Sarà mica per sempre – versione free

Sarà mica per sempre - versione free

Alice è morta annegata, ma l’assassino l’ha poi rinchiusa nella sua auto e ha collegato il tubo di scarico all’abitacolo per simulare un suicidio. Perché? Non certo per depistare le indagini alle quali è bastata l’autopsia per svelare la messinscena. Sembra, piuttosto, il rispetto di un rituale, di un sacrificio umano.

La polizia archivia il caso, ma Emma, la migliore amica di Alice, esige delle risposte e convince l’ispettore Moreno a proseguire le indagini, almeno in via ufficiosa. Al loro fianco anche Barbara, psicologa radiata dall’albo per un errore letale, che si mantiene come domestica presso la famiglia di Alice.

Forse Alice è morta al posto di qualcun altro? E chi è la misteriosa Savana? La sua storia si intreccia a quella di Emma e Alice in quello spazio ignoto che è la follia umana, e la soluzione di questo thriller psicologico ambientato a Torino sarà sconcertante e terribile.

Il romanzo completo è su tutti i webstore.
Ecco alcuni link diretti: Amazon, Kobo, StreetLib… ma lo trovate ovunque.

Buona lettura!

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Come leggere gli ebook

Se non avete un software apposito che decodifica il formato dell’ebook in vostro possesso, non riuscirete mai ad aprirlo e leggerlo.

Quindi basta fornirsi di un lettore apposito, una applicazione o un software e tutto si risolve.

Sono uno che porta rancore (prima parte)

Breve racconto a puntate scritto da Manuela Leonessa.

Sono uno che porta rancore (prima parte)

