Intervista a Roberta Andres

Intervista a Roberta Andres.

Andres_EEELe foto di Tiffany è un libro in cui l’eros aleggia in ogni pagina. Tuttavia le sue componenti non sono basate esclusivamente su un rapporto di copia, ma comprendono diverse altre sfumature ben più vivaci dal neutrale “grigio”. Ma la nostra attenzione è stata catturata da un fiore, un semplice elemento che, messo nel posto giusto, è riuscito a far decollare la nostra fantasia.

  • Fra tutti i fiori che potevi scegliere, perché proprio un iris?

E’ un fiore che mi piace in maniera particolare, ma a parte questo volevo un fiore di forma allungata, che potesse finire nascosto nelle pieghe del corpo di Tiffany.

  • In questi ultimi anni il genere erotico ha decisamente preso piede in testa alle classifiche di vendita. Secondo il tuo punto di vista, dal momento che è il pubblico femminile ad essere il principale acquirente, questo fenomeno nasce da una sorta di frustrazione o liberazione?

Liberazione, senz’altro! La possibilità di scrivere, leggere, rivendicare una propria dimensione e dei propri sogni erotico-sentimentali al femminile.

  • Nel tuo romanzo il profumo dell’eros aleggia su molte pagine senza mai diventare eccessivo. Quanto pensi sia sottile la linea di demarcazione fra l’erotismo “soft” da quello “spinto”?

Credo che la linea di demarcazione sia molto sottile, così tanto che me ne sono tenuta volutamente lontana, limitandomi nelle descrizioni e nella frequenza di scene erotiche; sinceramente ho preferito fare così piuttosto che rischiare di essere eccessiva, cosa che avrebbe stonato moltissimo con la tonalità generale della narrazione e con il tipo di personaggio che volevo fosse Tiffany.

  • Dopo tanti racconti, quali difficoltà hai riscontrato nello scrivere un romanzo?

Come ho già detto in altre interviste, una delle mie caratteristiche quando scrivo è la sinteticità, anche quando non è voluta. Ammetto di aver sudato freddo all’idea di strutturare un romanzo; la maggior parte del lavoro di ampliamento della struttura, non solo in termini di lunghezza ma anche di complessità e descrizioni dei personaggi, l’ho fatto in un secondo momento, nella fase di revisione. Credo però che fosse una fase normale dell’evoluzione dal racconto al romanzo: già nella stesura del secondo, a cui sto lavorando da giugno, vedo che la narrazione fluisce naturalmente più ampia e circostanziata.

  • Sappiamo che il tuo “alter ego” si chiama Franca De Angelis, l’angelo custode che alla fine ti ha convinto a realizzare i sogni. Quali argomenti ha usato per farti compiere finalmente il primo passo?

Un giorno al telefono, mentre io continuavo a dubitare di poter scrivere, mi ha detto a bruciapelo: “Scrittrice lo sei già, ma una scrittrice pigra!” Devo dire che la cosa mi ha colpito nel vivo, sia per l’accusa di pigrizia sia per la persona da cui proveniva! Io e Franca siamo amiche da quando avevamo sei anni e ci trovammo in prima elementare ad essere le uniche due bambine a saper già leggere e scrivere. Fummo messe sedute vicine in fondo all’aula, con la facoltà di chiacchierare (purchè a bassa voce) mentre la maestra si occupava degli altri bambini. E’ iniziata così: dopo 44 anni siamo ancora molto legate e la scrittura è una delle tante cose che abbiamo in comune.

  • Quanto conta la psicologia in fase creativa? Ovvero, nel corso della tua esperienza come insegnante, quali sono state le difficoltà che hai riscontrato più frequentemente con i tuoi allievi?

Le stesse difficoltà che ho incontrato anch’io e che ancora ogni tanto incontro: autorizzarsi a scrivere (o, in generale, ad essere creativi), prendersi il tempo e riconoscersi le capacità e il diritto di affermare se stessi attraverso qualche canale preferenziale (come la scrittura), trovare insomma “la propria voce” o, se vogliamo parafrasare la Woolf, “la stanza tutta per sé!”

  • Il tuo contatto giornaliero con il pubblico ti aiuta nel prendere spunto per creare nuovi personaggi?

Certamente! A volte si incontrano persone che sembrano personaggi o si vivono situazioni buffe o inaspettate al punto che la più fervida fantasia non avrebbe potuto crearle dal nulla. E’ vero che la vita ha molta più fantasia di noi!

  • Cosa ne pensi del panorama culturale italiano?

Mi sembra un periodo di grande fermento, con mille esperienze e mille stimoli che a star dietro a tutto è impossibile: anche perché per molte cose non vale la pena! Ma sicuramente selezionando si trovano spunti interessanti di riflessione artistica.

  • Quando Roberta non scrive, come occupa il proprio tempo?

Sto molto con i miei figli, il più possibile, visto che stanno crescendo e tra un po’ avranno altro da fare! Cucino, leggo, chiacchiero a telefono con le mie amiche d’infanzia.

