HELIANTO presenta Andrea Tavernati

L’Associazione Artistico Culturale HELIANTO presenta Andrea Tavernati

Helianto

Sabato, 17 gennaio, presenterò il mio libro a Rovello Porro (Como) e sarò felice di incontrare chi ci vorrà essere.

L’ASSOCIAZIONE ARTISTICO CULTURALE HELIANTO
col Patrocinio del Comune di Rovello Porro

PRESENTA IL LIBRO DI POESIA

l'intima essenza

L’INTIMA ESSENZA – la via degli haiku
con l’autore Andrea Tavernati

Sala Conferenze Centro Civico,   Piazza Porro 2 – Rovello Porro (Como)
Sabato 17 gennaio 2015, ore 18.30

SEGUIRA’ RINFRESCO

Il nome Helianto è nato quasi per caso, mutuando, con una leggera variazione, il titolo di un libro di Stefano Benni. Helianto è il girasole, il colore, la passione, la quantità infinita di petali, la molteplicità di interessi che desidera sviluppare non dimenticando però la tradizione, la storia, ma con uno sguardo giovane, attento alla scena contemporanea. L’Associazione nasce da un’ idea di Gianluigi Alberio, pittore e appassionato d’arte che ha voluto riunire intorno a sé persone desiderose di diffondere la cultura in tutte le sue forme. Prende così forma Helianto, una quindicina circa di teste con tante idee. Era il 3 novembre 2004 quando è stato firmato l’atto costitutivo e si sono decisi gli scopi dell’Associazione artistico-culturale – diffondere la cultura in tutte le sue forme, proporsi come luogo di incontro e di aggregazione, favorire l’incontro tra le arti attraverso iniziative volte al dialogo e al confronto costruttivo e, infine, promuovere la conoscenza delle risorse artistico-culturali presenti, in particolare, nella zona al limitare tra le province di Como e Varese. Da allora Helianto ha moltiplicato i suoi soci riuscendo, con successo, a dare corpo a moltissime iniziative. l’Associazione ha saputo farsi conoscere e in breve tempo è diventata un interlocutore riconosciuto a Rovello Porro e nei comuni limitrofi. La sua forza risiede nel non fossilizzarsi in un solo ambito, ma nell’essere aperta, senza pregiudizi, a tutte le possibili proposte, tenendo ben presente un unico, imprescindibile vincolo: la qualità. Helianto ha così proposto concerti jazz, letture di poesie e lezioni di letteratura, laboratori teatrali e mostre di scultura e pittura. Ora punta a coinvolgere quanta più gente possibile: braccia e teste sono le benvenute. Se vuoi saperne di più sulle nostre iniziative, hai proposte o vuoi raggiungerci, contattaci all’indirizzo mail info@helianto.it

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Haiku tra Oriente e Occidente

Il senso dell’Haiku tra Oriente e Occidente

di Andrea Tavernati

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L’haiku è una brevissima composizione poetica nata in Giappone nel XVII secolo e tradizionalmente resa nella cultura occidentale, che l’ha scoperta nel XIX secolo, in una sequenza di soli tre versi di 5, 7 e 5 sillabe, senza esigenza di rima. Nella sua versione più classica l’haiku deve contenere un riferimento stagionale, parlare della natura ed escludere l’io del poeta.

Una struttura, quindi, che costringe l’autore ad una estrema concentrazione. Ma sarebbe un errore considerarlo solo come un gioco di abilità cui l’aspirante haijin (scrittore di haiku) si sottopone volontariamente. L’immagine, a cui si può avvicinare il lavoro compositivo, è quella caratteristica dell’ultima scultura michelangiolesca, nella quale il soggetto rappresentato viene estratto da una materia riottosa e ancora magmatica, mai completamente dominata. I colpi di scalpello, che definiscono la figura, equivalgono allo sforzo di recuperare, nell’haiku, la parola unica, perfetta, che in brevissimo parlare si stacchi dal diluvio del ciarlare quotidiano e, legandosi a pochi altri elementi altrettanto indispensabili, colga l’essenza delle cose. Si crea così una tensione fra la parola, con il suo impegno a circoscrivere un concetto, e il limbo indifferenziato di una “langue” – la materia prima – originaria, in cui tutto è ancora nella dimensione del potenziale. L’opera dell’autore si concentra nella necessità di recuperare il proprio dire ad una autenticità che l’uso e l’abuso della lingua ha soffocato con milioni di manipolazioni, travisamenti ed incastri sintattici, morfologici, semantici, disperdendone infine il nocciolo interiore ed emotivo.