Di Manuela Leonessa

Anni fa ero un venditore di enciclopedie, ma mi hanno licenziato. Dicevano che non lo sapevo fare, che non avevo il piglio del venditore. Dicevano che avevo l’aria di vergognarmi di quello che facevo perché non credevo nella bontà del prodotto.
Era tutto vero.
Affrontavo i clienti col tono di chi chiede scusa per il disturbo, e se acquistavano l’ enciclopedia il mio sollievo era così evidente da farli dubitare di avere acquistato una fregatura. E avevano ragione, per me era una fregatura davvero, ma ai vertici questo contava poco.
Il capo della mia agenzia, il cav. Gerla era il classico uomo grasso, dall’aria porcina, Quando vedeva una bella donna grufolava con gli occhi. Così dicevano, almeno, io non lo so perché belle donne in agenzia non ne ho viste mai. Per il resto era un ottimo uomo d’affari, sazio nell’aspetto e con il borsellino pieno, poco interessato, peraltro, alla qualità delle proprie enciclopedie.
Perché la bontà del prodotto, secondo il cav. Gerla non era un problema del venditore.
L’unico problema del venditore era vendere, non importa cosa, non importa come e non importa a chi. Il mio supervisore è diventato un mito (e un supervisore) dopo aver venduto l’enciclopedia a un non vedente, convincendolo a farlo per ingraziarsi il nipotino. Tutti i nonni del mondo sanno che i nipotini non si conquistano con le enciclopedie ma con le tartarughine e l’ultimo dvd di Peppa Pig. Tutti tranne questo qui. Il mio supervisore non è stato mitico, ha avuto solo culo.
Comunque io non venderei mai un’enciclopedia a un non vedente, neanche se fosse pieno di nipotini. Probabilmente è questo che mi rende un cattivo venditore, convinto che esserlo ottimo sia moralmente insano.
Ho lavorato nell’agenzia di Gerla per sei mesi. Ho sofferto ogni singolo giorno di quell’esperienza, e per un sacco di buoni motivi, se vendevo mi sentivo in colpa e se non vendevo era un guaio perché lo stipendio a fine mese era calcolato in provvigioni. Insomma non se ne veniva fuori. La mia angoscia era palpabile, il mio biasimo nei confronti dei colleghi, pure.
Non è bello sentirsi disapprovati, me ne rendo conto, e se nel giro di poco tempo mi hanno isolato, oggi posso comprenderlo. All’epoca, però, per me erano tutti dei nemici, degli esseri privi di scrupoli, impegnati in un lavoro che aborrivo. Cosa più inspiegabile, li ritenevo responsabili del fatto che quel lavoro dovessi farlo pure io. Complici, gaudenti e sfrontati mi irridevano considerandomi un essere incapace, perciò inferiore.
Probabilmente la mia percezione della realtà era un po’ alterata dal senso di angoscia in cui versavo, ma si sa, quando uno è sott’acqua senza bombola, non contempla il fondale, affoga. E io stavo affogando nei miei rancori ingiustificati e nel mio personale incubo di fine mese.
Con questi presupposti, il fattaccio diventava inevitabile.
Una mattina sono arrivato in sede con la mia solita aria sconfitta, i colleghi stavano definendo il programma della giornata, loro erano pieni di appuntamenti. Eccitati e gasati, gonfi come palloncini all’elio, si agitavano per la sala comune, con i loro maglioncini colorati e le agendine cariche di appuntamenti in mano, ridendo e dandosi grosse paccate sulle spalle.
Non c’entravo nulla con loro. Mogio mogio mi sono avviato alla mia postazione, sembravo l’uomo più infelice della terra e a qualcuno la cosa non è andata giù.
Improvvisamente mi si è parato di fronte un collega. Alberto qualcosa. Il suo nome era in cima alla lista dei venditori del mese. Quella lista che Gerla aveva appeso in bacheca, e che aggiornava ogni trenta giorni per segnalare i collaboratori più produttivi. Una di quelle strategie all’incentivazione degne di un corso per corrispondenza. Non so, a me non è mai sembrata un granché come strategia, eppure i miei colleghi sostavano ogni mese davanti a quella lista, la scorrevano con gli occhi e con devozione, dandole il potere di determinare il loro stato d’animo in una scala cromatica che andava dal grigio smorto al rosso più radioso.
Dunque il collega mi si è parato davanti, mi ha guardato con disprezzo e mi ha assalito con un «Ma lo vedi che faccia che hai? Ma che credi, di essere l’unico a doverti alzare al mattino per venire a lavorare? Sei deprimente!»
Per un attimo non ho capito. Cosa voleva da me, gli avevo mai fatto qualcosa?
Si è intromesso un altro collega. Sandro. Il suo nome era in cima il mese precedente.
«Ma lascialo perdere. Non vedi che non sa neanche in che giorno siamo?»
A quel punto mi sono reso conto che erano tutti intorno a noi. Tutti avevano lasciato quello che stavano facendo, abbandonato la propria preziosa agendina sulla scrivania per venire ad assistere alla scena. Tutti mi guardavano e ridevano.
Ho dato una spallata a Sandro, o forse era Alberto, e sono andato a sedermi alla mia postazione. Avrei voluto dire qualcosa ma non mi è venuto in mente niente. Ho sperato che la mia faccia fosse terribile, ho sperato che mostrasse tutta la mia rabbia, ho sperato che sembrasse l’espressione di un uomo forte, di uno che avesse molte cose da dire ma che tace come a un essere superiore conviene. Ho sperato ma non mi sono illuso. E avevo tanta voglia di scappare.
Piano piano se ne sono andati tutti. Tutti avevano un appuntamento, almeno uno, nella giornata. Perciò mi sono ritrovato solo in ufficio con il mio inutile elenco di clienti da contattare telefonicamente. La sala rimbombava tanto era vuota e io odiavo telefonare.
Mi spaventava l’interlocutore dall’altro capo del filo. Non sapevo chi fosse e lo immaginavo sempre maldisposto. Le risposte sgarbate erano una conferma delle mie aspettative, ma questa consapevolezza non mi proteggeva. Lo sgarbo mi annientava, e comporre il numero successivo risultava sempre più difficile. Il telefono era mio nemico, e faceva paura.
Insomma, non c’era niente in quel posto che mi trattenesse, e allora che ci facevo ancora lì?
Ci facevo che non avevo un altro lavoro.
Poi l’ho trovato. Un lavoro vero, con lo stipendio a fine mese.
Sono più o meno tre anni che faccio il cassiere in un supermercato, un lavoro che mi ricorda la catena di montaggio e che mi espone alla maleducazione della gente. Sono sempre di più le persone maleducate, ma non perché sia aumentata la maleducazione nel mondo, a questo proposito ho una mia teoria, ve la espongo.
L’aumento dei maleducati alle casse è causato dall’invenzione di quelle automatiche. Quelle casse dove vai e fai il cassiere con la tua merce, come quando da bambino giocavi a vendere.