  • Quali sono i progetti per il futuro?

Dal punto di vista narrativo, finire “Floralapazza”, il mio secondo romanzo, e cercare di farlo circolare il più possibile tra i lettori: amo moltissimo questo progetto, mi prende molto e credo molto nell’idea narrativa che sta alla base del testo, quindi cercherò di fare del mio meglio perché “veda la luce”. Per quanto riguarda invece la mia vita privata, vorrei fare un viaggio con un paio di amiche con cui quest’anno ho condiviso un compleanno “tondo”.

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Gli e-book si toccano

Gli e-book si toccano e non solo, Giorgio Bianco, autore del libro Dammi un motivo, ha scritto l’articolo che segue proponendo un nuovo punto di vista e un diverso approccio al formato digitale. Noi lo ringraziamo per le emozioni che ci regala e per la capacità che ha avuto di esprimere un’opinione controcorrente, riuscendo a dare una dimensione più concreta agli e-book.

Giorgio Bianco ha pubblicato con EEE Dammi un motivo

Gli e-book si toccano

Giorgio Bianco

Giorgio Bianco

di Giorgio Bianco

Gli e-book si toccano. Si prendono in mano, si sfogliano, sono profumati, emozionano. E, soprattutto, volano.
Non ci credevo. Perché ho sempre visto i libri come oggetti sacri, legati alla tradizione della carta che cambia colore con il tempo, alle rilegature, ai tonfi dei dizionari di greco e latino sui banchi di scuola. Libri. Bisognosi di protezione, come nel romanzo di Ray Bradbury, dove qualcuno lotta per salvarli dalle fiamme.
Ma le tecnologie mi hanno sempre affascinato. Per questo, qualche anno fa, ho scelto un Kindle come regalo di compleanno. Facendone indigestione all’inizio, per poi dimenticarlo in un cassetto, fino al recente nuovo approccio: più equilibrato e godibile, quotidiano.
Copertina_EEEIl mio quarto romanzo, appena pubblicato da EEE, è un e-book dal titolo “Dammi un motivo”. Mi ha permesso di misurare la temperatura dei miei lettori più affezionati, ovviamente partendo da amici e parenti, conoscenti. Ho ricevuto molti messaggi, attraverso telefono e social forum: “Comprato”, “Scaricato!”, “Lo leggerò nel fine settimana!”. Ma anche: “Complimenti, ma aspetto la carta!”, “Voglio poterlo tenere in mano e sfogliarlo”.
La carta arriverà, per soddisfare questi amici. Che non sono necessariamente i più anziani: gli irriducibili del libro tradizionale e gli entusiasti del digitale si dividono in modo trasversale. Almeno secondo la mia esperienza. Infatti conosco trentenni che rifiutano la tecnologia e cinquantenni che da anni non acquistano più libri cartacei. Addirittura una signora anziana, grande lettrice affetta da un disturbo agli occhi, si sente “salvata” dall’e-book: «Mi permette di ingrandire i caratteri, cioè di continuare a leggere», commenta.
Anche la facilità nell’acquisto è importante. Quando annunci di aver pubblicato un libro di carta, molti ti stringono la mano e annunciano: «Presto lo acquisterò». Poi però non lo fanno: perché non hanno tempo, per pigrizia, perché non si trova in tutte le librerie. L’e-book invece si scarica in un attimo, fra l’altro a prezzi molto convenienti. La mia sensazione è che circoli più in fretta, in modo più fluido. Credo inoltre che abbia un accesso facilitato a circuiti di commento su internet, dove può godere di una buona pubblicità.
Ma sono partito dall’emozione. Quella che, al tempo del mio primo romanzo cartaceo, provai toccandolo, sfogliandolo, mettendoci dentro il naso. Credevo che fosse irripetibile. Sbagliavo. Vedo e annuso ogni giorno il mio romanzo e-book, gli parlo, a volte gli sorrido. Perché esiste. Ha una forma e una dimensione, un colore. E, soprattutto, l’ho visto nascere. La vera missione ora è farlo crescere. In effetti, inserendo autore e titolo su Google, comincio a trovare qualche risultato in più. Cioè il mio romanzo cammina. Non è forse quello che ci aspettiamo da tutti i bambini?

Nicoletta Parigini svela Venezia nel suo libro

Nicoletta Parigini svela Venezia nel suo libro

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SABATO 17 OTTOBRE 2015, alle ore 10.30, presso la sala “L. Pizzolitto” della Biblioteca di Caorle, la scrittrice Nicoletta Parigini ci svelerà alcuni segreti sulle tecniche narrative, su Venezia e sulla costruzione del suo romanzo veneziano: La centunesima infelice

La trama: 

