In viaggio

In viaggio

Chi viaggia in aereo prova sempre in qualche modo a trascorrere il tempo. E gli scrittori cosa fanno?

di Sara Meloni

Chi viaggia in aereo prova sempre in qualche modo a trascorrere il tempo. C’è chi legge, chi dorme, chi fa i cruciverba. C’è chi ascolta musica e chi chiacchiera col proprio vicino di posto. C’è chi usa lo smartphone, chi il tablet, chi il pc… o chi semplicemente resta assorto nei propri pensieri…

Questa volta ho un libro da leggere. È lì davanti a me, in attesa di essere aperto. Leggo qualche riga ma non riesco a concentrarmi. È strano. I miei pensieri corrono veloci, la mia testa lavora in modo forsennato.
Mi decido a prendere in mano un quadernetto e una penna, e finalmente inizio a scrivere. Scrivo i miei pensieri, li fermo, fissandoli sulla carta, e li riordino. Metto punti e virgole, argino il fiume in piena. E così quei pensieri, da affannati quali erano, riprendono a respirare con più calma. Scorrono fluidi, senza accavallarsi gli uni sugli altri…

Un’ala bianca e metallica si staglia sullo sfondo del cielo azzurro. La scorgo con la coda dell’occhio, fuori dal finestrino ovale. Attorno a me è pieno di nuvole. Sopra, sotto, ed anche accanto a me. Sono dense e candide, e avvolgono lo sguardo come una morbida coperta.

Sono in viaggio. Sono in viaggio verso qualcosa di nuovo. Sono in viaggio lontano dalla mia terra, dalla mia casa, dalla mia vita. Quella di tutti i giorni. Quel quotidiano che in qualche modo ci dà sicurezza, ci offre un riparo.

È vero, nel mio caso non si tratta di un addio, ma solo di un arrivederci, di un “a presto”. Quindici giorni passano veloci, mi dico. Volano. Volano proprio come questo aereo.
Ma intanto qualcosa resta alle mie spalle, così come qualcosa mi aspetta là, al mio arrivo. Potrebbe essere come una porta che si apre su una lunga strada sconosciuta, da percorrere. Anche se, mi viene subito da pensare, ogni strada, qualsiasi strada, non ancora percorsa, è sempre sconosciuta.

Non so se questo sarà solo il preludio, di un arrivederci più lungo, o se invece tornerà tutto come prima. Tutto uguale o tutto diverso. Non lo so. So soltanto che sono in viaggio. In volo su un aereo dalle ali bianche. Questo è un aereo diverso da tutti gli altri che ho preso fin’ora. Lo dimostra il fatto che è il primo aereo che prendo da sola. Mi guardo intorno e vedo volti nuovi e sconosciuti. Non sono spaventata, sono solo curiosa…

All’inizio i miei pensieri erano come le rapide di un fiume, poi finalmente arrivano a tuffarsi nel mare. Un mare piatto e liscio come l’olio. Anche io mi tuffo nel mare. È un mare di pensieri che nuotano sott’acqua come i banchi di pesci. Mi ritrovo a seguirne uno, e lo riconosco subito: è la mia storia, e la ripesco proprio là dove si era interrotta. I miei personaggi erano in viaggio. Sono in viaggio.

Proprio come me.

Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Da Shakespeare a Emily Dickinson: le parole preferite dai grandi della poesia

Qualche tempo fa lo statistico Ben Blatt aveva inventato un algoritmo in grado di individuare le parole preferite dai romanzieri. Un software su cui basta caricare i testi di un autore, per individuare le sue parole più utilizzate e amate. Seguendo questo esempio, il sito MyPoeticSide ha deciso di compiere la stessa operazione con i grandi della poesia.

I redattori del sito hanno analizzato il loro intero database—contenente più di 35000 poesie—e sono riusciti a individuare le parole preferite di alcuni dei poeti più importanti della storia. Da Emily Dickinson fino a William Shakespeare. Una raccolta utilissima, per analizzare in modo diverso i lavori di questi straordinari artisti. Vediamone alcuni.

Robert Frost

Buona parte della poesia di Robert Frost è incentrata sulla trasmissione della realtà rurale. Con un linguaggio colloquiale e diretto. Non sorprende, quindi, che alcune delle sue parole più utilizzate siano “albero“, “fiori“, “vento“, “uccelli” e “legno“.

