Di Salvatore Paci

L’ambientazione di un romanzo

L’ambientazione di un romanzo

di Salvatore Paci

La mia concezione di romanzo è quella di uno o più personaggi che si muovono in un contesto geografico e compiono delle azioni che costituiranno la trama. Il tutto con l’aggiunta del fattore tempo e del tentativo di far immedesimare il lettore nel protagonista buono della storia.

Il tema che affronterò oggi è relativo “al contesto geografico”, ovvero alla città nella quale viene ambientata la storia.

A mio avviso esistono “città facili” (in quanto conosciute e fortemente evocative) e “città difficili” (perché poco conosciute o addirittura inventate).

È facile costruire una certa atmosfera scrivendo: “i due passeggiavano sul lungotevere, mentre le luci di Roma facevano da cornice ai loro volti”. Perché? Perché ogni lettore conosce l’atmosfera che si respira a Roma e, quando legge qualcosa che ne fa riferimento, costruisce mentalmente delle immagini che servono a creare una certa atmosfera. Pensate a quanto poco produttivo sarebbe stato scrivere: “i due passeggiavano in Via Veneto, mentre le luci di Caltanissetta facevano da cornice ai loro volti”. Come sono queste luci? Gialle (colore caldo) o bianche (colore freddo)? In questo caso il testo perde il suo fascino.

È difficile costruire un ambiente affascinante se si sta parlando – come nel mio caso – di Caltanissetta, una città poco conosciuta in Italia, per cui bisogna capire come costruire un’atmosfera degna di un romanzo.

Essere verosimili

Ritengo che per far muovere i propri personaggi in una città poco conosciuta o addirittura inventata sia indispensabile “conoscere alla perfezione quella città” e, nel caso non esista, di riferirsi (anche se con un falso nome) a una città reale della quale lo scrittore conosce ogni aspetto.

 

Chi mi conosce sa che ho iniziato la mia carriera con una trilogia dedicata a Caltanissetta, città nella quale vivo da sempre. Da “insicuro aspirante scrittore” l’ho scelta per i miei romanzi per potermi sentire sicuro nello scrivere. E per avere la stessa sensazione di sicurezza ho scelto personaggi che ho identificato con persone reali: Antonio La Mattina sono io, Roberta è mia moglie, e così via. In questo modo ho potuto caratterizzare alla perfezione questi due personaggi: intraprendente e con la mente sempre in movimento lui, riflessiva e più dolce lei. Inoltre, conoscendo bene la mia città ho potuto mettere al centro di tutto una sua peculiarità: le gallerie sotterranee che attraversano il sottosuolo. Per Caltanissetta si è trattato di cunicoli, per altre città si tratterà certamente di altro. Ma solo chi conosce bene un luogo può sapere cosa c’è di interessante per i lettori.

Un esempio

Nel testo che segue [Il mistero della torre – EEE] cerco di proiettare il lettore nell’appartamento del protagonista. Cerco di fargli vedere com’è la sua Caltanissetta quando piove, di fargli percepire il freddo e l’umidità nella quale si sta muovendo Filippo.

 

“Quella sera, a farmi accorrere alla finestra non fu lo stridio di un’auto che ripartiva sgommando, ma un guaire disperato che mi raschiò l’anima. Aveva piovuto per tutto il pomeriggio e mentre il buio stava cancellando ogni colore l’acqua continuava a precipitare senza tregua sulla città assonnata. Passai una mano sul vetro appannato e vi appoggiai la fronte. Al di là di quel cristallo rigato dalla pioggia non riuscii a scorgere nulla, a parte le fronde più alte di un tiglio e una lampada che dondolando tingeva di giallo il basolato luccicante di Corso Vittorio Emanuele.