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In questa prospettiva il dialogo fra l’io scrivente e il suo oggetto di riflessione rimane al centro dell’atto poetico. Interpretare la realtà attraverso le parole vuol dire ingaggiare una “collutazione” rituale con i segni per renderli davvero “parlanti”. L’obiettivo che si profila è una oggettività del rappresentato tuttavia illusoria, perché ancora confinata nella sua dipendenza dall’io. E’ un approccio tradizionalmente occidentale che risale fino alla caratteristica dicotomia platonica fra idea, perfetta e intangibile, e le sue incarnazioni nel quotidiano, pallide ombre di una realtà superiore.

L’originaria matrice orientale, che attinge pienamente alla sensibilità zen, così radicalmente connaturata all’anima giapponese, prende le mosse, invece, dall’esercizio di una disciplina comune declinata in numerose manifestazioni, attraverso le quali pervenire all’oggettività mediante il superamento dell’io, la sua estraniazione dal processo poetico, sicché, a compimento di tale percorso ideale, parola e cosa coincidono.

Questo il senso della brevitas esasperata dell’haiku, arte di levare non per giungere all’espressione brillante, al motto fulmineo o all’immagine sorprendente, ma all’essenza dell’attimo, che è già cosa diversa dalla ricerca dell’essenzialità, la quale presuppone un attore umano e quindi l’inganno dell’io che tutto relativizza e rende opinabile.

Questo il senso dello sforzo di eliminare dall’haiku la voce stessa dell’haijin e questo è il senso della sua ambizione alla pura descrittività. Come già notava Roland Barthes nell’Impero dei Segni, il valore connotativo della parola, così invasivo nella mentalità occidentale, con il suo inveterato corteo di metafore, analogie, allegorie, riferimenti culturali e letterari, viene qui negato alla radice stessa del componimento, che si propone come un atto spontaneo e quasi istintivo, identità di una percezione. Un istante colto al volo, come una fotografia scattata per sbaglio, o senza inquadrare volontariamente nel mirino un dato soggetto. E più l’atto poetico è istintivo, più è autentico.

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Da questi presupposti deriva la sconcertante semplicità di tanti haiku, che per un lettore occidentale può sconfinare nella banalità. Questione di gap culturale? Senz’altro, ma non nel senso che ci sfuggono le stratificazioni semantiche delle parole di una lingua così lontana da noi; quello che ci disorienta è una letteratura che non si propone entro il paradigma della letterarietà, ma che si definisce come “una via”, una delle tante, parallela alla cerimonia del tè, alla calligrafia, alla pittura, al teatro giapponese e alla spada del samurai, manifestazioni che sono prima di tutto riconoscimento di altrettante modalità per attingere a valori superiori, condensati in uno stile di vita.

Nel Libro dei Cinque Anelli Miyamoto Musashi, uno dei maggiori samurai storici, vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo, impiega i primi quattro capitoli per descrivere la propria arte della spada, le virtù necessarie al perfetto guerriero e al comandante militare, le tendenze delle altre scuole. Poi, nel quinto ed ultimo libro, brevissimo, parla del vuoto. Il vuoto è la mente, se la mente non è essa stessa il vuoto, non può accogliere l’essenza dell’essere. S’intenda bene: non le sue rappresentazioni o descrizioni, non il racconto dell’essere, ma l’essere in se stesso: ciò che nel momento in cui è, è. Quando ciò avviene non esiste più alcuna separazione tra il pensiero dell’azione e l’azione, tra la volontà di compiere un gesto (colpire in un certo modo con la spada) e il gesto stesso, tra la rappresentazione e il reale: l’essere fluisce naturalmente nel tempo e quindi si trasforma in divenire, in moto inafferrabile e in eterno presente.

Così la via dell’haiku aspira ad annullare la separazione tra significante e significato: l’espressione perfetta si raggiunge se tra parola e cosa c’è completa identità, se l’una e l’altra non si possono più distinguere. Ma la parola è per definizione segno, scrittura o suono che sia, e quindi un ente che nasce come rappresentazione di “qualcosa che sta dietro”, a cui è irriducibile (“Questa non è una pipa” è il titolo di un famoso quadro di Magritte che rappresenta, appunto, una pipa) e il ricongiungimento con l’essere può avvenire solo attraversando il silenzio. Il silenzio è per l’haiku come il vuoto nella mente del samurai. Dietro ogni haiku si spalanca un baratro senza fondo. Se l’haijin non ci cade non potrà mai essere illuminato e cogliere dal silenzio la scintilla di un verbo rinnovato.