Ma queste casse danneggiano noi del settore per tutta una serie di motivi. Il primo, il più ovvio, è che tolgono posti di lavoro, il secondo è che aumentano il numero dei maleducati alle casse tradizionali. Infatti, sempre secondo la mia teoria, le persone maleducate non si servono delle casse automatiche perché vogliono un cassiere da maltrattare. Ai loro occhi il cassiere, esposto ed inerme, è come un bersaglio su cui sfogare le proprie frustrazioni, più efficace di un ansiolitico, più attraente del tre per due. Da ciò consegue la frantumazione del flusso dei clienti in due ordini contrapposti, quello dei gentili, quasi tutti alle casse senza cassiere, e quello degli altri.
Ma, e arriviamo al punto, questi dettagli mi riguardano poco, perché il mio dramma e la mia tensione, risalgono a tre anni fa.
Dal giorno dello scontro con i colleghi di agenzia io grido vendetta. Da tre anni penso a quell’episodio con rabbia e con vergogna. È come un prodotto a lunga conservazione, non sbiadisce mai.
Da tre anni auguro ad Alberto e Sandro i mali più turpi che la mia mente offesa riesca ad immaginare. E ieri, finalmente, mi si è offerta un’opportunità, perché ieri Alberto, o era Sandro? è venuto a fare la spesa da noi. Non è venuto a pagare alla mia cassa, è andato a una automatica, così ora dovrò rivedere la mia teoria, ma è stata un’emozione così grande che non m’importa.
Non mi ha visto, a me invece lui è apparso come un sogno. Ero dietro al mio registratore di cassa e non mi potevo spostare, peccato perché in quel momento mi sono sentito come il Corvo tornato dall’aldilà per vendicarsi. Non ero invulnerabile come lui ma non importava, non avevo neppure una pistola, però avevo un registratore di cassa in mano e nessuna paura di usarlo.
La collega della cassa davanti a me si è voltata per chiedermi della moneta e ha notato il luccichio dei miei denti. Mi ha chiesto se andasse tutto bene.
È una donnona di cinquant’anni dall’aria materna e dal cuore buono. Si chiama Anna ma noi la chiamiamo Manna perché tale è per tutto il supermercato. Andiamo da lei quando abbiamo bisogno di un consiglio, di un incoraggiamento o di semplice consolazione. Lei ha una parola buona per tutti, e non l’ho mai sentita chiedere nulla per sé.
Le ho fatto segno che le avrei spiegato poi, durante la pausa caffè, nel mentre meditavo la mia vendetta e questo bastava a rendere la mia giornata più tollerabile, illuminata dalla presenza di una gratificante creatività, ma quando ho raccontato a Manna cosa mi avessero fatto Alberto e Sandro e che cosa meditavo da quando avevo visto uno dei due, lei mi ha guardato con la pena negli occhi.
«Ma, tesoro, è successo tre anni fa…»
Lo so anch’io, e infatti da tre anni sto male di brutto.
Il giorno dopo il nemico è tornato alla cassa automatica. Ho allungato il collo per curiosare nel suo carrello e ho visto una pagnotta nel cellophan. Imbecille, non lo sa che la panetteria di fronte vende pane molto più buono del nostro? Poi ho notato un pacco di merendine al cioccolato, Razza di microcefalo dai gusti regrediti di un bambino. L’ipotesi che le merendine fossero dei figli era da escludere categoricamente, anche perché lui non può avere figli, Chi mai lo sposerebbe a quello là?
Poi c’era dell’insalata e un pacco di carote. Ma allora è davvero cretino, non lo sa che al mercato la verdura costa meno ed è più fresca? Infine due cartoni di latte biologico. È stato difficile non scoppiare a ridere, lo scimunito crede ancora nel biologico!
È arrivata una delle clienti più simpatiche del supermercato, una delle poche gentili che continuano a venire alla mia cassa. Mi ha sorriso allegra «Buongiorno Renato. Come va oggi?»
«Bene signora»
Mi sono dimenticato di chiederle E lei? e ci è rimasta male. Ma non posso farci niente, la rabbia mi divora, invadendo tutto il mio spazio mentale, sono in stand by bloccato sull’opzione vendetta e da lì non riesco a muovermi. Tutto ciò che mi procurava gioia o che comunque rendeva gradevole la mia giornata è stato spazzato via dal bisogno di fare del male ad Alberto, o è Sandro? Li ammazzo entrambi e la chiudiamo lì.
Ho l’impressione che se gli avessi spaccato la faccia allora, oggi non starei così, ma i miei conti sono rimasti in sospeso e quello dei torti subiti, scopro ora, è uno di quei crediti che non cade in prescrizione.
Di quell’episodio ho un ricordo fresco come latte appena munto. La cosa che mi fa più male è che Alberto/Sandro lo ha dimenticato subito. Se la cosa avesse avuto per lui una qualche importanza, se fosse tornato dai suoi giri seccato, infastidito dall’episodio, se qualcosa nel suo atteggiamento, insomma, avesse suggerito che mi collocava in una posizione dignitosa nella scala evolutiva allora, forse, avrei potuto perdonare. Ma no, per lui non ero niente, ancor meno di nessuno. Allegro, e fiducioso si è recato ai suoi appuntamenti, senza neppure relegarmi da qualche parte, tanto mi aveva già dimenticato, mentre io umiliato e sofferente speravo che non riuscisse a vendere neppure un volume. Invece ha pure venduto. E anche oggi lui spinge il suo carrello ignaro e beato. Provo una rabbia dolorosa, neanche il fatto di essere il principe dei cretini lo rende un po’ infelice. La sua ignoranza abissale è asintomatica, il fatto che non lo faccia soffrire, fa soffrire me.
Manna mi osserva, nota il mio livore e se ne preoccupa, fa cambio con una collega per avere la pausa caffè insieme a me e a quel punto mi affronta.
«Renato…» mi dice, e il suo sguardo è nuovamente un poema alla pietà. E ha ragione, la vita va avanti, e si volta pagina. Dovrebbe essere così ma non ci riesco.
Qualcuno ha detto che il disprezzo è la forma più sottile di vendetta1, e io lo disprezzo costui, eccome. Ma lui nemmeno se ne accorge! E allora devo trovare qualcos’altro, qualcosa che lo faccia soffrire tanto. Ne ho bisogno per guardare avanti.
«Ma qui quello che soffre sei solo tu.» mi fa notare Manna.
Secoli di letteratura sulla vendetta ci hanno fatto credere quanto sia dolce il suo sapore. E quanto sia giusta e necessaria. Dalla biblica citazione “occhio per occhio” in poi, abbiamo imparato ad assimilare la vendetta alla giustizia. È lo stesso senso di giustizia che reclama il pareggiamento di conti, non sono contemplate altre opzioni. Ma è la prima volta che mi propongono questa riflessione, Il bisogno di vendetta fa soffrire solo me.
Mi impedisce di sotterrare l’ascia di guerra e calpestare il suolo che la nasconde. E farlo fiorire di nuovo.
Così vivo male, secondo Manna non vivo proprio. Da quando il decerebrato è ricomparso nella mia vita non faccio che pensare a lui, come a un fidanzato all’incontrario. Quando ami daresti la vita per la felicità altrui. Io mi approprierei volentieri della sua per riprendermi la mia.
Sono uno che porta rancore e non è bello. Ma non ne posso fare a meno. Solo ora mi rendo conto che non è bello soprattutto per me. C’è qualcosa che posso fare per far cessare questa rabbia tossica? Esiste davvero una soluzione diversa dalla vendetta per dimenticare?

