarà la passione del Presidente per i 140 caratteri a portare nuovi utenti a cinguettare.

Facebook, al contrario, ha percentuali leggermente più basse di lettori di news (il 68% dei propri utenti; +2% rispetto al 2016), ma grazie all’effettivo numero di utenti iscritti è in realtà il maggior canale di informazioni per gli utenti americani: il 66% degli adulti statunitensi è iscritto a Facebook, il che si traduce in un 45% che lo usa per informarsi. Ovvero, quasi la metà della popolazione americana si affida a Facebook, insieme ad altre fonti.

Twitter, YouTube and Snapchat have grown since 2016 in portion of users who get news on each site Social media sites as pathways to news

I social in cui si è rilevata una maggior percentuale di crescita tra gli utenti che cercano notizie sono stati, oltre a Twitter, YouTube e Snapchat. Per quanto riguarda il primo, gli «spettatori» che lo usano per informarsi sono aumentati dell’11%; rappresentano il 18% della popolazione, il che fa di YouTube il secondo canale informativo tra i social per dimensioni. Un aspetto che il social ha accolto e sviluppato, aggiungendo nella homepage la sezione Breaking News e avviando YouTube TV.
Snapchat ha visto un aumento del 12% (dal 17% al 29%); il che significa il 5% degli statunitensi lo usa per informarsi. Una crescita dovuta anche alle partnership con alcuni canali d’informazione tradizionali, come la CNN e il «New York Times», che sono entrati a far parte della sezione Discover dell’app.

Ovviamente questo utilizzo dei social non vuole dire, però, che non ci siano delle sovrapposizioni nella dieta informativa degli utenti, sia tra le diverse piattaforme, sia con i media tradizionali. Il 26% degli americani consulta le notizie su più di un social network; il 18% continua a rifornirsi in edicola e a leggere giornali; il 25% si informa ascoltando la radio e il 37% lo fa guardando la TV in chiaro.

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In Usa non si ferma la crescita dell’audiolibro

In Usa non si ferma la crescita dell’audiolibro

di Alessandra Rotondo

L’Audio Publishers Association ha pubblicato i risultati della sua annuale indagine sul settore degli audiobook, condotta (per la parte che concerne il mercato) dalla società di ricerca indipendente Management Practice e dalla Edison Research per quanto riguarda il pubblico e le sue abitudini.
Su entrambi i fronti sembra non arrestarsi la forte crescita che da qualche anno a questa parte sta attraversando il comparto. Nel 2016 le vendite hanno infatti superato i 2,1 miliardi dollari, con una crescita del 18,5% a valore e del 33,9% a volume rispetto all’anno precedente. È il terzo anno di seguito che le vendite a valore aumentano di circa il 20% rispetto all’anno precedente.
L’incremento delle vendite è generato in gran parte dall’aumento del pubblico che si dichiara «ascoltatore» di audiolibri: il 24% degli americani (più di 67 milioni di persone) ha completato l’ascolto di almeno un audiobook nel corso del 2016, con un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. Il 48% dei fruitori di audiolibri ha, inoltre, meno di 35 anni e spesso chi ascolta audiobook ascolta anche podcast (che però non fanno riferimento al perimetro di mercato che si sta analizzando). In particolare, gli ascoltatori di podcast che sono anche fruitori di audiobook, negli ultimi 12 mesi hanno ascoltato il doppio degli audiolibri rispetto ai non fruitori di podcast.
Chi ascolta audiobook è spesso un lettore forte. In media, infatti, l’«ascoltatore» ha letto (su qualsiasi supporto, anche audio) 15 libri l’anno. In più, il 77% degli «ascoltatori forti» concorda o concorda fortemente con l’affermazione «gli audiolibri aiutano a portare a termine la “lettura” di più libri». Cresce poi il numero degli utenti che utilizza lo smartphone per ascoltare gli audiobook: era il 22% nel 2015, attualmente è il 29%.
La maggior parte degli ascolti avviene tra le mura domestiche (57%), mentre l’automobile è la seconda location più ricorrente (32%). Il 68% degli intervistati dichiara di dedicarsi ai lavori domestici durante la lettura. Altri comportamenti multitasking emergenti coinvolgono l’attesa della cottura dei cibi (65%), l’esercizio fisico (56%) e il bricolage (36%).
Per la prima volta il sondaggio di quest’anno ha chiesto conto ai fruitori anche dell’eventuale ascolto attraverso smart speaker come Amazon Echo o Google Home: il 19% ha dichiarato di averci «letto» almeno un audiobook nel corso dell’ultimo anno.  Tra gli «ascoltatori frequenti» la percentuale sale al 30.

