Jack Reacher visto da Giancarlo Ibba

Jack Reacher visto da Giancarlo Ibba:  Un duro d’altri tempi, un moderno John Wayne

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Ho incontrato per la prima volta il personaggio Jack Reacher in un “diner” della cittadina di Margrave. Il romanzo era “Zona pericolosa”, l’autore Lee Child. Fin dalle battute iniziali gli occhi, ormai esperti nell’individuare uno scrittore in linea con i miei gusti narrativi, mi si sono incollati alla pagina. Lee Child, un britannico che ambienta le sue storie negli USA, è dotato di un talento raro: quello di dipingere, con poche frasi, una manciata di righe e qualche linea di dialogo, un protagonista carismatico e l’ambientazione in cui si muove la trama. È un talento che io apprezzo e che, talvolta, cerco di sviluppare nelle mie storie.

locandina reacherMa torniamo a Reacher. Jack Reacher è un omaccione alto, biondo, grosso come un gorilla ma agile come un gatto (nessuna somiglianza con la versione cinematografica interpretata da Tom Cruise, insomma). Deve avere un aspetto formidabile, con la grinta del duro, perché chi lo incrocia per strada di solito cambia marciapiede. Per la stessa ragione, probabilmente, conquista e/o ammalia buona parte delle donne che incontra nel suo vagabondare per gli States. Non ho usato il termine “vagabondare” a caso. Reacher infatti è un ex soldato, per la precisione faceva parte della polizia militare (da qui l’abilità investigativa e nel combattimento corpo a corpo che il nostro sfoggia in ogni romanzo della saga lui dedicata), che si è congedato dall’esercito e ha deciso di vagare di luogo in luogo portandosi dietro soltanto i vestiti che aveva addosso, uno spazzolino pieghevole e qualche spicciolo. Non gli piace lavorare. Per mantenersi utilizza i risparmi accumulati durante la carriera militare. Per fortuna non ha grandi necessità. Dorme pochissimo, mangia quello che c’è e, per tenere sù il morale, beve moltissimo caffè. Viaggia a piedi o con i mezzi pubblici. Non usa carte di credito e paga in contanti per non lasciare tracce elettroniche. Non possiede il cellulare. Mastica poco di internet, ma riesce a risolvere ogni situazione grazie alla faccia tosta, il cervello fino e i muscoli ipertrofici. Di solito pernotta in una stanza di motel, nella cella di qualche prigione o nella casa della “sedotta e abbandonata” di turno.

Reacher è un personaggio d’azione classico eppure originale, un eroe/antieroe in grado di trovarsi sempre nel posto sbagliato al momento giusto (altrimenti non ci sarebbe nessun romanzo, naturalmente), con uno spiccato senso della giustizia e la capacità di uscire fuori dai casini più intricati con scioltezza quasi imbarazzante. Al suo confronto, gli altri personaggi (che facciano parte di CIA, FBI, NSA, DEA, FDA, etc… o siano semplici vicesceriffi di contea) paiono sempre restare un passo indietro rispetto al procedere dell’intreccio. Reacher sa sempre cosa dire, quando dirlo e come dirlo. La cosa migliore, però, è che capisce anche quando è il caso di tenere la bocca chiusa. Accade di rado, tuttavia. Perché al nostro eroe piacciono le frasi a effetto e le spiritosaggini argute.

Mi rendo conto che questo articolo sta prendendo una piega curiosa, dello stile a “ruota libera”, quindi sarà meglio riprendere la strada vecchia. Dunque. Dicevo?

Lee Child, Bouchercon 2010 di Mark Coggins

Lee Child, Bouchercon 2010 di Mark Coggins

Lee Child scrive bene. Reacher è un bel personaggio. Le storie in cui si trova coinvolto riescono a creare quella magia per cui un lettore, come il sottoscritto, stropicciandosi gli occhi, si dice: “Ancora un’altra pagina, poi chiudo il libro e vado a dormire.” Detto questo, ammetto di preferire le avventure in cui Reacher racconta in prima persona gli eventi, rispetto a quelli in cui il punto di vista è una più distaccata terza persona (“Zona pericolosa” – che ha vinto numerosi premi come miglior romanzo d’esordio – e “I dodici segni” sono i miei preferiti, infatti rientrano nella prima categoria). Perché? Forse perché la personalità e la lucidità di Reacher, nel descrivere i fatti, sono così peculiari da rendere ogni dettaglio più incisivo, ogni riflessione più coinvolgente, ogni strategia elaborata per incastrare i cattivi più chiara, ogni avversità più coinvolgente. Non crediate, però, che i romanzi in terza persona siano meno appassionanti. Tutt’altro. È solo questione di gusti. Come è ovvio, poi, l’uso della terza persona permette all’autore di variare il punto di vista e dare alla storia una struttura meno centrata sul protagonista. Ciò non toglie che, anche in questi capitoli della saga (vedi “Via di Fuga”), tutto quanto ruoti intorno alla figura imponente e ingombrante, in tutti i sensi, del quasi infallibile Jack Reacher.

Che altro dire? Se vi piace il genere action-thriller e volete conoscere il personaggio di Jack Reacher, creato dalla bella penna di Lee Child, sapete dove trovarlo: in libreria o negli store digitali. Non è indispensabile leggere i romanzi in ordine di pubblicazione, ma sarebbe meglio farlo per cogliere l’evoluzione del protagonista. Tuttavia, non aspettatevi grandi cambiamenti, Reacher è come una montagna di granito, ci vuole ben altro che una dozzina di rischiose avventure piene di misteriosi delitti, intrighi di potere, attacchi terroristici, complotti governativi, memorabili scazzottate e sanguinose sparatorie per scalfirlo.
E a me piace così. Un duro d’altri tempi, grosso e sveglio. Una specie di moderno John Wayne.