Le sue poesie, inoltre, hanno spesso un tono malinconico. Il passato e i ricordi di un tempo che ormai se n’è andato sono al centro della poetica di questo autore. Nelle sue opere c’è anche un utilizzo massiccio di termini come “indietro”, e “passato“.

 

Emily Dickinson

Emily Dickinson. Via.

Visto che buona parte della produzione di Emily Dickinson è incentrata sul rapporto conflittuale fra l’uomo, la sua spiritualità e l’ineluttabilità della vita, non sorprende che tre delle parole che più utilizza siano “Dio” e “paradiso” e “morte“.

Anche la Dickinson, però, fa largo uso di termini che richiamano la Natura. Spesso per evocare stati emotivi tramite il paragone con agenti atmosferici o ambientali. Quindi nella sua poesia troviamo largo uso delle parole “cielo“, “estate“, “sole“. La parola preferita in assoluto dalla poetessa, però, è “piccolo”.

 

William Shakespeare

La passione e i sentimenti sono certamente dei temi fondamentali per i sonetti di Shakespeare—come lo sono d’altra parte per i suoi scritti teatrali. E questa tendenza si nota ovviamente anche dalle parole che sceglieva per comporre i suoi lavori. Un largo uso dei termini “bacio“, “bellezza“, “desiderio“, “lussuria“. Anche “fiore“, in questo contesto, è una parola con connotazioni amorose: è infatti il paragone preferito dallo scrittore inglese per riferirsi alla bellezza di una donna.

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Parchi Letterari: alla scoperta dei luoghi della storia letteraria italiana

Parchi Letterari: alla scoperta dei luoghi della storia letteraria italiana

I Parchi Letterari sono territori con elementi naturali e umani diventati famosi grazie alla penna di alcuni dei più grandi scrittori italiani.

di Federica Crisci

I testi letterari sono ricchi di ambientazioni che fanno parte del nostro immaginario culturale. La curiosità verso quei luoghi in cui poeti e scrittori hanno vissuto e che hanno provocato suggestioni tali da portare alla nascita di opere d’arte è del tutto legittima. Grazie all’associazione Paesaggio Culturale italiano e al suo progetto Parchi Letterari ora è possibile passeggiare in quegli stessi posti e cercare di comprendere (e magari anche rivivere) le sensazioni provate dagli autori in quell’ambiente.

I Parchi Letterari sono costituiti da territori diversi che includono elementi naturali e umani. Sono gli sfondi di alcune vicende biografiche dei padri della nostra letteratura, oppure i paesaggi descritti in un romanzo o una poesia. Se ne possono trovare in tutta la penisola: in Lombardia abbiamo il Parco Alessandro Manzoni e Parco Adda Nord in cui è possibile visitare alcune delle ambientazioni dei Promessi Sposi; in Veneto c’è il Parco Letterario Francesco Petrarca e dei Colli Euganei dove, oltre all’ultima dimora ad Arquà del poeta, sarà possibile vedere antiche abbazie e castelli, scenari tipici delle poesie dell’amor cortese e romantiche. Le Terre di Dante porteranno i viaggiatori a muoversi tra la Toscana e la Romagna, mentre i visitatori del Parco Eugenio Montale si recheranno alle Cinque Terre e nei luoghi cari al premio Nobel. Il Parco Pier Paolo Pasolini si trova a Ostia, mentre in Abruzzo si possono ammirare i luoghi del D’Annunzio. Andando verso sud, ci sono ad Avellino il Parco Francesco De Santis, ad Aliano il Carlo Levi e in Sardegna quello dedicato ai luoghi alla scrittrice Grazia Deledda.

Nel corso dell’anno, in questi parchi, sono organizzati diversi tipi di eventi che permettono ai partecipanti di fare esperienza di quegli stessi luoghi attraverso attività ricreative e culturali. Si può prendere parte a uno spettacolo itinerante per le vie del centro storico di Castegneto, fare un giro in bicicletta a Ravenna nei luoghi che hanno ispirato il Paradiso dantesco, assistere alle prove dell’Aida del maestro Muti o partecipare a salotti letterari con scrittori di narrativa e saggistica.