Altri aspetti interessanti messi in luce dalla ricerca:

  • Le biblioteche rimangono il più importante canale d’accesso all’offerta del settore e il prestito bibliotecario è il più efficace driver di scoperta per i nuovi titoli. È il 27% del campione a dichiararlo.
  • Tra gli oltre 50 mila titoli prodotti in formato audio nel 2016, i generi più rappresentati sono il giallo, la fantascienza e il rosa.
  • I tre principali motivi per cui gli utenti dicono di preferire l’ascolto di audiolibri sono 1)la possibilità di fare altro durante «la lettura», 2)il fatto che gli audiolibri siano portatili e fruibili ovunque, 3) il divertimento nella «lettura».
Secondo Tom Webster, vicedirettore strategico di Edison Research, «il mercato degli audiobook continuerà a crescere, perché continuerà a crescere il pubblico interessato a questo tipo di fruizione». L’ampiamento dell’ascolto di audiolibri, unito a quello dei podcast e al rapporto che evidentemente lega i due tipi di consumi, è il segnale di una sempre più evidente rinascita della «parola parlata». E del suo mercato.

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L’e-book sta per morire?

L’e-book sta per morire?

La maggior parte dei flussi di vendita passa per Amazon, che si rifiuta fermamente di fornire i dati di vendita per quei libri pubblicati esclusivamente sul Kindle. In queste pieghe non sondate potrebbe annidarsi un potenziale incremento del mercato digitale non proveniente dagli editori tradizionali

di Alessandra Rotondo

L’arrivo del Kindle – nel 2007 per il mercato statunitense, nel 2009 per il resto del mondo (inizialmente solo nella versione in lingua inglese) – è stato spesso paragonato, per dirompenza, a quello dell’iPod nell’industria musicale. «Non c’è da stupirsi» commenta Simon Rowberry su The Bookseller. «Il formato e-book prometteva notevoli vantaggi. Gli utenti avrebbero potuto modificare le impostazioni tipografiche del testo per una maggiore leggibilità, la portabilità sarebbe aumentata, nessun limite avrebbe più condizionato il rapporto tra il lettore e il catalogo dell’editore».

A dieci anni dall’arrivo degli e-book sul mercato, molti si chiedono se il formato abbia mantenuto le promesse fatte. Anche alla luce dei dati, che mostrano come nell’ultimo periodo il libro elettronico si sia costantemente confrontato con un consistente calo delle vendite. Il PA Publishing Yearbook registra, per il 2016, un -17%, a fronte di un aumento dell’8% dei ricavi provenienti dalle vendite del «libro fisico». Sul versante dei «formati innovativi», l’e-book appare peraltro totalmente surclassato dall’audiolibro, che – almeno nel mercato statunitense – continua incessantemente a crescere.

Tuttavia, continua Rowberry, sono poche le opinioni che si spingono più in là della superficie. E se, apparentemente, il «declino» dell’e-book può essere imputato alle preferenze bibliofile dei lettori e al loro amore per la carta, la faccenda è più complessa di così.