Quante persone vivono, o sono vissute, a Venezia? Quanti, che vi hanno abitato in passato, sono ancora lì, camminatori instancabili, presenze in genere silenziose e ignote… a meno che non incontrino qualcuno che riesca a percepirli o a cui possano apparire in sogno.
Nell’attesa di transitare definitivamente nell’aldilà, le anime di coloro che hanno amato trLa centunesima infeliceoppo la vita, che hanno lasciato qualcosa di incompiuto, o che hanno timore di ciò che li attende, vagano per le calli e, talvolta, interferiscono con il mondo dei viventi.
Marino Sanudo, uomo politico ed attento cronista della Serenissima, vissuto a cavallo tra il Quattro e il Cinquecento, che non ha nessuna voglia di abbandonare la sua città e non è certo ansioso di sottoporsi al Giudizio, trova nella quattordicenne Angelina il legame perfetto con il mondo visibile. Legame strano e curioso, quello tra un fantasma che ama vestirsi secondo la moda di epoche successive alla propria (predilige la marsina), e che addirittura prova a scrivere dei testi rap, e un’adolescente con una famiglia normalmente infelice: una sorella di poco maggiore che le ha “soffiato” il ragazzo, una madre depressa, un padre disorientato, un delizioso fratellino in età di asilo nido, una nonna bisbetica e una badante polacca.
Per una ragazzina che ha già le normali difficoltà legate alla sua età, per di più innamorata anche di Dario, un giovane rapper che sembra avere qualche problema di cui nessuno vuole parlarle, non è certo facile venire anche in contatto con la sofferenza che sente nelle voci dei trapassati, che le comunicano il loro dolore, l’attesa, l’impazienza, la paura. Ma se Marino Sanudo comunica con Angy, una ragione c’è, e quando la ragazza comprenderà, si potrà finalmente chiudere il cerchio della vicenda.
Una bella storia, questa della Centunesima infelice, perché parte come un racconto di fantasmi ma diventa un romanzo di formazione, fresco e immediato, che passa attraverso gli occhi e il linguaggio di una ragazzina di oggi, quella che potreste trovarvi vicina su un vaporetto veneziano, mentre va a scuola al mattino e magari stupirvi se, passando in un certo tratto del Canal Grande, si mette le mani sulle orecchie e comincia a canticchiare un brano di rap.

Disponibile su Amazon e Kobo

Da cosa nasce cosa

Andres_EEEI libri usciti nel mese di settembre portano fra gli autori EEE diversi nomi eccellenti e alcuni li conosciamo già, grazie alla loro partecipazione al concorso Amore e Morte: Roberta Andres e Luca Ranieri. Entrambi gli autori si sono distinti con i loro racconti e sono alla fine arrivati alla pubblicazione con EEE. Dalla Penna di Roberta scopriamo quali sono state le sue emozioni quando è arrivata alla firma del contratto editoriale per il libro Le foto di Tiffany.