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Si crea quindi un altro paradosso: la parola nasce per dire, ma solo dal silenzio può trarre la propria autenticità. Esattamente come la vita perde di significato senza la morte, che ne è la negazione: tensione fra opposti che si risolve in dialettica (come lo Yin e lo Yang sono complementari e in continua relazione dinamica; l’uno non potrebbe esistere senza l’altro).

Così dietro un misero 5-7-5 c’è ben altro che la fulminea percezione di un attimo fuggente. E’ in gioco addirittura una possibilità di captare l’essenza dell’universo.

Ciò che rimane indubbio, al di là delle diverse tradizioni e culture, è la straordinaria vitalità del genere, che nella sua storia plurisecolare non ha solo incarnato una delle manifestazioni più autentiche dello spirito giapponese, ma, riscoperto in occidente, è diventato veicolo di concezioni poetiche diverse, dando comunque vita ad esiti molto alti. Segno che lo strumento si presta ad una flessibilità espressiva incredibile a dispetto del suo minimalismo e dello scorrere del tempo.

Intervista ad Andrea Tavernati

Intervista ad Andrea Tavernati.

l'intima essenzaUna forma d’arte antica, l’Haiku, che racchiude il cuore e l’anima di ogni istante, descrivendolo in poche sillabe. Un genere che potrebbe sembrare adatto ai nostri tempi moderni ma che, al contrario, incarna un invito alla riflessione e a considerare delle tempistiche che si discostano molto dalla frenesia odierna. Andrea Tavernati, autore del libro pluripremiato “L’intima Essenza”, espone in questa intervista i suoi punti di vista, in più parole di quelle che caratterizzano la stringente metrica dei suoi haiku, su argomenti che riguardano non solo la poesia.

  • Coma nasce la tua passione per questo tipo di composizioni?

In realtà molto lentamente. Mi sono imbattuto in questo genere poetico già durante l’adolescenza e mi ha incuriosito per la sua peculiarità. A quell’epoca risalgono i primi esperimenti. Poi mi sono progressivamente ritrovato a comporne in modo via via più sistematico, ma ancora oggi alterno momenti più “ispirati” a lunghi periodi durante i quali non scrivo neanche un haiku, o meglio non sono attraversato dal vento degli haiku, perché sono sempre più convinto che la volontà individuale in questo caso non conti davvero molto.

  • Quanto tempo ti richiede la stesura di uno dei tuoi haiku?

E’ molto variabile. Parto da un’intuizione, un’immagine, una sensazione o una sola parola. L’haiku si condensa intorno a questo nucleo iniziale. Talvolta in modo fulmineo. Altre volte l’idea mi naviga in testa per settimane o mesi senza prendere una direzione precisa; talvolta me ne dimentico e poi riaffiora da sola, senza una ragione precisa. Poi, quando la struttura dell’haiku è abbastanza ben definita, entra in gioco un lavorio più formale per ottenere il suono più adatto, i significati più precisi e l’andamento più consono all’emozione che cerco di esprimere. Ma in genere quest’ultima fase si sviluppa abbastanza rapidamente.

  • Che intervallo di tempo copre l’Intima Essenza, quanti anni di vita ci sono dentro?

Potrei dire tranquillamente che c’è dentro tutta la mia vita, anche perché non è una biografia esteriore, ma interiore. I fatti dell’animo hanno un tempo loro, campiture lente e improvvise accelerazioni che, in superficie, nella vita esteriore, a volte si rifrangono all’improvviso in avvenimenti irrazionali, che, agli occhi altrui, rimangono incomprensibili. Mentre nel sottosuolo dell’interiore vivono una realtà autonoma di cui la manifestazione poetica è una piccola spia, una presa di coscienza che chi scrive attua su se stesso con intento maieutico. Scrivere è, prima di tutto, un modo per interrogarsi e provare a capirsi.

  • Sei appassionato dell’oriente in genere o solo di questo tipo di forma espressiva?

Non sono un esperto di cultura orientale e non sono arrivato all’haiku per questo motivo. Al contrario, approfondendo le ragioni espressive e storiche dell’haiku ho scoperto un universo culturale diverso dal nostro e molto stimolante, che sto ancora imparando a conoscere, confrontandolo con le mie radici europee.

  • Fra le tue altre passioni c’è senz’altro l’arte, cosa ti affascina e ti spinge a cercare di capirla?