In primo luogo, i sistemi e le metriche di rilevazione e sintesi dei dati sul mercato editoriale dell’Associazione degli editori britannici (quelli di tutte le associazioni degli editori, potremmo aggiungere) si stanno ancora adeguando ai nuovi modelli dell’editoria. Proprio come l’industria musicale ha dovuto – volente o nolente – confrontarsi e imparare a «misurare» il fenomeno dello streaming (Spotify, giusto per portare l’esempio più celebre), così l’industria editoriale sta ancora capendo come valutare l’impatto delle nuove forme e tecnologie di lettura (come i servizi in subscription, per esempio: Amazon Unlimited primo fra tutti).

La «quota e-book», peraltro, non include segmenti emergenti delle vendite digital onlytra cui gli autopubblicati, dove nuovi generi guidano un mercato vibrante e divergente. La maggior parte di questi flussi, infatti, passa per Amazon, che si rifiuta fermamente di fornire i dati di vendita per quei libri pubblicati esclusivamente sul Kindle. In queste pieghe non sondate potrebbe annidarsi un potenziale incremento del mercato digitale non proveniente dagli editori tradizionali.

La riduzione delle entrate provenienti dagli e-book, considera ancora Rowberry,  è una conseguenza diretta della priorità riconosciuta dagli editori ai prodotti editoriali stampati, a scapito di quelli digitali. Il lancio del Kindle negli Usa, nel 2007, è iniziato con la commercializzazione dei titoli digitali a 9,99 dollari: con uno «sconto» di almeno 10 dollari rispetto al cartaceo. Questo approccio era naturalmente insostenibile nel lungo periodo, ma ha condizionato le aspettative dei lettori rispetto al costo dei libri elettronici. Quando i prezzi degli e-book si sono fisiologicamente avvicinati a quelli del libro fisico – ma i lettori erano ormai abituati alla «convenienza» del prodotto digitale – la vendita delle copie cartacee ha cominciato a cannibalizzare il mercato del libro elettronico.

È pur vero che sia l’EPUB che il formato proprietario di Kindle si basano su tecnologie di 20 anni, in un’epoca caratterizzata da una rapida obsolescenza tecnologica. Il recente piano che prevede la fusione dell’IDPF con il W3C potrebbe segnare un momento fondamentale di svolta per l’editoria digitale e rappresentare una sfida significativa per il formato e-book. Infatti il comitato, pur continuando a sostenere l’EPUB, sta sperimentando nell’ambito delle Portable Web Publications (PWP), con l’obiettivo – probabilmente – di «spostare» la lettura digitale dalle applicazioni dedicate ai browser, attraverso sistemi nativi. Questo comporterebbe indubbiamente dei vantaggi, ma chiamerebbe i libri a scendere nell’arena della conquista dell’attenzione sul web, al pari di tutte le altre offerte di contenuti con le quali l’utente si trova a interagire durante la navigazione.

Se il PWP sostituirà effettivamente l’EPUB, la resistenza di Amazon nei confronti del formato potrebbe risultare – col senno di poi – lungimirante. Per il momento, comunque, a Rowberry le profezie funeree sul libro digitale sembrano azzardate. Certo non impossibili, se il disinteresse di Amazon e la caduta del mercato trade dovessero perpetuarsi.

Gli editori, dal canto loro, dovrebbero guardare all’e-book come a un alleato piuttosto che come a un antagonista del libro cartaceo. Lasciare che l’e-book muoia per trarre beneficio dalla vendita delle copie stampate nel breve periodo, potrebbe significare rinunciare al libro digitale come formato autonomo e circoscritto nel lungo periodo. E dover competere indistintamente con l’enorme varietà di generi e formati offerti dal web per conquistare l’attenzione dei lettori, in un futuro non poi così lontano.

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Coinvolgimento dei lettori e promozione della lettura: come si muovono le fiere europee?

Coinvolgimento dei lettori e promozione della lettura: come si muovono le fiere europee?

di Camilla Pelizzoli

Sappiamo quanto la promozione della lettura sia una parte imprescindibile del settore editoriale. Per questo Aldus, il network delle fiere europee dell’editoria, ha pubblicato da pochi giorni un report che raccoglie esperienze e iniziative, delle vere e proprie case history, che sono state avviate dalle maggiori fiere del continente e che spesso hanno portato a ottimi risultati e a reiterazioni nel corso delle varie edizioni annuali.