Da cosa nasce cosa

di Roberta Andres

Come si dice, “da cosa nasce cosa” e la “cosa” da cui ha origine la nuova e speciale avventura editoriale che sto vivendo nasce molto molto indietro nel tempo, risalendo a quando avevo sei anni e sono diventata amica inseparabile della persona (anche lei scrittrice) che un anno fa mi ha messo in contatto con Ewwa (European Writing Women Association) rimproverandomi di essere “una scrittrice troppo pigra!”.
Io, che nonostante la pubblicazione di due raccolte di racconti, di molti singoli testi in antologie e dell’aver vinto qualche Concorso letterario, scrittrice non mi sono mai sentita (e neanche pigra!), pur rimanendo sconcertata, ho deciso di crederci: ho stabilito di comportarmi per un anno come se fosse vero, cercando di invertire la rotta e di investire tempo ed energie su questa parte della mia esistenza che, lo ammetto, c’è sempre stata, ma che ho lasciato sotterranea e misconosciuta.
Era esattamente il giugno del 2014 quando mi sono trovata di fronte a una scadenza tassativa (Devi scrivere un racconto per la nostra antologia entro questa data!) e, dopo alcuni anni, in cui non ero più riuscita a scrivere, mi sono seduta e l’ho fatto, rimanendo persino soddisfatta del risultato! Poi ho cominciato a guardarmi attorno, attraverso i mezzi di informazione dell’Associazione e, del tutto casualmente, sono approdata a EEE e a Il Mondo dello Scrittore attraverso la partecipazione a un Concorso: nel giro di poche settimane il mio racconto è stato scelto per l’antologia “Amore e Morte”. Le varie fasi di questa partecipazione mi avevano messo di fronte a una possibilità che avevo colto in pieno: quella di chiudermi in casa da sola per giornate intere (con 35 gradi fuori) e revisionare un testo che avevo scritto anni prima; lavorarci per ore, piangerci anche sopra, per poi, mesi dopo, assaporare lo stupore e la gioia di vederlo pubblicato in una bellissima e curata antologia.
E siccome, come abbiamo detto all’inizio, “da cosa nasce cosa”, una volta cominciato ho continuato, ligia al programma di dare spazio, appunto, per un anno alla scrittura: quel che avevo da affrontare (e che rimandavo da anni) era la stesura di un romanzo, faticoso impegno dei mesi successivi.
I fatti che vengono dopo non sono niente di diverso dall’iter vissuto da tutti coloro che scrivono e non hanno ancora un nome e una visibilità come autori; l’iter però è stato baciato dalla Fortuna, visto che l’Editore EEE ha scelto di pubblicare il mio romanzo. Senza nulla togliere a questa gratificante notizia, arrivatami a fine maggio, quando ero ormai entrata nell’ottica che l’anno stava per scadere senza grandi risultati e che avrei gettato la spugna (almeno sollevata dall’averci provato), il traguardo si è profilato all’orizzonte. Tutto sta nel constatare che gli avvenimenti, relativi alla scrittura, accaduti in quest’anno mi hanno felicemente costretto (e mi costringono ancora) a riconoscere finalmente e integrare questa parte di me, che da sempre è soffocata da montagne di impegni: fatti della vita, lavoro, figli, doveri. Una parte di me che ha pochissimo tempo (e se lo deve rubacchiare qua e là), pochissimo spazio (quasi che fosse indegna di accompagnare la mia identità “ufficiale”: la docente, la madre), pochissimo riconoscimento, ma che nella mia vita scorre ed è scorsa come un fiume carsico, da quando avevo 8 anni ed ho scritto il primo (tremendo) “testo teatrale”, in cui la maggior parte delle battute era costituita dai saluti che ogni personaggio, all’ingresso in scena, rivolgeva a tutti gli altri, in un copione assai ripetitivo (ma educatissimo!). Questo fiume si è inabissato per anni, dopo grandi traumi o grandi gioie (come la nascita dei miei figli), ma è sempre riemerso e ogni volta che è riemerso ha cercato di far capire alla testona, che sono, che dovevo credere nella sua esistenza, ma la mia parte disfattista, indaffarata nelle faccende quotidiane e imbarazzata dalla presunzione di scrivere, si è sempre voltata dall’altra parte.
E pensare che proprio io ho dedicato e dedico ore di studio, articoli e lezioni ai miei studenti sul tema: riconoscersi e autorizzarsi nella propria creatività; corollario: la difficoltà delle donne che scrivono a concedersi di farlo!
Credo sia iniziato un cambiamento, e questa è la novità entusiasmante e l’importanza fondamentale di questa esperienza; mi sento chiamata (ma da chi? Da me stessa, ovviamente!) a guardare questo fiume, a sedermi sulla riva e immergermi in esso, vincendo anche (o imparando a gestire) la paura di annegarci, che a momenti mi volteggia intorno, attualizzandosi nelle pietanze dimenticate sui fornelli mentre scrivo (e irrimediabilmente bruciate!) o nelle occhiaie del mattino dopo, quando vado a scuola con poche ore di sonno perché ho lavorato a un testo fino alle ore piccole!
Così mi sembra opportuno chiudere queste considerazioni personali con le parole di Nathalie Goldberg sul perché si scrive, parole sue ma che sento veramente mie e che da un anno campeggiano sul muro di fronte alla mia scrivania, a “memento” di qualcosa che so profondamente ma che rischio di dimenticare, in un auto-sabotaggio non più ammissibile:

Scrivere ci dà l’opportunità di prendere quelle emozioni che tante volte abbiamo provato e dar loro luce, colore, una storia. Così possiamo trasformare la nostra rabbia in un campo di tulipani color rosso fiamma e il nostro dolore nel vialetto affollato di scoiattoli in un giardino abbandonato, nella mezza luce di novembre. Scrivo perché sono sola, scrivo perché sono pazza e lo so e lo accetto, scrivo perché ci sono storie che la gente ha dimenticato di raccontare, scrivo perché soffro e scrivere è un modo per trasformare questa sofferenza in un bene. Scrivo per diventare forte e tornare a casa e questa potrebbe essere benissimo l’unica vera casa che avrò mai” (N. Goldberg).

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Le foto di Tiffany
Riferimento ISBN 9788866902584
Autore: Roberta Andres
Formato: Epub, Kindle

Daniela Vasarri presenta Maeva

Daniela e Maeva: due protagoniste.

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Venerdì 25 settembre Daniela Vasarri ha presentato il suo nuovo libro Maeva, la benvenuta. Nell’accogliente spazio dedicato dalla Biblioteca Oglio (a Milano) agli eventi, l’autrice ha coinvolto il numeroso pubblico intervenuto in un dialogo che ha posto alcuni accenti in merito agli argomenti proposti nel libro, primo fra tutti l’adozione e il conseguente atto d’amore verso un altro essere umano. Si può amare un bambino anche se non è nostro? E quando diventa nostro? Grazie a una firma su un pezzo di carta oppure per le sensazioni che ci trasmette il nostro cuore?

La trama, tra l’altro piuttosto complessa e affatto scontata, narra la vicenda di Matilde, la quale accompagna il lettore attraverso le mille difficoltà che una donna single può riscontrare nel cercare di adottare un bambino. Disagi e problematiche che non sono solo di ordine burocratico ma, soprattutto, psicologico. Non bisogna mai dimenticare che le persone coinvolte sono sottoposte a notevoli cambiamenti, in tutti i sensi e non sempre l’ambiente circostante è in grado di supportare situazioni così delicate.