Lo scoprirete nella prossima puntata

1 Baltasar Graciàn (gesuita, scrittore e filosofo spagnolo. 1601-1658)

Manuela Leonessa e Il Gioco di Libri

gioco-di-libriManuela Leonessa e Il Gioco di Libri

Talvolta è capitato di passare qualche ora in buona compagnia con gli amici, cercando di indovinare quale fosse il soggetto estratto e ponendo domande del tipo: “Se fosse una città, quale sarebbe?”

Ebbene, abbiamo chiesto ai nostri autori di abbinare il titolo del loro libro a una città, un personaggio, un piatto tipico e una canzone. Ed ecco uno dei risultati.

Sarà mica per Sempre

Sinossi

 Leonessa_EST Alice è morta annegata, ma l’assassino l’ha poi rinchiusa nella sua auto e ha collegato il tubo di scarico all’abitacolo per simulare un suicidio. Perché? Non certo per depistare le indagini alle quali è bastata l’autopsia per svelare la messinscena. Sembra, piuttosto, il rispetto di un rituale, di un sacrificio umano. La polizia archivia il caso, ma Emma, la migliore amica di Alice, esige delle risposte e convince l’ispettore Moreno a proseguire le indagini, almeno in via ufficiosa. Al loro fianco anche Barbara, psicologa radiata dall’albo per un errore letale, che si mantiene come domestica presso la famiglia di Alice.Forse Alice è morta al posto di qualcun altro?E chi è la misteriosa Savana? La sua storia si intreccia a quella di Emma e Alice in quello spazio ignoto che è la follia umana, e la soluzione di questo thriller psicologico ambientato a Torino sarà sconcertante e terribile.

Se “Sarà mica per Sempre” fosse

 torino

Una città: Tutte ma non lei

Se chiedessi a voi con quale città abbinereste il mio romanzo cosa rispondereste? Con un margine di errore che reputo bassissimo, direi, Torino, perché è la città in cui è ambientato il romanzo e anche quella in cui vivo. Ma quello dei thriller è un genere che si nutre di imprevisti, colpi di scena, e suspense. Proponendovi la città sabauda, non stupirei nessuno e non avrei centrato l’obiettivo. Ma se la città fosse Senigallia, oppure Forlimpopoli vi chiedereste incuriositi il perché, e continuereste a leggermi per scoprire la risposta

 zeppole

Un piatto: Le zeppole

Perché vicino a casa mia c’è un posto dove le fanno buonissime. Pertanto, per me che amo la dolcezza in tutte le sue forme, e credo nel valore terapeutico dello zucchero, abbinare il mio romanzo a un dolcetto ben fatto suona come un augurio.