Le fiere che hanno risposto si svolgono in tutta Europa: Anversa, Bologna, Bucarest, Francoforte, Göteborg, Lisbona, Londra, Milano, Roma, Riga, Salonicco, Sofia, Vienna e Vilnius. Questo ha permesso di avere una panoramica quanto mai vasta e variegata tanto sullo sviluppo dei rispettivi settori editoriali, quanto sulle abitudini di lettura del proprio Paese (che è, oggi più che mai, un argomento complicato). E chissà che, con i giusti adattamenti, alcune di queste idee non possano essere ampliate e adattate ad altre realtà.

Un punto comune a tutte è che le numerose attività spesso sono create grazie a partnership con altri soggetti legati al mondo del libro e non solo. Oltre ad alcune collaborazioni con festival letterari, le fiere interpellate dichiarano di lavorare con rassegne letterarie, altre fiere e associazioni culturali di varia natura.

Un buon esempio proviene dalla fiera «per eccellenza», Francoforte: con la sua organizzazione senza fini di lucro LitCam, infatti, la fiera tedesca promuove la parità e l’integrazione educativa dal 2010, e con il progetto Books say welcome ha dato vita, insieme all’Associazione Editori e Librai tedeschi Börsenverein e la Fiera di Francoforte, un’iniziativa che organizza degli angoli per la lettura e l’apprendimento presso oltre trenta campi di rifugiati in Germania. Inoltre sempre attraverso LitCam è stato sviluppato Football meets culture, un progetto che assiste bambini provenienti da famiglie svantaggiate per sviluppare le loro abilità linguistiche e sociali, abbinando corsi di calcio a eventi culturali.

Tante altre iniziative sono approfondite sia in uno degli articoli del prossimo numero del Giornale della libreria (4/2017, luglio-agosto, disponibile qui dalla prossima settimana) e sul report, disponibile sul sito di Aldus. Un’occasione per scoprire, imparare e (perché no) dare vita a molte buone pratiche.

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Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Le nuove generazioni di autori cominciano a usare linguaggi, stili e generi che colgono i gusti dei lettori (italiani e non solo). Ne abbiamo parlato con Giuseppe Strazzeri, direttore di Longanesi.

di Camilla Pelizzoli

La narrativa italiana sta vivendo negli ultimi anni un momento che potremmo definire di riscoperta, tanto dai lettori quanto, di conseguenza, dal mercato. I dati Nielsen lo confermano: ormai la fiction scritta da autori e autrici italiani vale per il 41%, a valore e a volume, di tutta la fiction venduta in Italia. Quali sono i motivi che hanno portato a questa ritrovata popolarità? In che modo sono cambiate le storie e gli autori, e il modo in cui gli editori li propongono ai lettori?

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Strazzeri, alla direzione della casa editrice Longanesi, che ha sottolineato due elementi principali: i nuovi linguaggi autoriali e, nel suo caso, la linea della casa editrice «fedele al percorso tracciato da Leo Longanesi e Mario Spagnol, che ne hanno definito la fisionomia dichiaratamente un po’ anticonvenzionale», e che ha spinto verso una ricerca di progetti narrativi valevoli e variegati all’interno della narrativa di genere e popolare (come quando, invece di dedicarsi al filone del noir all’italiana, si sono cercati autori con storie più thriller e si è portato in libreria Donato Carrisi).

Cominciamo partendo dal mercato: la ritrovata importanza della narrativa italiana è stata recepita anche a livello di selezione dei manoscritti e quindi di costruzione del catalogo in fieri?