Daniela prende lo spunto da un fatto reale, lo tzunami che ha sconvolto il sud-est asiatico alcuni anni fa e dai suoi viaggi effettuati proprio in Thailandia, per raccontare una vicenda che potrebbe essere reale e non una trama data solo dalla sua fervida fantasia. Nel corso della presentazione non sono mancati gli spunti per approfondire il suo ruolo di donna e scrittrice e per dialogare con i propri lettori.

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New Gothic a Cogne e misteri svelati

New Gothic e misteri a Cogne.

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Iniziamo subito con il raccontarvi che cosa è accaduto a Cogne il 20 agosto. Ebbene, in tale data Giancarlo Ibba ha presentato il suo ultimo libro: C’era una volta in Sardegna. Nella splendida piazzetta posta davanti al Comune, con uno sfondo mozzafiato dato dalle cime svettanti del Gran Paradiso, alle 17.30 è iniziata la presentazione, complici il bel tempo e un pubblico piuttosto folto. Giancarlo, per quanto ami definirsi timido e introverso, ha subito catturato l’attenzione dei presenti descrivendo il proprio stile e, lasciandosi trasportare da quella passione che gli è tipica, ha condotto l’evento immergendo gli astanti nel suo mondo personale. In breve la piazzetta davanti al Municipio si è trasformata nel luogo in cui gli incubi prendono forma e il Sulcis diventa reale. Quindi non solo nei libri l’autore riesce a coinvolgere i propri lettori, costruendo trame degne dei più classici horror, ma anche dal “vivo” Giancarlo è in grado di monopolizzare l’attenzione fondendo l’ironia con una realtà cruda e, a volte, fin troppo presente nel quotidiano. L’efficacia del suo horror nasce proprio da questo, dal riuscire a trasformare fatti, all’apparenza del tutto normali, in un qualcosa che deraglia da qualsiasi binario prestabilito, offrendo una nuova visione del quotidiano.

Noi lo abbiamo ribattezzato New Gothic.

Tuttavia, rispetto al classicismo più puro, in cui la complessità e spigolosità delle trame caratterizzavano l’evolversi dei personaggi e della storia, la nuova interpretazione di Giancarlo porta il gotico sulle soglie di casa, in quella realtà, vivibile giornalmente, che improvvisamente assume altre forme e nuovi significati, spesso più inquietanti del previsto. Come dire che gli orrori si nascondono sotto la luce dei lampioni e non negli angoli bui. E se questo non fosse stato più che sufficiente per dare una valida giustificazione al voler essere presenti, Giancarlo ha rivelato un ulteriore segreto, un gustoso aneddoto che può solo dare ulteriore conferma del carattere particolarmente complesso dell’autore: egli ha scritto un romanzo dedicato esclusivamente ai sentimenti. Il libro, pubblicato da EEE sotto lo pseudonimo di Claudio M, s’intitola Il Sogno della Farfalla (Amazon e Koboed è posto nella categoria l’amore ai tempi del web. Strano connubio, penserete…

Ebbene no. Analizzando la questione fino in fondo, non dovrebbe sorprendere il fatto che uno scrittore, in grado di descrivere in modo così eloquente le parti più oscure del genere umano, sia anche capace di tratteggiare gli aspetti più solari e sentimentali, offrendo al lettore anche l’altro “lato della medaglia”. Quindi, godetevi Giancarlo Ibba in tutte le sue forme, da quelle più tetre a quelle più rosee.

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Intervista a Daniela Vasarri

Intervista a Daniela Vasarri

Maeva_EEEMaeva, la benvenuta è il tuo nuovo libro, molto particolare, dato l’argomento trattato: le adozioni. Mi colpisce questo fatto, la tematica è spesso sottovalutata, se ne parla poco e ancor meno si conosce delle difficoltà che insorgono nel momento stesso in cui si vuole affrontare questo percorso. Oltretutto la tua protagonista, Matilde, non può nemmeno contare sull’appoggio di un partner.

  • Partiamo, dunque, dal titolo, chi è Maeva?

Maeva è una bambina, scampata miracolosamente allo tsunami e dopo essere stata ritrovata all’età circa di due anni, è stata ospitata all’orfanotrofio di Bangkok.

  • Parte dell’ambientazione si svolge in Thailandia, perché hai scelto proprio questo paese, per quanto affascinante e ricco di tradizioni?

Sono stata in Thailandia alcuni anni fa, l’ho visitata fino al nord e ho potuto vederne aspetti anche non turistici. Mi ha affascinata pur nelle sue contraddizioni, ma soprattutto mi hanno dato grandi emozioni i bambini, al punto che avrei voluto “portarli tutti a casa”!