Se dopo averlo letto avrete la sensazione che la vita vada un po’ meglio, ditemelo. Mi verrà il diabete e sarò felice.

 charlie-chaplin

Un personaggio: Charlie Chaplin

Perché ha saputo essere un personaggio, allo stesso tempo, ironico e toccante, e non mi dispiacerebbe scoprire come ha fatto

Una canzone: Ederlezi di Goran Bregovich

Perché ascoltarla a tutto volume è ogni volta un’emozione forte. Una di quelle che mi serra la gola. Non importa se l’ho già ascoltata centinaia di volte, scopro sempre qualcosa di nuovo, un accordo nascosto, un violino di cui non mi ero mai accorta, un’emozione diversa. E penso che un buon libro debba essere come lei, capace di avere sempre qualcosa di nuovo da dire

Dettagli del libro

  • Formato: Formato ebook
  • Dimensioni file: 2240 KB
  • Lunghezza stampa: 273
  • Editore: EEE-book (13 aprile 2016)
  • Venduto da: Amazon – Kobo
  • Lingua: Italiano
  • ISBN: 978-88-6690-306-2

Manuela Leonessa e Il suo Libro da Gustare

libri-da-gustareManuela Leonessa e Il suo Libro da Gustare

Lo spazio Libri da Gustare vuole stimolare la fantasia dei lettori e non solo quella. Dal momento che il vecchio detto recita che “il cibo nutre lo stomaco e i libri saziano la mente“, abbiamo pensato di stuzzicare i nostri autori proponendo loro di abbinare i titoli delle loro opere a una ricetta, un qualcosa che possa identificare e dare soddisfazione anche al palato.

Unire sapori in una sera da gustare

Avete appena terminato di leggere “Sarà Mica per Sempre” di Manuela Leonessa. Vi è piaciuto moltissimo, ne scrivete una recensione straordinaria su Amazon e io, l’autrice, per ringraziarvi vi invito a cena.

Vi preparo gli Spaghetti con le cozze alla rucola, prezzemolo, pomodorini e peperoncino piccante.

Proposto in genere come un primo piatto lo considero un piatto unico a tutti gli effetti perché, come ogni romanzo che si rispetti, ha tutto.

Sarà Mica per Sempre

Spaghetti con le cozze

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Le cozze sono frutti di mare molto saporiti ma digeribili, come la mia storia, gustosissima ma che scivola via leggera. È un piatto frizzante e fragrante molto appetitoso, che cattura subito il palato, difficile non finire la porzione, praticamente impossibile.

Il brodetto delle cozze, cotto con i pomodorini l’aglio e la cipolla, regala agli spaghetti un retrogusto ricco di sapori che si succedono l’uno all’altro senza stancare mai, e alla fine, quando ormai sembra che sia stato detto tutto, il peperoncino piccante, dà un’ultima sferzata, spiazzante e indimenticabile.

Spaghetti con le cozze alla rucola, prezzemolo, pomodorini e peperoncino piccante.

In questa ricetta vengono abbinate ai classici spaghetti ma arricchite dalla fragranza e dal sapore della rucola aggiunta fresca e cruda al momento di servire in tavola. Si fanno aprire in padella e si utilizza il loro fondo di cottura per realizzare un delizioso brodetto con pomodorini, aglio, cipolla, peperoncino e pangrattato. Infine, alle cozze e alla sautè, si uniscono agli spaghetti in una grande zuppiera. Prima di servirli si spolverizzano con prezzemolo e rucola tritati grossolanamente.

Ingredienti

Cozze 1 kg.,Spaghetti 350 gr.,Pomodori ciliegini 250 gr.,Peperoncino fresco piccante 1,Rucola 1 manciata,Prezzemolo 1 manciata,Aglio 2 spicchi,Cipollotto rosso fresco 1,Olio extravergine di oliva 3 cucchiai,Pangrattato 1 cucchiaio, Fettine di limone per guarnire q.b., Sale q.b.,Sale rosso delle Hawaii q.b.