Provo da sempre uno straordinario interesse per tutte le forme di comunicazione che non hanno una finalità pratica, ma che si pongono come un tentativo di comprendere ed esprimere l’uomo e il suo rapporto con il mondo. Le arti figurative nel loro insieme e la musica sono esperienze complesse, al pari con le opere letterarie, e nelle loro manifestazioni più alte costituiscono la sintesi di un modo di essere e vivere. Mi interessano i grandi progetti, le visioni e le rivoluzioni che hanno cambiato e cambiano per sempre il modo in cui l’uomo pensa se stesso. Il Rinascimento artistico inventato da un manipolo di geniali artefici a Firenze, l’immenso edificio armonico di Bach, l’instancabile indagine sul percepire/sentire di Monet, la rivoluzione del vedere di Caravaggio, per esempio…

  • Tu che sei un pubblicitario, come vedi la possibilità, per un esordiente, di farsi conoscere a un pubblico abbastanza vasto?

La strada è tutta in salita! L’offerta di autori, anche di qualità, eccede notevolmente la domanda di un pubblico che legge sempre meno e sempre peggio. Quello da affrontare è un lavoro lento e continuo che l’autore non può più pensare di demandare completamente al ruolo dell’editore. Ogni occasione per incrementare la propria awareness, la propria notorietà, come dicono i pubblicitari, deve essere sfruttata. In questo senso il mondo digitale offre una costellazione quasi illimitata di opportunità a costo zero, o bassissimo, che l’autore può affrontare anche autonomamente. Non ci si deve aspettare però risultati fulminei o eclatanti. Anche il digitale è affollatissimo di voci e discernere la qualità vera non è facile. Occorre non perdere la pazienza e insistere essendo ben coscienti che non c’è nulla di scontato né di dovuto.

  • Qual è la tua opinione sul mondo editoriale attuale?

Prima di tutto, riallacciandomi alla domanda precedente, ritengo che il ruolo dell’editore sia ancora fondamentale, in quanto talent scout e promotore della conoscenza di un autore. Se può nascere qualcosa di buono, è dalla collaborazione tra autore ed editore. L’editore deve credere in quello che pubblica e l’autore non deve pretendere che il compito di promuoverlo sia solo affare dell’editore. Personalmente penso anche che l’editore debba svolgere un ruolo fondamentale come selettore all’ingresso: insomma deve poter dire di no su basi puramente qualitative, per quanto soggettive. Di conseguenza non credo nell’editoria a pagamento e nemmeno nel cosiddetto self publishing: una scorciatoia che ignora il vero problema, il quale non è come ritrovarsi tra le mani un prodotto stampato o stampabile on demand, bensì: cosa farne?
Quanto poi all’altra novità dei tempi, penso che la cosiddetta rivoluzione digitale sia inarrestabile, anche nel mondo dell’editoria. Il che non vuol dire che l’ebook sostituirà completamente il libro cartaceo, ma che le due forme convivranno, così come usiamo quotidianamente il computer, il tablet e la buona vecchia penna a sfera. Tuttavia i vantaggi pratici del digitale sono così evidenti che è ora che i legislatori e i grandi player nel mercato dell’editoria cavalchino il nuovo invece di contrastarlo.

  • Hai partecipato a diversi concorsi letterari sempre con ottimi risultati, cosa pensi del mondo dei concorsi e qual è, secondo te, la loro utilità per un poeta?

Per uno scrittore esordiente è un modo come un altro per farsi leggere e per capire se qualcuno nota del buono in quello che scrivi. Come è noto l’Italia è il paese dei concorsi e ce n’è veramente per tutti i gusti (letterari). Quelli davvero prestigiosi sono però pochissimi e in questi il ruolo delle grandi case editrici è importante. Il resto è un universo vario e a tratti pittoresco. Purtroppo i concorsi completamente gratuiti sono sempre meno, ma il contributo richiesto è per lo più minimo. Quanto agli esiti che si ottengono, penso che l’atteggiamento giusto sia quello di rallegrarsi per le vittorie e non farsi troppe domande per le sconfitte: i criteri decisionali delle giurie sono imponderabili ed imperscrutabili, oltre che inevitabilmente soggettivi.
Concludo che non bisogna neanche aspettarsi ricadute significative quando si vince: nessuno mi ha mai contattato per dar seguito al riconoscimento con qualche ulteriore iniziativa, fosse anche scrivere un articolo. Insomma, i concorsi possono far bene al morale e fanno curriculum.
Punto e a capo.

  • Cosa fa Andrea Tavernati quando non scrive?