  • Tra l’altro, la tragedia che ha colpito questa terra è stata vissuta in maniera traumatica anche da tanti altri paesi, proprio per il fatto che, essendo la Thailandia una rinomata meta turistica, molti sono stati gli stranieri coinvolti. Tuttavia, questo spunto reale diventa un nodo importante nel tuo romanzo, quanto di quello che hai riportato nasce da un coinvolgimento personale e quanto è tratto dalla tua fantasia?

Come ho detto  sopra il coinvolgimento personale c’è stato, andando nei villaggi ho sentito forte il desiderio di maternità ma anche quello umano e sociale, perché davvero le loro condizioni sono poverissime e così distanti dalle nostre.

  • Come è nata l’idea per il romanzo?

Di quel viaggio ho conservato il ricordo e un giorno al computer è nata Maeva, nella mia fantasia.
La cosa straordinaria è che la mia piccola Maeva è diventata poi reale, perché, appena terminato l’editing del romanzo, una bambina in Corea è stata ritrovata e riconosciuta proprio come io ho descritto nell’epilogo del mio romanzo.

  • In quest’epoca moderna, in cui le donne fanno parte del tessuto sociale a pieno titolo, con tutti gli oneri che questo comporta, quanto pensi che possa ancora sussistere il concetto di “bisogno di maternità”, rispetto a come veniva interpretato nel passato?

Ritengo che il bisogno di maternità, quando bussa prepotente al cuore di una donna, non conosca limitazioni, sociali o economiche. Una soluzione, se davvero si vuole un figlio, la si trova. Chi rimanda per mille motivazioni, spesso si pente oppure arriva ad ammettere dentro di sé che, forse, non si trattava di una vera vocazione.

  • La burocrazia, se da una parte dev’essere complessa, proprio perché si parla di affidare dei bambini a degli sconosciuti, dall’altra diventa ostica e laboriosa. Cosa ne pensi?

Credo prima di tutto che vi debba essere un grosso e serio lavoro di verifica prima di dare in adozione un bambino, ma che, una volta accertate le condizioni favorevoli per l’adozione, si dovrebbe poter contare su tempi più brevi e con minori esborsi economici.

  • Spesso le adozioni riguardano bambini provenienti dall’estero, come mai si predilige un figlio proveniente da culture e mentalità diverse, piuttosto che uno italiano?

Questo è difficile da interpretare, in primis penso che noi, come cultura, non concepiamo di adottare un connazionale, poi credo che i bambini stranieri adottabili versino in condizioni economiche e sociali svantaggiate, quindi l’adozione diventa un gesto di sostegno più importante e gratificante per chi lo compie

  • Alcuni non riescono a fare a meno di porre delle distinzioni fra figli naturali e figli adottati, dimenticandosi che “un figlio” non è soltanto un “prodotto” genetico ma un essere umano che assorbe l’impronta della realtà in cui cresce, anche quella affettiva. Come vedi questa disparità?

La disparità esiste secondo me, ma non dal punto di vista giuridico, bensì da quello psicologico-sociale. Per gli esterni, non per i genitori adottivi, un bambino adottato viene visto purtroppo spesso come un “ripiego”, una consolazione per quella madre adottiva e questo può influenzare negativamente tutti i rapporti futuri del bambino stesso. Personalmente credo che un figlio naturale o uno adottato siano sullo stesso piano, se entrambi sono stati voluti e amati

  • Quando Daniela non scrive, come occupa il proprio tempo?

Leggo molto, mi dedico a letture di esoterismo, filosofiche, sono una curiosa, esploro la vita insomma. Poi di lavoro faccio tutt’altro, ma ho imparato a ben dividere la mia sfera d’interessi da quella lavorativa, che comunque svolgo con grande impegno.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ritirarmi in Toscana e scrivere, studiare; per ora, dato che sono lontana dalla pensione, sto lavorando a un libro che è un divenire, tratta della ricerca o della conferma personale della fede.

Intervista a Valerio Sericano

Intervista a Valerio Sericano

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Intrecciare due storie contemporaneamente, presagendo un destino comune, non è così facile, soprattutto se le trame vengono intessute su piani differenti, prendendo in considerazioni ambienti e culture diverse dalla nostra. Valerio Sericano ha saputo creare, nel suo Ami dagli occhi color del mare, un romanzo ricco di fascino.

  • Ami dagli occhi color del mare è un titolo molto particolare che, a prima vista, aggiunge subito una nota curiosa al romanzo. Che cosa rappresenta?

Solitamente non ho problemi con i titoli dei miei lavori, perché nascono con la stesura del romanzo e non li cambio più. In questo caso ho invece completato il lavoro con un titolo provvisorio che non mi convinceva per nulla, finché una collega (di fatto, il mio comitato di lettura personale…), dopo aver letto il manoscritto mi ha detto: “Perché non lo intitoli semplicemente Ami?”.
L’avrei baciata. Ho solo aggiunto l’altra frase per meglio distinguere il mio romanzo da lavori già editi.
Non posso tuttavia dire nulla circa il significato di Ami, altrimenti svelerei il finale della storia. Dico solamente che lo si può scoprire avendo la pazienza di leggere tutto fino alla fine, perché la spiegazione del titolo avviene solo nelle ultime righe della vicenda.