Preparazione

Raschia le cozze con un coltellino oppure con una spugnetta eliminando tutte le impurità e i corpi estranei presenti sui gusci. Togli il bisso e lavale bene sotto acqua fredda corrente finché l’acqua non risulterà pulita.
Trasferiscile in una padella con un filo di olio extravergine di oliva e uno spicchio di aglio pelato e schiacciato. Accendi il fuoco e falle aprire a fiamma viva. Una volta che si sono tutte aperte, sgusciane due terzi e lascia le rimanenti con il guscio. Infine filtra il liquido di cottura passandolo in un colino a maglie strette.
Pela uno spicchio di aglio e il cipollotto. Tritali con la mezzaluna, mettili in una padella ampia insieme a 3 cucchiai di olio extravergine di oliva e lascia soffriggere dolcemente per un paio di minuti. Quindi aggiungi i pomodorini lavati e tagliati a spicchi, il peperoncino fresco tagliato a rondelle spesse, il liquido filtrato delle cozze e fai cuocere a fiamma dolce per 15 minuti.
Nel frattempo tuffa gli spaghetti in abbondante acqua bollente salata e falli lessare.
Trascorso il quarto d’ora, unisci le cozze sgusciate e il pangrattato. Mescola bene e lascia insaporire per un paio di minuti a fiamma moderata. Infine aggiungi anche le cozze con il guscio, mescola e spegni il fuoco.
Scola al dente gli spaghetti e trasferiscili in una zuppiera. Versaci sopra le cozze con tutto il loro brodetto, mescola e distribuisci in piatti singoli da portata. Spolverizza con prezzemolo e rucola tritati grossolanamente con la mezzaluna, guarnisci con fettine di limone e porta in tavola gli spaghetti con le cozze alla rucola, prezzemolo, pomodorini e peperoncino piccante

Fonte da cui è tratta la ricetta: ricette.foxlife.it

Sarà mica per sempre

Alice è morta annegata, ma l’assassino l’ha poi rinchiusa nella sua auto e ha collegato il tubo di scarico all’abitacolo per simulare un suicidio. Perché? Non certo per depistare le indagini alle quali è bastata l’autopsia per svelare la messinscena. Sembra, piuttosto, il rispetto di un rituale, di un sacrificio umano. La polizia archivia il caso, ma Emma, la migliore amica di Alice, esige delle risposte e convince l’ispettore Moreno a proseguire le indagini, almeno in via ufficiosa. Al loro fianco anche Barbara, psicologa radiata dall’albo per un errore letale, che si mantiene come domestica presso la famiglia di Alice.Forse Alice è morta al posto di qualcun altro?E chi è la misteriosa Savana? La sua storia si intreccia a quella di Emma e Alice in quello spazio ignoto che è la follia umana, e la soluzione di questo thriller psicologico ambientato a Torino sarà sconcertante e terribile

Dettagli del libro

  • Formato: Formato Kindle
  • Dimensioni file: 2240 KB
  • Lunghezza stampa: 273
  • Editore: Edizioni Esordienti E-book (13 aprile 2016)
  • Venduto da: Amazon – Kobo
  • Lingua: Italiano
  • ISBN: 978-88-6690-306-2

Chi è stressato alzi la mano

Chi è stressato alzi la mano

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Chi non vuole più esserlo alzi anche l’altra

di Manuela Leonessa

Lo stress rischia di compromettere la tua vita?

Se la meditazione trascendentale non fa per te, se la New Age da sempre ti lascia un po’ perplesso, se l’omeopatia ti convince, ma fino ad un certo punto, ci sono due cose che puoi ancora fare: tenerti lo stress o leggere questo articolo.

Ho un paziente, nome fittizio Marcello, che ritiene di essere l’uomo più stressato del mondo.
Che sia vero o no per lui è importante che io gli creda, perché se anche il primato non fosse reale, la sua sofferenza lo è.
Al nostro primo incontro l’ansia lo divora, per contrastarla ingurgiterebbe qualunque cosa, caramelle, sigarette, unghie, ma davanti a me non osa, se ne sta perciò in mezzo alla stanza con la bocca aperta in attesa di qualcosa. Non è un bello spettacolo, davvero, ma io sono una professionista perciò lo accolgo con un sorriso, e come se fosse il principe azzurro lo invito calorosamente a sedersi di fronte a me.

Chiedo ― Quand’è che si sente più stressato?

Sempre.― mi risponde, duro,  come se fosse colpa mia.

Con i “sempre” e con i “mai” si lavora male, non si sa bene da che parte afferrarli, perciò alla ricerca di una qualsiasi maniglia obbietto ― “Sempre”, è un sacco di volte. Me ne racconti una.

Marcello boccheggia, sembra un branzino alla ricerca d’ossigeno  ― Al lavoro.

Con un sorriso lo incoraggio a raccontare, ma è evidente che non ne ha nessuna voglia. Si agita sulla sedia, vorrebbe essere da un’altra parte. Si porta le mani alla testa lentamente senza impazienza e senza emozione.  Mi confida ― A volte ho paura di impazzire. Dottoressa, è possibile che io stia diventando pazzo?

La sensazione di diventare pazzo è quasi normale nelle persone molto stressate.― lo rassicuro ― È solo una sensazione, mi creda. Ma mi parli del suo lavoro, cosa fa?