Senz’altro, almeno in parte, sì. Nel senso che, per quanto riguarda Longanesi, tradizionalmente ancora oggi la maggioranza di titoli è di narrativa straniera; ma confermo che – grossomodo nel corso dell’ultimo decennio – la quota di autori italiani ha cominciato decisamente a crescere. Io, in particolare per quanto riguarda lo specifico di Longanesi, rilevo due fattori all’origine dell’aumento: da un parte il fatto che, per quel che riguarda i generi della narrativa in cui Longanesi si è sempre distinta (dalla crime fiction, al thriller, all’avventura), è successo qualcosa che non era ovvio fino a una dozzina di anni fa, ovvero la crescita in quantità e soprattutto in qualità di una stagione di scrittori italiani in qualche modo interessati alla scrittura (diciamo così) di genere, che producono testi interessanti. Dall’altra c’è un fatto molto oggettivo e legato al mercato, ossia il fatto che la crisi degli ultimi anni ha colpito anche l’acquisto dei diritti esteri. Si è verificata quindi una congiuntura favorevole all’acquisto di letteratura nazionale, banalmente anche per il fatto che solitamente sono titoli meno cari da acquistare, perché subiscono meno fasi di intermediazione; senza contare l’innegabile vantaggio dato dalla presenza dell’autore sul territorio, che è una risorsa importantissima in sede di promozione e comunicazione del titolo.

La narrativa di genere è effettivamente una parte importante di questa ripresa del mercato da parte della narrativa italiana. Sembrerebbe che gli autori siano riusciti a cogliere il desiderio dei lettori per queste varie tipologie di storie.

Certo: io credo che oggi più che mai l’autore italiano che si affaccia sulla scena editoriale, prima ancora che letteraria, deve avere in mente un suo pubblico di riferimento, e da quel punto di vista ora c’è una più istintiva e facile comunanza di intenti tra editore e autore. Inoltre, da questo punto di vista la narrativa di genere offre più meccanismi entro i quali depositare una storia, e per questo ci sono più possibilità di individuare il pubblico giusto.

Mi piacerebbe approfondire questa nuova consapevolezza dell’autore del proprio pubblico, che viene anche da una nuova formazione, un nuovo modo di porsi e di scrivere. Tutto questo come influenza la loro attività, e di conseguenza la vostra?

Prima di tutto c’è un fatto che tocca tanto la fruizione quanto la produzione dei contenuti, che è la moltiplicazione di fonti creative rispetto a un tempo. È ovvio che chi legge libri oggi ha moltissime altre occasioni di fruizione di un contenuto narrativo, scritto e non scritto (meglio, scritto in prima battuta per poi essere veicolato con un altro medium); tutto un mondo che fa parte delle nuove consuetudini di chi legge, ma anche di scrive.
Oggi a noi arrivano, molto più di un tempo, scritti che tengono conto di tutto questo, di una koinè linguisticaormai «digerita», un certo stile, che chiaramente sono mutuati da mondi che non sono genericamente quelli letterari; e poi inevitabilmente entra in gioco l’ineludibile elemento del talento. Comunque si presentano da subito come testi che traggono ispirazione da molte esperienze estetiche che testuali non sono, pur essendo vicine alla narrativa tradizionalmente intesa.

A livello più prettamente redazionale, si nota come gli autori siano sempre più scaltriti dal punto di vista dei meccanismi narrativi, della costruzione strutturale di una storia, ma che magari invece rispetto al proprio analogo di qualche decennio fa dimostrano di avere talvolta una minore padronanza stilistica, uno stile meno personale, proprio perché abituati a quella koinè comunicativa di cui parlavamo che è molto più veloce che stilistica, molto più efficace che pensata. Per questo talvolta c’è un lavoro di «ristilizzazione», da fare insieme all’autore, e anche questo è interessante, un portato dei tempi.