  • Come è nata l’idea per il romanzo?

Si tratta di un lavoro contenente molti riferimenti alla mie esperienze di vita e a quelle della mia famiglia, anche se non lo ritengo un lavoro prettamente autobiografico. È risaputo che gli autori esordienti inseriscono molto di se stessi e delle proprie vicende nelle loro storie. Essendo questo il mio secondo romanzo, non ho fatto eccezione alla regola, avendo attinto a personali esperienze di vita. Comunque cito una curiosità, segnalatami da una lettrice, la quale mi ha scritto molto seriamente: “Interessante l’dea di trattare il tema della metagenealogia…”
Io, con molta semplicità le ho risposto: “Temo di non capire… Di che cosa stai parlando?”.
Lei mi ha inviato il link di una pubblicazione: Metagenealogia, di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa, un volume che teorizza come gli eventi passati della propria famiglia incidano sugli individui sotto forma di energia positiva e negativa. Non ne avevo mai sentito parlare, ma a conti fatti, il tema centrale del mio libro si basa proprio su questo argomento, di cui non sapevo assolutamente nulla mentre scrivevo la mia storia. Adesso dovrò leggere quel libro…

  • La tua passione per la terra nipponica scaturisce da ogni riga del tuo scritto, lasciando intendere che sia vissuta anche a livello reale, nella vita di tutti i giorni, come mai?

Non so perché, ma la cultura giapponese mi ha incuriosito da sempre. Soprattutto la storia di quel popolo, che considero unico al mondo. Ho letto molto a riguardo, rimanendone affascinato al punto da scrivere una tesina universitaria e desiderare di visitare di persona il Giappone. Quando finalmente vi sono riuscito, ho provato un’emozione talmente forte da innamorarmene. Conseguenza è stata anche portarmene un pezzettino in Italia, nella persona di mia moglie, giapponese di nascita che adesso vive con me in Italia. Valutando le cose nel loro insieme, non credo esistano al mondo due popoli e due culture più distanti fra loro di quella italiana e giapponese. Quando si dice che gli opposti si attraggono…

  • L’Argentina, terra dalle sfumature più simili alle nostre, è l’altra nazione protagonista del tuo libro, che rapporti hai con questo paese e perché di questa scelta?

L’Argentina non l’ho mai visitata e ho dovuto dar fondo alla mia passione di storico dilettante per creare gli ambienti nei quali calare i personaggi creati nella descrizione della seconda storia, quella riguardante l’emigrazione del primo novecento. Mi scuso per eventuali errori e anacronismi, sempre in agguato per chi si cimenta nel difficile ambito delle ricostruzioni storiche, in questo caso riscontrabili da chi mi leggesse conoscendo bene la realtà argentina, della Pampa in particolare. Tornando al tema della meta genealogia, citata in precedenza (chiedo ancora scusa, adesso che ho imparato una parola nuova ne devo fare sfoggio… ehm), devo dire che sono cresciuto sentendo molto parlare di Argentina dai racconti di mio nonno, la cui figura, abbondantemente romanzata, coincide a grandi linee con il personaggio di Cesco, protagonista della vicenda descritta nella parte di romanzo riguardante la migrazione. Detto ciò, è possibile che ne sia rimasto inconsciamente influenzato

  • Lo tsunami in Giappone ha segnato la storia mondiale a causa delle tante difficoltà e delle tante vittime che ci sono state. Il tuo protagonista, Giaco, lo vive in prima persona. Quanto c’è del tuo vissuto e quanto è scaturito dalla tua fantasia?

Per mia fortuna non ho vissuto in prima persona la tragedia dell’11 marzo 2011, perché non ero in Giappone nel momento in cui si è verificata. Anche mia moglie era già con me, sebbene mi avesse raggiunto in Italia solamente pochi mesi prima di quella fatidica data. Tuttavia, quel disastro terribile mi ha colpito parecchio, perché lei è originaria dell’area di Sendai, dove vive la sua famiglia, la quale fortunatamente non ha subito danni. Ho scritto la parte dedicata allo tsunami raccogliendo proprio le testimonianze di parenti e amici che vivono in quella città, cercando di immedesimarmi più che potevo nei fatti realmente accaduti. Non ho ancora avuto alcun riscontro riguardo ciò che ho scritto, a causa della differenza di lingua e dell’impossibilità di tradurre il mio romanzo in giapponese, ma posso dire di essere stato male per circa una settimana dopo aver scritto il capitolo dedicato alle conseguenze di quel catastrofico tsunami

  • Di solito, pensare a uno scrittore maschile fa venire in mente delle storie basate sull’azione, sull’intrigo o, comunque, generi che nulla hanno a che fare con i sentimenti, più facilmente descritti da autrici donne. Tuttavia, tu hai regalato ai lettori un libro ricco di fascino e di emozioni. Quali sono le difficoltà nello scrivere un romanzo d’amore per un uomo?