Marcello è un contabile, lavora con i numeri tutto il giorno e lo sa fare bene. Lo chiudessero in uno stanzino a fare il proprio lavoro, sarebbe l’uomo più sereno del mondo, ma ci sono i colleghi e, soprattutto, c’è il capo.

È davvero così terribile?

Mi guarda disperato. Questo capo è la somma di tutti i suoi mali. Se non esistesse, la vita di Marcello sarebbe diversa ― Buon per lei che esiste, sennò non sarei qua.― conclude con un sorriso sgonfio. Cerca di essere  spiritoso ma è troppo depresso per riuscirci veramente. Io sorrido lo stesso per fargli capire che mi sono accorta della battuta, dopodiché insisto ― Mi racconti un episodio.

È un uomo crudele, riesce a farmi sentire sempre una nullità.

― Quand’è che l’ha fatta sentire una nullità?

― Sempre, non mi faccia ripetere.

― Anche oggi?

― E certo!

― Mi racconti cosa è successo oggi.

Cosa vuole che le dica, è un uomo crudele, non mi faccia ripetere. Scenate con lui ce n’è tutti i giorni a non finire. Per la miseria, sono diciotto anni che mi rende la vita impossibile, che brontola criticando tutto quello che faccio. Come se non fossi più capace di fare il mio lavoro.

― E lei ci crede?

― Cosa?

― Che non è più capace di fare il suo lavoro.

― E per forza che ci credo. ― si interrompe, deglutisce. ―A furia di sentirmelo dire.― mormora, infine, con il groppo in gola.

Gli lascio il tempo di riprendersi, tacciamo entrambi per qualche minuto. Poi mi ripeto un’altra volta ―Mi racconti cosa è successo oggi.

C’è questo maledetto progetto sulla tutela della maternità, io devo rendicontare le spese, non sto a fargliela troppo lunga, si tratta di un finanziamento. Legge 53. É una settimana che imposto un foglio di Excel che tenga conto di tutte le voci. Ho chiesto più volte al mio capo se andava bene e lui si è degnato di venire a vedere solo oggi, dopo una  settimana che ci lavoro sopra.

― E come è andata?

― Come vuole che sia andata? Ha detto che faceva schifo, che non serviva a niente, che avevo speso una settimana a fare un lavoro inutile, e che se fosse dipeso da lui, questo mese, non mi avrebbe pagato lo stipendio.

E lei come si è sentito?

Mi ha guardato come se fossi un ebete. Succede spesso che un cliente mi guardi come se fossi un ebete, dovrei esserci abituata,  invece continua a farmi un certo effetto. Il brutto del nostro lavoro sta proprio qui, dobbiamo fare domande apparentemente idiote, tanto scontata sembra la risposta.

Come mi sarei dovuto sentire secondo lei. Un fallito, no?

Il fatto è che la risposta scontata non è.

Perché un fallito? Ha sbagliato solo l’impostazione di un foglio Excel.  Ammesso che l’abbia sbagliata davvero, quanti anni sono che fa questo lavoro?

― Diciotto, non mi faccia ripetere.

È uno precisino, Marcello, ricorda tutto e me lo sottolinea ogni volta. Non deve essere male come contabile.

E in diciotto anni, quante volte ha fatto male il suo lavoro? Quante volte bene?

Mi guarda come un assetato di fronte a una granita, ha capito dove voglio arrivare.
Sovente tendiamo a guardare gli eventi tutti bianchi o tutti neri, buoni o cattivi. Facciamo valutazioni estreme, ci possiamo sentire perfetti o completamente imperfetti. Siamo nella logica del “o, o”.
O farò tutto in maniera precisa e meticolosa o sarà tempo sprecato.

Vi faccio un altro esempio per chiarire il concetto, e stavolta mi rivolgo alle signore perennemente a dieta.

Ho mangiato troppo a colazione. Tanto vale che mi abbuffi anche a pranzo.

Penso di avere chiarito il concetto.
Ma per tornare a Marcello, sottolineare quanto sia sbagliato confondere la parte con il tutto, non è sufficiente.

Mi ha fatto sentire un cretino, un deficiente. ― mi dice in tono disperato ―Non mi sono mai sentito così umiliato. Non oso tornare in ufficio, domani.

Percepisce l’evento come qualcosa d’intollerabile, per lui è praticamente una catastrofe. Gli chiedo se ha figli.

Una figlia― mi risponde torvo ―di quattordici anni.

Si confida con suo padre? Le racconta i suoi dispiaceri, le sue paure?

― Abbastanza.

― Come si chiama sua figlia?

―Denise.

Gli sorrido. È un bel nome.

Denise fa qualche sport?