Questo non è l’unico modo in cui influenza il nostro lavoro a livello editoriale. Si presuppongono, ad esempio, sempre più forme di competenza aggiornate da parte dell’editor. Nel senso che un tempo il buon editor era la persona di ampie letture e di conoscenza verticale dello specifico settore editoriale che ricopriva nella casa editrice; oggi si presuppone che anche l’editor sia estremamente onnivoro, che sia in grado di comprendere, intuire, prevenire, se occorre anche di smascherare un po’ tutti i codici a cui l’autore ha messo mano nel momento in cui si apprestava a scrivere. Questo per quanto riguarda la costruzione del testo. Invece per quanto riguarda il lato promozionale, entra inevitabilmente in gioco l’elemento internet: la maggiore o minore consuetudine dell’autore può entrare a fare parte integrante anche del momento di comunicazione e promozione. Oltretutto, ci sono sempre più autori che nascono ad esempio come blogger prima di essere autori su carta stampata, e quindi magari il loro libro è, da un certo punto di vista, già una seconda esperienza; non si può non tenerne conto nel momento in cui un contenuto che viene da un blog, o da un altro tipo di piattaforma digitale, si deposita sulla pagina. Tanto nella produzione del contenuto, quanto nella sua promozione, sono mondi che devono rispecchiarsi virtuosamente.

Tornando a guardare più in generale il mercato, abbiamo potuto osservare anche un aumento delle vendite di diritti di libri italiani all’estero, sicuramente anche grazie alla sua ritrovata importanza sulla scena nazionale. Per quella che è la vostra esperienza, cosa chiedono le case editrici estere, e come reagiscono a quello che voi proponete?

Si torna in un certo senso alla prima domanda; è il risvolto di quanto si diceva prima. L’avvenuta maturazione da parte di una generazione di scrittori, ormai adulta e operante, di moduli narrativi internazionali, dei meccanismi interni che trascendono le nazionalità, ha portato non a caso a un aumento delle possibilità di vendere i diritti all’estero. È una produzione che inevitabilmente suona meno locale, meno interna dal punto di vista dei codici messi in atto. Dopo di che ovviamente l’italianità, se giocata nel modo giusto, può essere un punto a favore. L’enorme successo internazionale della Ferrante, ad esempio, corrobora questa impressione. Abbiamo da una parte una capacità narrativa di imbastire una storia ad ampio respiro, una vera e propria saga, assolutamente all’altezza di palati internazionali vari, uniti a quell’inevitabile pittoresco napoletano: è una tipizzazione col segno positivo dal punto di vista della vendibilità del prodotto. Stessa cosa si potrebbe dire per Camilleri, che da questo punto di vista funziona benissimo; ancora una volta forse felicemente differente è Donato Carrisi, che si caratterizza per il fatto di essere molto internazionale nei temi e nei toni. Di recente, dato che gli ultimi romanzi erano ambientati a Roma, si è aggiunto quel più che è sempre gradito sul mercato estero, quel tocco di caratterizzazione e colore locale.

Abbiamo ormai a che fare con autori le cui frequentazioni creative – non solo letterarie – li mettono quotidianamente di fronte alla possibilità di giocare con storie e strutture narrative che sono, in partenza, globali; unendo questa consapevolezza a una rappresentazione dell’italianità che sappia giocare con questi meccanismi, si possono creare libri in grado di esercitare una fantastica attrazione sui lettori di tutto il mondo.

Sorgente: Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Gli autori italiani ci salveranno. Lo dicono i dati

Gli autori italiani ci salveranno. Lo dicono i dati

di Giovanni Peresson

Ormai da anni il dato strutturale del settore colloca le traduzione di libri stranieri (tutti i libri) – tra il 23 e il 24% fino a tutti gli anni Novanta – a un più modesto 17-18%. Detto altrimenti: si pubblicano oggi più libri di autori italiani e si compra meno dall’estero. Significa che, passo passo, anche la dimensione autoriale – dalla saggistica al libro per bambini, dall’illustrato al fantasy – si è rinnovata. Autori più giovani, che hanno viaggiato di più, sono stati spesso e per più tempo all’estero, hanno attraversato e sono stati attraversati dai nuovi linguaggi del graphic novel, dei videogiochi, del cinema seriale,  sono arrivati alla scrittura – a qualunque tipo di scrittura – da percorsi professionali non più necessariamente umanistico-letterari e molto più internazionali di quelli fatti dai loro colleghi negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Si sono «innovati» anche loro, all’interno della più generale innovazione del settore. E forse hanno incontrato sul loro cammino scuole di scrittura, editor e scout che, più o meno, hanno percorso le loro stesse esperienze.

