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Intervista ad Andrea Leonelli

Intervista ad Andrea LeonelliCrepuscoli_di_luce

La nuova silloge di Andrea Leonelli rappresenta quel passaggio fra stati d’animo oscuri e momenti più luminosi che segnano la vita del poeta. Attimi in cui, lasciate le tenebre, vi è un timido, quasi timoroso, affacciarsi alla luce della vita, di un nuovo inizio. Questa concezione diversa del vivere porta a interpretare i segnali quotidiani da punti di vista diversi, forse più consapevoli. Porta ad assaporare l’esistere, facendolo proprio, senza tralasciare alcun aspetto, nemmeno quelli che possono riportare fra le ombre. Tuttavia, la semi oscurità non è più sinonimo di malessere e di anima dolente, semmai diventa l’istante di riposo in cui la mente si rigenera e ritrova le energie per affrontare nuove situazioni e nuove avventure.

  • Spiegaci la motivazione di un titolo come Crepuscoli di luce. Cosa rappresenta?

Perché il crepuscolo è il momento del cambio, è quella zona di indefinito che separa due realtà diverse. Per me è anche sinonimo di mutamento e zona di potenzialità ancora non determinate né realizzate. È un confine senza bordi che separa, o unisce, due mondi diversi, dove si può decidere quale realtà, non ancora concretizzata, rendere vera. È un concetto affine alla meccanica quantistica, ma mi piace molto.

  • Quali sono le zone di ombra nella tua vita e quali quelle di luce?

Nella mia vita le zone d’ombra sono quelle che riguardano le cose che non sono riuscito a realizzare, o che non ho concretizzato al momento. La zona d’ombra più grande è sopraggiunta quando ho avuto l’infarto e lì, per quanto fossi immerso in un biancore abbagliante e totale, mi sono sentito in quella oscura terra di confine fra vita e morte, fra essere e non essere. Dopo quel momento ho visto le zone d’ombra diversamente. Le mie zone di luce sono i sorrisi, l’affetto e la serenità che riesco a scambiare e condividere con chi amo.

  • Il tuo stile di scrittura ha molta più affinità con le ombre. Come riesci a farle diventare luminose?

Probabilmente estremizzandole e rendendole così oscure da risplendere. Oppure rendendole luminose evidenziandole dalla massa in cui sono ed esponendole prendono consistenza e s’illuminano. Le metto in luce ponendole in un contesto diverso, per quanto sempre cupo, e dando loro risalto.

  • Da La selezione colpevole a Crepuscoli di luce cosa è cambiato nel tuo modo di essere poeta?

Ho imparato a essere più preciso, ho affinato lo stile e sono più accurato nel rifinire quello che scrivo. Ho ampliato i concetti guardando anche oltre quello che è esclusivamente il “me stesso” e, soprattutto nelle ultime composizioni ancora inedite, ho girato lo sguardo verso l’esterno e verso la società che ci circonda.

  • Vivi una realtà piuttosto frenetica. Le promozioni degli autori e altre attività collaterali ti portano via molto tempo. Quando riesci a scrivere?

Ultimamente per scrivere ho pochissimo tempo e ringrazio il destino di essere un autore di poesie brevi. Scrivo ogni volta che mi viene l’ispirazione, buttando giù le parole come vengono. E salvo gli scritti su computer o sul cellulare, per poi lavorarci quando il materiale è diventato sufficiente per una silloge. Praticamente faccio la parte più grossa del lavoro quando devo sistemare tutto quello che ho scritto in un unico file completo che, alla fine, diventerà il libro. Quando sono ispirato non mi è difficile scrivere, ma con il poco tempo disponibile, la stesura di un romanzo potrebbe diventare un lavoro di anni… Invece con le poesie e l’ispirazione giusta mi è possibile abbozzarne diverse in un tempo relativamente breve.

  • Come fa un animo sensibile come il tuo ad assorbire un’atmosfera pesante come quella che si vive in un reparto di rianimazione?

Da una parte c’è una sorta di assuefazione, ovvero ci si abitua a certi carichi emotivi, almeno apparentemente. Ma a volte, in situazioni pesanti ci vuole una “valvola di sfogo”. Da un’altra parte c’è quella che io chiamo sublimazione, ovvero il trasformare un carico emotivo in emozione espressa in altra forma. Nelle mie poesie spesso parlo di dolore e di attesa, proprio per sublimare gli stati d’animo che vivo al lavoro. Lo faccio per dirottare il dolore che permea l’aria del posto in cui vivo. Spesso non è solo il dolore fisico, ma il carico di emozioni che premono sulla pelle, come se potessero essere solide e se ne provasse il peso.

  • Quanta empatia provi per le persone di cui ti prendi cura al lavoro?

L’empatia è essenziale nel mio lavoro ma è anche un’arma a doppio taglio: impiegandone poca si può essere ugualmente bravissimi professionisti, anche se, mantenendo un atteggiamento freddo e distaccato, si rischia di non stabilire quel rapporto di fiducia necessario per il processo di cura. Se, per contro, se ne impiega troppa, si rischia di perdere di vista le priorità che sono necessarie per l’andamento corretto della globalità del lavoro, facendosi coinvolgere troppo in un’unica situazione e trascurando altre attività essenziali. Purtroppo il rapporto empatico, che consente di comprendere stati d’animo, che magari non sono chiaramente comunicati (e in rianimazione quello della comunicazione è un problema specifico, in quanto molti malati non hanno voce perché intubati o sedati), implica anche la trasmissione di quei carichi emotivi di cui si parlava nella domanda precedente.

  • Hai mai pensato di diventare un “angelo della morte”?

Non ci ho mai pensato seriamente anche se, spesso, ci si trova di fronte a situazioni in cui il mettercela tutta, fare tutto l’umanamente possibile, rischia di sconfinare nell’accanimento terapeutico. Il limite che contraddistingue queste due situazioni è una sfumatissima lama su cui camminiamo spesso. Anche questo fa parte dei carichi emotivi. Quando, salvare qualcuno può equivalere a condannare lui ad uno stato di vita apparente e i suoi cari a un altrettanto lungo calvario? Quanto a lungo è etico tenere forzatamente in vita qualcuno? Quanto lunga e travagliata deve essere la via crucis affrontata da pazienti e parenti, prima di giungere a una conclusione spesso inevitabile?

Anche semplicemente porsi queste domande, quotidianamente, è un carico emotivo di cui gli operatori sanitari sono costretti a farsi carico.

  • Quando Andrea non scrive come impiega il suo tempo?

Quale tempo? A volte ci sono giorni in cui ho giusto qualche minuto per mangiare e qualche ora per dormire, se non vengo colto dall’insonnia. Comunque, diciamo che i miei impegni si dividono fra il lavoro in ospedale e quello che svolgo per Il Mondo dello Scrittore Network, con le relative pubbliche relazioni. Nel tempo libero mi piace leggere, guardare qualche film (selezionato) e soprattutto alcune serie televisive.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Trovare il tempo per pianificare attività future 😉 Diciamo che, al momento, potrei avere materiale sufficiente per una nuova silloge e sto tentando, a tempo perso, di portare avanti un racconto lungo.

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