Sarebbe più giusto chiedere quando riesco a trovare il tempo anche di scrivere! Come hai detto, di mestiere faccio il creativo pubblicitario e quindi passo buona parte della mia settimana sul posto di lavoro. Essendo copywriter per fortuna il mio lavoro ha sempre a che fare con la scrittura e la comunicazione: un ottimo esercizio quotidiano. Poi ho una famiglia, collaboro con la Casa della Poesia di Como e con altre due associazioni culturali locali. Infine, leggo. Occupazione non secondaria per chi ama scrivere.

  • Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Il cantiere è sempre aperto: attualmente ho nel cassetto una raccolta di racconti inediti, che mi sono convinto, dopo lunghi ripensamenti, essere pronta per una eventuale pubblicazione. Poi sto mettendo a punto una raccolta di poesie più “classiche”, che mi pare a buon punto e nel 2015 vorrei continuare il progetto di un romanzo mainstream di ampio respiro rimasto a livello di abbozzo negli anni ’90 e che ho ripreso in mano solo l’anno scorso.

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Cosa sono gli Haiku.

Haiku, che passione!

di Elisabetta Bagli

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Parlare degli haiku o jaiku non è assolutamente semplice, soprattutto per chi non ne ha letti molti e non è una haijin, ovvero una scrittrice di haiku, termine che in Giappone si usa sia per gli uomini che per le donne. Sono poetessa, scrivo poesie e, inoltre, non in metrica, ma dettate direttamente dal cuore, anche se faccio molta attenzione alle assonanze e alla musicalità del verso nonché alle immagini. Ma gli haiku sono totalmente un altro mondo, nel quale non è facile entrare. Una volta fatto si rimane affascinati dalle simbologie e dalle immagini che scaturiscono da soli tre versi composti seguendo dei canoni ben precisi che li definiscono. Gli haiku seguono una metrica che è composta da 5-7-5 sillabe, senza rime: il primo verso deve avere 5 sillabe, il secondo 7 e il terzo di nuovo 5. In così poche parole è nascosto tutto un mondo, che gli scrittori di haiku vogliono farci conoscere: il loro mondo interiore attraverso l’esterno. I riferimenti degli haiku devono essere naturali, ovvero devono far riferimento alla natura ma, in particolar modo, a una particolare stagione: ad esempio, se si vuole far intendere che si parla dell’autunno si farà riferimento alle foglie che cadono; se si vuol parlare dell’inverno si può far riferimento alla neve; qualora ci volessimo riferire all’estate possiamo parlare dei campi di grano o alla primavera alle rondini che cantano. In ogni caso, introducendo una parola chiave per ogni haiku si comprende di cosa si sta parlando. Questa parola chiave si chiama kigo. Per la natura possiamo parlare di kigo per i fenomeni atmosferici, per paesaggi e colori, per la flora, per la fauna ed esistono anche dei kigo per gli haiku che fanno riferimento alla vita quotidiana e non solo alla natura, ma che vengono sempre inseriti nelle stagioni, in quanto l’elemento stagionale è fondamentale.
Ho letto degli haiku di Basho, di Issa, di Kito, di Gozan e vi porto alcuni esempi degli haiku di Issa per poter comprendere la stagionalità:

La mia primavera:

suprema felicità

coi fiori di pruno.

e ancora

 Mondo di sofferenza:

eppure i ciliegi

sono in fiore.

7959361_f260In questi haiku si parla della primavera, in uno della felicità suprema che dona questa stagione allo scrittore, che associa la sua primavera con gli alberi di pruno in fiore e nel secondo del mondo che comunque soffre, nonostante la stagione primaverile ci offra i ciliegi rigogliosi. Gli haiku, come si nota, devono essere semplici e austeri, sottili nelle immagini e nelle intuizioni e devono sempre dare al lettore una sensazione di leggerezza, di libertà di spirito, di elevazione.
Come anticipato in precedenza, possono esserci degli haiku nei quali si parla della quotidianità della vita, della gente o addirittura degli haiku che risultano essere un vero e proprio commiato alla vita, un saluto per lasciare a chi legge una sorta di eredità spirituale.
Gli haiku di questo genere, però, non devono essere confusi con i senryu che, in realtà, pur essendo sempre composti di 17 sillabe come gli haiku, non possiedono il kigo e, spesso, pur facendo riferimento alle vicende umane, queste vengono descritte in modo cinico o sarcastico.