All’interno di questo processo, la narrativa di autore italiano rappresenta una delle due punte emergenti dell’iceberg. Le vendite della narrativa di autore italiano nel 2011 (escluso Amazon, gli e-book e i testi di autori «indie») rappresentavano il 36% del valore  delle vendite nei canali trade. Nel 2016 sono salite al 41% (e senza considerare la narrativa YA che nell’editoria italiana è attribuita alla categoria della fiction generale). Anche a copie assistiamo a una crescita analoga: dal 37% al 41%. La domanda di storie, di personaggi, di linguaggi, di mondi narrativi da parte del pubblico, si è spostata. I lettori continuano a essere incuriositi da plot narrativi stranieri (non a caso abbiamo parlato in questi anni di cataloghi geo-editoriali: sud est asiatico, aree di letterature slave, nordeuropee, anche statunitensi di «riscoperta»), ma cresce l’interesse per il mondo e le realtà che abbiamo sotto casa. Che si fa probabilmente fatica a capire solo con le più usuali chiavi interpretative della saggistica e del giornalismo d’inchiesta.


Così la narrativa di autore italiano è tra i settori che hanno mostrato in questi anni andamenti migliori rispetto alla media del mercato, e migliori lungo tutto il periodo (con la sola eccezione del 2016). Ha attutito i segno «meno» e ha rafforzato (2015) i segni «più».

Le ragioni sono diverse, e ancora si differenziano per i tanti segmenti che la compongono: come mostrano alcune slide dell’indagine sul tema che ha presentato Nielsen a Tempo di libri. Alcune componenti sono trasversali. Il formarsi di una generazione di autori che lavora molto di più su una letteratura e una scrittura di genere: a cominciare dal giallo e dal fantasy o dalla letteratura YA e dal graphic novel. Autori che provengono da settori diversi da quelli tradizionali del lavoro umanistico o editoriale. Frutto anche di un’attività di scouting che ha saputo muoversi su territori assai meno esplorati, come quello dei social, e che – assieme all’editor – ha trasformato questi materiali in testi narrativi. Ma anche editori: il caso maggiormente emblematico è Sellerio (ma lo stesso discorso vale anche per E/O) che sotto l’ombrello di Camilleri è stato capace di scoprire e far crescere nuovi autori. Si è trattato, cioè, di un ampio e diffuso processo di innovazione e di investimento sugli autori: dall’editing ai tour di lettura.

In un articolo uscito qualche tempo fa sul «Venerdì di Repubblica» (Dal Nord al Sud, piccoli Montalbano crescono di Alberto Riva, 17 maggio 2017) si metteva bene in evidenza questo aspetto: la forte dimensione regionale che è venuta assumendo, ad esempio, la crescita del giallo di autore italiano. Esprimendo un bisogno del lettore di identificarsi in elementi geografici, paesaggistici, culinari, in modi di dire, costumi e abitudini. Senza per questo cadere nello stereotipo.

Tradotto, significa che la narrativa italiana – non necessariamente di genere – sa oggi rispondere assai meglio rispetto al passato a bisogni di riconoscimento in mondi narrativi che sono più congeniali e vicini al lettore italiano. E anche le distanze tra qui e al di là dell’Atlantico, o delle Alpi o della Manica si sono fatte più brevi. Perché anche l’editore e il lettore straniero si riconosce in quelle narrazioni.

Tutto ciò ha poi un impatto non secondario sulla vendita di diritti all’estero. Non è un caso se la narrativa di autore italiano sia uno dei generi con il maggior tasso di crescita nell’export di diritti, con le oltre 1.600 opere vedute nel 2016 a editori stranieri.

Sorgente: Gli autori italiani ci salveranno. Lo dicono i dati