Seduto ai piedi del letto tolsi le pantofole, mi aiutai con l’indice per calzare le scarpe ancora allacciate e mi alzai. Mi infilai dentro il cappotto soltanto quando ero già per le scale, con l’ombrello che passava da una mano all’altra e i pantaloni del pigiama che faticavano a rimanere cinti alla vita. Scesi i gradini due per volta fino a quando i miei tacchi atterrarono sul triste lastrico dell’androne. Quando tirai a me il pesante portone in legno l’umidità notturna accolse le mie caviglie ancora calde con un abbraccio algido. Uscii, aprii l’ombrello e mi guardai intorno. Non c’era nessuno.

Stringendomi il bavero intorno al collo feci qualche passo verso destra, girai l’angolo e vidi Zio Cono, incurante della pioggia, che si avvicinava a un cagnolino che giaceva a terra. Gli arrivai accanto quando lo aveva già tra le braccia, così li riparai entrambi.”

Particolare attenzione ai dettagli

Nel seguente testo, tratto da Il Codice Moncada (Lussografica), cerco parole evocative per descrivere l’anziano protagonista e il bambino che si ritrova davanti. In questo caso sto ambientando la storia nella Caltanissetta del 1860, con l’atmosfera che si respirava in quei tempi. Descrivendo un luogo che oggigiorno non si presenta più in questo modo… ma che so com’era a quei tempi.

 

“La prima volta che lo vidi fu nel 1866, in una fredda e secca mattina di dicembre. Stava seduto su un masso, con i gomiti sulle ginocchia e le mani sulle guance, a guardare l’acqua spumeggiante del Torrente della Grazia scorrere gorgogliante verso sud. Era di spalle e indossava una giacca a quadri grigia, di una taglia più grande di lui. Mi sentì arrivare quando ancora ero lontano. Me ne accorsi perché con la manina batté sul masso, come per invitarmi a sedere accanto a lui. Percorsi con attenzione il sentiero in discesa, tra ciottoli ed erba bagnata, e mi sedetti al suo fianco. Quando si voltò per guardarmi mi regalò un sorriso triste. Non poteva avere più di otto anni e i suoi capelli rossi e riccioluti tradivano la sua origine non caltanissettese. Mi guardai intorno, convinto di scorgere un suo parente ma i miei occhi non videro altro che massi, acqua e il profilo grigio delle case a est.

«Ciao gioia, come ti chiami?», gli chiesi piegandomi verso di lui.
«Gaspare signore e vossia?»
«Onofrio. Ma puoi chiamarmi Zio Nonò.»

Fece un mezzo inchino e mi sorrise con i suoi denti bianchissimi.

«Sei solo?»
«Siamo tutti soli», disse alzando le spalle.

Non mi aspettavo una risposta del genere da un bambino.
Poi prese un ramo e lo immerse nel torrente muovendolo su e giù, lo sguardo perso in un punto indefinito tra il suo viso e l’acqua.

«Dove abiti?»

A questa domanda non rispose e da quel momento in poi fu come se la sua mente inseguisse un pensiero lontano, come se qualcosa o qualcuno a me invisibile stesse attingendo al cento per cento delle sue risorse. Per lui non esistetti più.”

In conclusione

Al momento ho nove romanzi al mio attivo (alcuni di questi hanno venduto bene: Io dormo da sola, nella sua versione EEE ha venduto ben 15.000 copie in soli tre mesi. Nella versione Newton Compton ne ha vendute altre), ma non tutti sono ambientati nella mia città: La collezionista è ambientato a Londra, Il castello della follia a Edimburgo, Perché tu sei mia a Barcellona, e così via ma… se li avete letti avrete notato che parlo poco delle città, mentre ho preferito far muovere i miei personaggi in luoghi più circoscritti. Ad esempio La collezionista si svolge quasi esclusivamente nell’appartamento di Danny, Il Castello della follia vede le sue scene proprio all’interno del castello. Quindi, ecco il limite di non conoscere alla perfezione una città.

Ho il piacere di condividere con voi i booktrailer

di alcuni miei romanzi

Io dormo da sola

La collezionista

Il codice Moncada

Grazie per l’attenzione!

Lascia un tuo commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.