In genere ogni haiku deve essere illustrato (con un haiga, una pittura) o sarebbe quanto meno necessario farlo, visto che è quel che accade nella cultura giapponese, la patria di questa forma sublime di elevazione dello spirito. Gli haiku sono così radicati nella vita quotidiana dei giapponesi che si inizia, sin dai primi anni di scuola, a leggere e a commentare questi versi e, addirittura, a farli rappresentare graficamente dai bambini.
Questo viene fatto, essenzialmente, affinché i bimbi prendano confidenza con il mezzo e possano rompere la barriera della vergogna al momento in cui dovranno esprimersi. Non dobbiamo dimenticarci che un haiku è nel contempo forte e semplice, dirompente e lineare, diremmo minimalista nella sua composizione. Spesso, anche noi occidentali dovremmo tendere al minimalismo e togliere il superfluo dalle nostre vite e dai nostri pensieri.

Oltre al kigo, l’haiku deve contenere anche una cesura, o pausa verbale, conosciuta come kireji, che separa un haiku in due immagini contrastanti.
Basho (1644-1694) fu colui che diede una sorta di canone all’haiku elevandolo alla categoria di arte. L’haiku più famoso di Basho, che definisce con esattezza lo spirito e l’arte di questa classe di poesia, è quello che vi faccio conoscere di seguito:

il vecchio stagno

la rana salta

tonfo nell’acqua

haiku-yukki-yauraEsprimere una sensazione, una verità poetica che con l’haiku si può: è concisione e sintesi, è una composizione nata in un momento di grazia, di ispirazione. È un’arte difficile, ma il suo dominio ci aiuterà a far uscire da ogni parola il vero nettare, per poterla utilizzare in modo mirato nelle espressioni anche quotidiane.
L’haiku deve essere quindi impersonale, ovvero, la sua costruzione tiene lontano l’IO poeta, come se l’haiku stesso fosse sorto da solo e nessuno l’avesse costruito. Difficilmente troveremo un haiku nel quale si parla in prima persona e soprattutto in prima persona singolare. Il poeta sembra essere asettico all’haiku, ma noi sappiamo che è tutta apparenza, in realtà lui ci dà la sua visione delle cose proprio attraverso tale concetto di poesia pura.
Inoltre, l’haiku si trova sempre in equilibrio tra due immagini o due sensazioni che spesso sono in contrasto tra loro, a volte, la seconda immagine è addirittura talmente lontana dalla prima che prende di sorpresa il lettore.
Spesso, le risorse stilistiche, che si usano per scrivere un haiku, sono l’onomatopeia e la sinestesia, ovvero la concorrenza dei vari sensi nello stesso atto percettivo. Ad esempio in un haiku di Basho si ascoltano delle voci che sono bianche. In questo caso viene coinvolto l’udito (ascoltare le voci) e la vista (dato che a queste voci lui ha conferito un colore: il bianco).

Attraverso un haiku di Gozan possiamo notare come gli haijin abbiano la capacità di dire tutto in poche parole.

La neve che ieri cadeva

Come petali di ciliegio

È acqua di nuovo

L’antica letteratura giapponese paragona il cadere dei fiori con quello della neve. Sono immagini simili non solo dal punto di vista visivo, ma anche dal punto di vista materico e spirituale: sono transitorie. Il ciliegio è in fiore per una settimana e la neve di primavera non può rimanere a lungo compatta ma diventa acqua, quasi al toccare il terreno.
Ancora molto si potrebbe dire e scrivere su questa poesia pura, questa immensa valanga di emozioni che ci travolge in sole 17 sillabe. Eppure gli haiku sono così, rapidi, liberi, ma eterni.
Vi lascio con un haiku scritto in inglese da Fernando Val Garijo, docente di Diritto Internazionale Pubblico presso la Universisad Nacional de Educación a distancia, che si diletta a scrivere haiku. Chissà che un giorno non ne scriva alcuni anch’io. Mai dire mai!

Still asleep at dawn.

Husband and wife, together

Blessed by new daylight.

Fernando Val Garijo

Un link utile per poter comprendere meglio gli haiku è quello dell’Associazione Italiana Haiku.