―Gioca a pallacanestro.

―Gioco di squadra, bene. Allora, Marcello, immagini che una sera  sua figlia torni dall’allenamento disperata. Lei che fa?

― Le chiedo cosa è successo.

Non conoscendo Denise chiedo a Marcello di suggerirmi una situazione che potrebbe gettare la figlia in una situazione di vergogna intollerabile. Lui ci pensa un po’ poi sogghignando mi propone questo:

Durante un’azione a canestro, per lo sforzo le è scappata una scoreggia che tutti hanno sentito.

Devo complimentarmi con lui, sarebbe una situazione insostenibile anche per me.

Benissimo. Denise è stravolta dalla vergogna. Le confessa che non ha più il coraggio di tornare in allenamento. Vuole abbandonare la squadra. Lei cosa le risponde?

Ci pensa un po’, corruga la fronte. È totalmente immerso nella simulazione ― Le dico di non farla tanto tragica, che è una cosa che può succedere a tutti, anzi che magari è già successa qualche volta  e nessuno ci ha fatto troppo caso.

― Esatto.

― Ma la mia situazione è diversa ― protesta ― qui è il mio capo a considerarmi un fallito.

― E chi glielo dice?

― Me lo ha detto lui.

―Le ha proprio detto: Marcello, lei è un fallito?

―No, ma…

― Il suo capo tratta così solo lei?

―Il mio capo è uno stronzo, mi scusi. Tratta male tutti.

―E siete tutti dei falliti?

― No, no, anzi.

―Direi che non lo è neppure lei e il suo capo lo sa benissimo. Vediamo la situazione per quella che è, spiacevole, imbarazzante, se vuole. Un “capo stronzo”, mi scusi lei adesso, è una faccenda sgradevole, ma le catastrofi sono un’altra cosa. Una catastrofe non la sostiene nessuno, una faccenda sgradevole, lo ammetta, è in grado di sostenerla pure lei.

Lo stress è il risultato di una relazione tra l’individuo e l’ambiente. La persona stressata sente questa relazione come affaticante o esorbitante rispetto alle proprie risorse e dunque come una possibile fonte di pericolo per il proprio benessere.

Perché Marcello era stressato? Perché era convinto di essere davvero un fallito e perché riteneva insopportabile l’opinione negativa che il capo aveva di lui. L’ansia di Marcello si è ridimensionata quando ha accettato l’idea che fallire un compito non è il fallimento dell’intera persona, e quando si è convinto che un capo per quanto miserabile sia, non è un fenomeno intollerabile ma solo sgradevole.
E quando ci sentiamo costipati, come wurstel in una busta, per via dei figli pubescenti, del collega incompetente o dell’ennesimo corteggiatore irriducibile che possiamo fare?
Possiamo pensare, e imparare a modificare i  pensieri, le emozioni, le azioni, e le nostre reazioni abituali.
Se la montagna non va da Maometto, sarà Maometto ad andare dalla montagna.
Vi spiego cosa c’entra Maometto con tutto questo.

Prendiamo il figlio pubescente. Da quando ha iniziato a crescergli la barba è diventato ingestibile, saccente, aggressivo  insolente e la vostra vita, di conseguenza, è diventata un inferno.
Non riconoscete più in lui il marmocchietto di pochi anni prima che vi faceva pensare a un miracolo qualunque cosa facesse.

Non è giusto.― vi dite, e in alcuni momenti lo vorreste sopprimere, ma non lo fate perché poi vi dispiacerebbe, e lo sapete.

Non potete neanche sperare che gli passi presto, perché, ed è un fatto, l’adolescenza si sa quando inizia, ma non si sa bene quando finisca, Intuite, infine, che la situazione potrà solo peggiorare. Se non potete cambiare vostro figlio, allora, non vi resta che cambiare voi stessi, o per meglio dire, i vostri pensieri.

Questo figlio è un vero disastro, prima o poi mi farà impazzire.

Non è vero, è solo un normalissimo adolescente, al massimo vi farà arrabbiare.

È sempre così sgradevole, è diventato davvero insopportabile.

In realtà, a volte, continua a essere affettuoso e a cercarvi come un tempo, ma fate fatica a ricordarlo.

È vero, qualche volta è ancora gentile, ma conta di più la sua maleducazione.

E chi l’ha detto?

Si comporta così perché mi odia. Che cosa gli ho fatto?

Sbagliato, si comporta così perché è un adolescente.
L’interpretazione del proverbio è molto personale? Vero, ma funziona abbastanza.

E funziona solo in un senso, perché è vero che Maometto può andare alla montagna se la montagna non va da Maometto, ma se Maometto non andrà alla montagna, temo che alla montagna non importerà niente.