I Parchi Letterari sono iniziative che, oltre a dare risalto al mondo letterario, vogliono avvicinare le persone a luoghi poco conosciuti e creare un tipo di turismo culturale ed eco sostenibile. Infatti, alcuni dei parchi collaborano con organizzazioni quali il WWF e Lipu; inoltre, durante gli itinerari, sono spesso proposti soggiorni in hotel bio o agriturismi biologici. La valorizzazione e la salvaguardia del territorio avvengono grazie alla letteratura e, allo stesso tempo, un’occasione di vicinanza con i testi letterari è offerta dal territorio stesso. Di certo, rappresentano una meta interessante per appassionati lettori, una possibilità per chi volesse organizzare una vacanza diversa dal solito.

Sorgente: Parchi Letterari: alla scoperta dei luoghi della storia letteraria italiana., Cultora

Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Le nuove generazioni di autori cominciano a usare linguaggi, stili e generi che colgono i gusti dei lettori (italiani e non solo). Ne abbiamo parlato con Giuseppe Strazzeri, direttore di Longanesi.

di Camilla Pelizzoli

La narrativa italiana sta vivendo negli ultimi anni un momento che potremmo definire di riscoperta, tanto dai lettori quanto, di conseguenza, dal mercato. I dati Nielsen lo confermano: ormai la fiction scritta da autori e autrici italiani vale per il 41%, a valore e a volume, di tutta la fiction venduta in Italia. Quali sono i motivi che hanno portato a questa ritrovata popolarità? In che modo sono cambiate le storie e gli autori, e il modo in cui gli editori li propongono ai lettori?

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Strazzeri, alla direzione della casa editrice Longanesi, che ha sottolineato due elementi principali: i nuovi linguaggi autoriali e, nel suo caso, la linea della casa editrice «fedele al percorso tracciato da Leo Longanesi e Mario Spagnol, che ne hanno definito la fisionomia dichiaratamente un po’ anticonvenzionale», e che ha spinto verso una ricerca di progetti narrativi valevoli e variegati all’interno della narrativa di genere e popolare (come quando, invece di dedicarsi al filone del noir all’italiana, si sono cercati autori con storie più thriller e si è portato in libreria Donato Carrisi).

Cominciamo partendo dal mercato: la ritrovata importanza della narrativa italiana è stata recepita anche a livello di selezione dei manoscritti e quindi di costruzione del catalogo in fieri?

Senz’altro, almeno in parte, sì. Nel senso che, per quanto riguarda Longanesi, tradizionalmente ancora oggi la maggioranza di titoli è di narrativa straniera; ma confermo che – grossomodo nel corso dell’ultimo decennio – la quota di autori italiani ha cominciato decisamente a crescere. Io, in particolare per quanto riguarda lo specifico di Longanesi, rilevo due fattori all’origine dell’aumento: da un parte il fatto che, per quel che riguarda i generi della narrativa in cui Longanesi si è sempre distinta (dalla crime fiction, al thriller, all’avventura), è successo qualcosa che non era ovvio fino a una dozzina di anni fa, ovvero la crescita in quantità e soprattutto in qualità di una stagione di scrittori italiani in qualche modo interessati alla scrittura (diciamo così) di genere, che producono testi interessanti. Dall’altra c’è un fatto molto oggettivo e legato al mercato, ossia il fatto che la crisi degli ultimi anni ha colpito anche l’acquisto dei diritti esteri. Si è verificata quindi una congiuntura favorevole all’acquisto di letteratura nazionale, banalmente anche per il fatto che solitamente sono titoli meno cari da acquistare, perché subiscono meno fasi di intermediazione; senza contare l’innegabile vantaggio dato dalla presenza dell’autore sul territorio, che è una risorsa importantissima in sede di promozione e comunicazione del titolo.

La narrativa di genere è effettivamente una parte importante di questa ripresa del mercato da parte della narrativa italiana. Sembrerebbe che gli autori siano riusciti a cogliere il desiderio dei lettori per queste varie tipologie di storie.

Certo: io credo che oggi più che mai l’autore italiano che si affaccia sulla scena editoriale, prima ancora che letteraria, deve avere in mente un suo pubblico di riferimento, e da quel punto di vista ora c’è una più istintiva e facile comunanza di intenti tra editore e autore. Inoltre, da questo punto di vista la narrativa di genere offre più meccanismi entro i quali depositare una storia, e per questo ci sono più possibilità di individuare il pubblico giusto.