L’Intima Essenza

Questa settimana in promozione L’Intima Essenza di Andrea Tavernati.

l'intima essenza

L’Intima Essenza di Andrea Tavernati non è solo una silloge, ma una vero percorso fra la propria intimità e la natura del verbo. Le parole prendono il contorno dei valori essenziali, precludendo quegli addobbi che infestano il nostro stile di vita. I versi si fanno concreti, racchiusi nel rigole stilistico dato da un’arte orientale che non transige e non lascia spazio agli inutili fronzoli. Gli Haiku diventano il mezzo con cui il poeta esprime la concretezza del proprio essere e trova l’espressione ideale per dipingere una tela grezza, ma pregna dei valori basilari. L’Intima Essenza, libro pluripremiato, accompagna il lettore verso quell’avventura che riporta alla ribalta l’uomo, reale e vitale, su quel palcoscenico che è la vita stessa.

La trama:

Se togli tutto il superfluo, l’inutile e il secondario che occupa la tua vita. Se togli quello che hai, quello che fai e che devi fare, ciò che è legato alle abitudini e alle necessità sociali, ciò che ubbidisce alle leggi, ciò che hai ereditato dai padri, ciò che ti impone il gruppo, ciò in cui hai scelto di credere, ciò che dipende dagli affetti, ciò che ti fa piacere e che hai imparato ad amare o ad odiare, ciò che rifiuti e ciò che accetti. Se togli tutto questo, rimane qualcosa? Questo qualcosa si può esprimere in parole?
L’Intima Essenza è la disciplina e l’esito di questa ricerca. Non è un semplice agglomerato di haiku, ma un percorso conoscitivo attraverso la forma poetica più precisa: recuperare l’essenza della parola attraverso una scelta di asciuttezza e concentrazione. È stata una sfida e una battaglia. Alla fine il libro si è imposto sull’autore. La scoperta dell’intima essenza interiore l’ha sorpreso quanto lo sperimentare quella della parola.

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Secondo posto per Andrea Tavernati

CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA OCCIDENTALE E HAIKU

HAIKU - I 4 ELEMENTI

Sabato 25 ottobre, presso la libreria In Book di Genova si è tenuta la cerimonia di premiazione  della terza edizione del CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA OCCIDENTALE E HAIKU Genova 2014 organizzato da La Stanza di Erato. La giuria, presieduta da Laila Cresta e dal Prof. Paganelli dell’Università di Genova, ha ritenuto di conferire ad Andrea Tavernati il SECONDO PREMIO per la sezione haiku, tema speciale: i 4 elementi per questi testi inediti:

Dopo il disgelo
sotto gli alberi all’alba.

Sentirsi d’acqua.

Quel fuoco in spiaggia,
faro per quale barca.
Che l’onda strega.

Un suono un’aria.
Il transito d’autunno
in sé rifulge.

D’un nuovo amore
la terra sogna il frutto.
Ad ogni neve.

Quattro elementi
nel cerchio di stagioni
ridono ancora.

Note biografiche di Andrea Tavernati

Nato a Pavia nel 1960 vive a Limido Comasco in provincia di Como. Laureato in Filologia medievale e umanistica e diplomato in Paleografia e Archivistica, ha lavorato come insegnante e come autore di testi pubblicitari.

Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice EEE-Book il libro di poesia L’Intima Essenza, la via degli haiku, con il quale ha ottenuto il secondo premio alla VII edizione del concorso internazionale Pennacalamaio di Savona. Ha inoltre ottenuto il primo premio per la sezione haiku del Concorso Nazionale di scrittura breve Scarabeus 2014 di Livorno e il secondo posto nel Concorso Internazionale di poesia occidentale e haiku Genova 2014. Con i suoi racconti nel 2012 e nel 2013 è stato fra i vincitori di due edizioni del concorso di narrativa Il Cerchio Capovolto indetto dalla casa editrice I Sognatori, e nel 2014 del concorso Amore e Morte indetto dal Mondo dello Scrittore. Ha pubblicato testi poetici in diverse antologie.

Riferimenti:

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Scheda libro
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Concorso Haiku tra Meridiani e Paralleli

Scelti tre haiku di Andrea Tavernati per il Concorso Haiku tra Meridiani e Paralleli

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Con “L’intima essenza”, Tavernati non propone al lettore una semplice silloge, ma un vero e proprio cammino di riscoperta dell’io profondo, libero da convenzioni, maschere o preconcetti.

Questa frase, tratta dalla recensione (il testo completo è visibile QUI) scritta da Luca Cenisi, Presidente dell’Associazione Italiana Haiku (AIH), racchiude la reale essenza di quanto Andrea Tavernati ripone nelle proprie opere, trasformando in arte parole e versi. In questi ultimi anni, questa forma poetica ha trovato in diversi autori nostrani dei degni esponenti in grado di rappresentare lo stile italiano.