Mi piacerebbe approfondire questa nuova consapevolezza dell’autore del proprio pubblico, che viene anche da una nuova formazione, un nuovo modo di porsi e di scrivere. Tutto questo come influenza la loro attività, e di conseguenza la vostra?

Prima di tutto c’è un fatto che tocca tanto la fruizione quanto la produzione dei contenuti, che è la moltiplicazione di fonti creative rispetto a un tempo. È ovvio che chi legge libri oggi ha moltissime altre occasioni di fruizione di un contenuto narrativo, scritto e non scritto (meglio, scritto in prima battuta per poi essere veicolato con un altro medium); tutto un mondo che fa parte delle nuove consuetudini di chi legge, ma anche di scrive.
Oggi a noi arrivano, molto più di un tempo, scritti che tengono conto di tutto questo, di una koinè linguisticaormai «digerita», un certo stile, che chiaramente sono mutuati da mondi che non sono genericamente quelli letterari; e poi inevitabilmente entra in gioco l’ineludibile elemento del talento. Comunque si presentano da subito come testi che traggono ispirazione da molte esperienze estetiche che testuali non sono, pur essendo vicine alla narrativa tradizionalmente intesa.

A livello più prettamente redazionale, si nota come gli autori siano sempre più scaltriti dal punto di vista dei meccanismi narrativi, della costruzione strutturale di una storia, ma che magari invece rispetto al proprio analogo di qualche decennio fa dimostrano di avere talvolta una minore padronanza stilistica, uno stile meno personale, proprio perché abituati a quella koinè comunicativa di cui parlavamo che è molto più veloce che stilistica, molto più efficace che pensata. Per questo talvolta c’è un lavoro di «ristilizzazione», da fare insieme all’autore, e anche questo è interessante, un portato dei tempi.

Questo non è l’unico modo in cui influenza il nostro lavoro a livello editoriale. Si presuppongono, ad esempio, sempre più forme di competenza aggiornate da parte dell’editor. Nel senso che un tempo il buon editor era la persona di ampie letture e di conoscenza verticale dello specifico settore editoriale che ricopriva nella casa editrice; oggi si presuppone che anche l’editor sia estremamente onnivoro, che sia in grado di comprendere, intuire, prevenire, se occorre anche di smascherare un po’ tutti i codici a cui l’autore ha messo mano nel momento in cui si apprestava a scrivere. Questo per quanto riguarda la costruzione del testo. Invece per quanto riguarda il lato promozionale, entra inevitabilmente in gioco l’elemento internet: la maggiore o minore consuetudine dell’autore può entrare a fare parte integrante anche del momento di comunicazione e promozione. Oltretutto, ci sono sempre più autori che nascono ad esempio come blogger prima di essere autori su carta stampata, e quindi magari il loro libro è, da un certo punto di vista, già una seconda esperienza; non si può non tenerne conto nel momento in cui un contenuto che viene da un blog, o da un altro tipo di piattaforma digitale, si deposita sulla pagina. Tanto nella produzione del contenuto, quanto nella sua promozione, sono mondi che devono rispecchiarsi virtuosamente.

Tornando a guardare più in generale il mercato, abbiamo potuto osservare anche un aumento delle vendite di diritti di libri italiani all’estero, sicuramente anche grazie alla sua ritrovata importanza sulla scena nazionale. Per quella che è la vostra esperienza, cosa chiedono le case editrici estere, e come reagiscono a quello che voi proponete?

Si torna in un certo senso alla prima domanda; è il risvolto di quanto si diceva prima. L’avvenuta maturazione da parte di una generazione di scrittori, ormai adulta e operante, di moduli narrativi internazionali, dei meccanismi interni che trascendono le nazionalità, ha portato non a caso a un aumento delle possibilità di vendere i diritti all’estero. È una produzione che inevitabilmente suona meno locale, meno interna dal punto di vista dei codici messi in atto. Dopo di che ovviamente l’italianità, se giocata nel modo giusto, può essere un punto a favore. L’enorme successo internazionale della Ferrante, ad esempio, corrobora questa impressione. Abbiamo da una parte una capacità narrativa di imbastire una storia ad ampio respiro, una vera e propria saga, assolutamente all’altezza di palati internazionali vari, uniti a quell’inevitabile pittoresco napoletano: è una tipizzazione col segno positivo dal punto di vista della vendibilità del prodotto. Stessa cosa si potrebbe dire per Camilleri, che da questo punto di vista funziona benissimo; ancora una volta forse felicemente differente è Donato Carrisi, che si caratterizza per il fatto di essere molto internazionale nei temi e nei toni. Di recente, dato che gli ultimi romanzi erano ambientati a Roma, si è aggiunto quel più che è sempre gradito sul mercato estero, quel tocco di caratterizzazione e colore locale.

Abbiamo ormai a che fare con autori le cui frequentazioni creative – non solo letterarie – li mettono quotidianamente di fronte alla possibilità di giocare con storie e strutture narrative che sono, in partenza, globali; unendo questa consapevolezza a una rappresentazione dell’italianità che sappia giocare con questi meccanismi, si possono creare libri in grado di esercitare una fantastica attrazione sui lettori di tutto il mondo.

Sorgente: Una nuova generazione di scrittori consapevoli

Scrittori in salotto, a teatro, al bar: tempo di cambiamenti per le presentazioni librarie

Scrittori in salotto, a teatro, al bar: tempo di cambiamenti per le presentazioni librarie

Aumentano le presentazioni nuove nell’impostazione e nei luoghi: il libro è così al centro di un evento che rende il lettore in grado di partecipare attivamente a un’esperienza.

di Camilla Pelizzoli

Portare il libro ai lettori è uno dei passi più difficili della filiera editoriale: la pubblicità, il posizionamento in libreria, l’utilizzo dei social, sono solo alcuni dei modi in cui una casa editrice può cercare di farsi conoscere, di conquistare la fiducia dei lettori e di mettere, se tutto va bene, il libro in mano a futuri appassionati. Tra questi strumenti, le presentazioni sono croce e delizia dell’editore: possono essere un enorme successo, e portare anche chi non conosceva l’autore ad appassionarsene, oppure possono essere un flop e costituire una perdita economica (e un colpo al morale). Certo è, però, che le presentazioni tradizionali nel corso degli ultimi anni sono più spesso del secondo che del primo tipo, e che spesso l’autore (salvo casi di comprovata popolarità) si trova a parlare di fronte a una platea poco gremita. Quindi sempre più spesso ci si sta muovendo per sviluppare nuovi tipi di presentazioni, nuovi format che riescano a richiamare e a coinvolgere nuovamente il lettore.

È il caso, ad esempio, dell’iniziativa avviata dall’editore pisano Mds, che ha dato il via a delle presentazioni che non puntano a richiamare lettori in libreria, ma a raggiungerli a casa loro. «Book at home» – questo il nome dato agli incontri – è un progetto lanciato all’inizio di quest’anno che punta a far tornare i salotti dei lettori dei veri e propri luoghi di ritrovo culturale; chiunque può partecipare, basta offrire casa propria e avere spazio per ospitare almeno una quindicina di persone. «Eravamo stanchi delle presentazioni in libreria fatti a volte con pubblico ridotto all’osso o con più relatori che spettatori» commenta Sara Ferraioli, presidente della casa editrice, parlando con Repubblica. I primi incontri sono già stati fatti e i risultati sono stati incoraggianti: «il piacere della lettura può essere condiviso in serenità e relax, per ascoltare cose che ci aiutano a capire il mondo in cui viviamo: i libri fanno questo, e lo fanno sia con la forza della letteratura, sia con la condivisone d’idee».

L’iniziativa di Mds non è la prima del suo genere: anche la libreria Modusvivendi di Palermo, con i suoi incontri «Citofonare interno Modus», ha organizzato delle presentazioni estive a casa di chi, tra i propri clienti, ha messo a disposizione la propria abitazione o il terrazzo per dare vita a incontri accompagnati spesso da musica dal vivo.
Il punto comune di queste esperienze, dunque, sembra la creazione di una nuova convivialità: lontani dai paradigmi della presentazione classica in cui autore e relatore parlano tra loro a un pubblico «inerme», e più vicino a un incontro di un club di lettura in cui si discute e ci si approccia in maniera diretta e amichevole. Si tratta cioè di mettere il libro al centro di un evento che lo circondi e lo renda oggetto d’interesse non solo in quanto libro, ma anche in quanto occasione di partecipare in maniera attiva a un’esperienza.

Sorgente: Scrittori in salotto, a teatro, al bar: tempo di cambiamenti per le presentazioni librarie