A seguito della selezione effettuata per la II Stagione del Concorso Haiku tra Meridiani e Paralleli, indetto dall’Associazione Fusibilia di Viterbo questi tre haiku di Andrea Tavernati sono stati scelti  tra i vincitori del concorso e pubblicati nell’antologia realizzata per rappresentare la diffusione italiana di questo genere poetico. (www.fusibilia.it)

Un percorso che ripropone il messaggio espresso con la pubblicazione dellIntima Essenza – la via degli haiku,  articolato racconto di un’esperienza interiore ed esistenziale attraverso gli haiku, EEEBook editore: www.edizioniesordienti.com

l'intima essenzaIl tempo bianco

melmosi attimi irride.

Lanima è neve.

 

Nebbie dautunno

trafigge la lampara.

Naufraga il mare.

 

In giacca a vento

si scorre dentro il gelo.

Il fiume è fermo.

 

 

Andrea Tavernati conquista il Secondo Premio

tavernati3Andrea Tavernati conquista il Secondo Premio al Concorso Internazionale Pennacalamaio

La giuria del Concorso letterario Pennacalamaio (che era stato Bandito dall’Associazione Culturale Savonese Zacem in collaborazione con Libro Mondo e con il patrocinio della Provincia di Savona, Comune di Savona e hotel San Marco di Savona) ha proclamato i vincitori delle 15 sezioni in gara. La cerimonia della premiazione, che si è svolta il 25 maggio a Savona, ha visto la partecipazione di innumerevoli autori, italiani e stranieri, tra cui il nostro Andrea Tavernati, giunto al secondo posto nella sezione “libro edito di poesia” grazie al suo libro “Intima essenza”. Per tale occasione, abbiamo chiesto ad Andrea le sue impressioni:

“Dunque, i concorsi letterari sono un’ottima occasione per esercitare la propria autodisciplina zen.
Li considero uno strumento per farsi conoscere un po’ di più. Uno strumento come un altro. Da quando ho pubblicato l’Intima Essenza ho partecipato e sto partecipando a parecchi eventi di questo tipo. Purtroppo ormai quelli completamente gratuiti sono pochi, anche se i contributi richiesti sono in genere contenuti. Dato che il mio libro è fatto di haiku sto privilegiando i concorsi dedicati a questo genere o che prevedono una sezione dedicata a questo genere. In Italia sono pochissimi.

tavernati1In quanto agli esiti, ho imparato che se si ottengono dei riconoscimenti, si gioisce con soddisfazione e si trova almeno un minimo di conferme sul fatto che, forse, quello che si scrive non fa proprio schifo. Se invece non si ottiene nulla, non bisogna sprecare tempo a farsi troppi mea culpa, archiviare la pratica e tirare dritto. Ai concorsi ne succedono di tutti i colori e le ragioni per cui non si viene selezionati sono imperscrutabili.

Nel caso specifico ho partecipato proprio perché era prevista una sezione dedicata agli haiku, il che vuol dire che gli organizzatori hanno un minimo di sensibilità per questa forma. Ho trovato il concorso sulla newsletter di concorsiletterari, ho notato la sezione haiku e ho partecipato. Tra l’altro il concorso prevedeva una marea di altre sezioni e io non amo i concorsi “di tutto, di più”. Se non ci fosse stata la sezione haiku, sicuramente non avrei partecipato.

Non conoscevo l’associazione che l’ha organizzato e men che meno sapevo “chi o cosa” ci stava dietro. Per cui apprendere di aver vinto il secondo premio mi ha fatto molto piacere, perché vuol dire che semplicemente qualcuno ha letto e apprezzato, come dovrebbe sempre essere.

La cerimonia di premiazione è stata molto semplice. Tra l’altro era proprio domenica scorsa e tra le elezioni e il primo caldo in Liguria, non c’era molta gente. Comunque anche leggere le proprie poesie in pubblico è sempre una bella esperienza (quando si alzano gli occhi dal foglio si è lì a chiedersi, tra gli applausi: “cosa diavolo avranno capito?”, ma tant’è…).

tavernati2Bene. Conseguenze pratiche: Mia figlia, che si è generosamente offerta di accompagnarmi, ha scattato qualche foto. Ho aggiunto una riga in più sul curriculum che dice: “Secondo premio, ecc…” Ho pubblicato un simpatico post su una serie di pagine Facebook di Gruppi di poeti haiku e associazioni varie e ho inviato un comunicato stampa ai quotidiani della mia zona e ad altre associazioni culturali locali… Non avrò un lettore in più… ma chissà… dai e dai…”