Mi fa piacere sentirmi definire un autore legato alla sfera delle emozioni, perché in effetti è dai sentimenti e dalle pulsioni emotive che traggo ispirazione per scrivere. Non sono in grado di dire se in questo campo riesco a raggiungere i picchi che la sensibilità di un animo femminile giunge a toccare, tuttavia ci provo, magari fornendo un punto di vista diverso da quello usuale. Ad ogni modo, per ciò che riguarda la mia esperienza di scrittore, devo dire che il filo rosso che collega ogni lavoro in cui mi sono cimentato finora è proprio la presenza, più o meno importante, di una o più storie d’amore. Non so se per questa ragione posso essere definito un romantico, ma da un punto di vista oggettivo ritengo che la forza dell’amore sia il vero motore che muove il mondo, per cui mi sembra impossibile non scriverne

  • Due storie d’amore s’intrecciano nel tuo libro, in cui entrambe le protagoniste femminili arrivano da oltre confine. Dal momento che si dice “mogli e buoi dei paesi tuoi”, quali pensi che siano le difficoltà che si possono riscontrare nell’approcciare culture così diverse dalla nostra, soprattutto in campo sentimentale?

Avendo affrontato di persona questo tipo di esperienza posso dire che la difficoltà più grande, inizialmente, è rappresentata dalla lingua. Tuttavia ho potuto constatare, cercando anche di descrivere la cosa attraverso i personaggi del mio romanzo, che quando nasce una storia tra persone provenienti da mondi e culture diverse, entra in gioco una sorta di linguaggio universale che azzera ogni difficoltà e si manifesta nei gesti, nelle tenerezze o anche solo negli sguardi che due individui si scambiano per amore. Vivendo in prima persona la mia storia, agli inizi ricordo di aver pensato: “In fondo siamo solo un uomo e una donna che si cercano e desiderano stare insieme, null’altro”.
Tuttavia non si può ridurre tutto quanto alla sola sfera sentimentale, perché sappiamo tutti che la vita è fatta anche di mille altri aspetti che s’intrecciano fra loro. Questo lo capisco soprattutto vedendo mia moglie vivere la propria quotidianità in un mondo diverso da quello in cui è nata e cresciuta, potendo capire, attraverso le sue esperienze, quanto sia difficile la vita di chi si trova da un giorno all’altro immerso da capo a piedi in una realtà sconosciuta

  • L’avvento dell’era tecnologica ha sicuramente facilitato le comunicazioni, anche se le ha rese più superficiali, forse proprio a causa dell’immediatezza con cui si può raggiungere chiunque. Nel passato, invece, l’energia spesa nel poter mantenere un rapporto a distanza demoralizzava, automaticamente, chiunque non fosse seriamente disposto a mantenere vivo tale rapporto. Cosa ne pensi di questo progresso e di questi “rapporti virtuali”?

Si tratta di un altro tema centrale del mio romanzo, perché in esso propongo un confronto diretto fra l’uso delle lettere scritte e quello degli odierni mezzi informatici. Ovviamente si parla di due modi totalmente diversi di relazionarsi, con la bilancia totalmente a favore della tecnologia attuale. Tuttavia, nel valutare un rapporto a distanza, occorre sempre tener conto dell’inevitabile distacco fisico, che non differenzia per nulla un rapporto epistolare da una video chiamata effettuata davanti a una webcam. Nel mio romanzo esprimo questa difficoltà quando descrivo i due protagonisti della mia storia di fronte al ritorno del contatto quotidiano tramite computer dopo essersi incontrati di persona in Giappone e aver stabilito un contatto fisico. Si ritrovano tristi, lontani e separati senza poterci fare nulla, rendendosi conto che il loro rapporto è totalmente diverso da com’era prima dell’incontro reale.

  • Quando Valerio non scrive, come occupa il proprio tempo?

Siccome scrivo per hobby, la maggior parte del restante tempo la dedico al lavoro e alla famiglia. Quando posso mi dedico alle escursioni in montagna e alla mountain bike, che tuttavia richiede un allenamento tale che al momento non mi posso permettere, essenzialmente per ragioni di tempo

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Vorrei cimentarmi in generi letterari diversi fra loro, anche se credo che per un autore l’ideale sia farsi conoscere in un preciso ambito e continuare a scrivere sempre all’interno di una medesima categoria per non spiazzare i lettori faticosamente guadagnati. Purtroppo non è il mio caso perché sotto quest’aspetto sono un istintivo e seguo unicamente l’ispirazione del momento. Non credo neppure di essere in grado di scrivere il sequel di un mio romanzo, perché mi annoierebbe.
Ritengo sia invece una sfida importante quella di creare storie con protagonisti lontani dalla propria identità, soprattutto di genere. Alcuni lettori mi hanno detto che i miei personaggi femminili sono molto vivi e reali. Lo ritengo un apprezzamento importante, perché la cosa più difficile per un autore credo sia quella di dar vita ad un personaggio molto distante da se stesso. Adesso sto scrivendo un noir sentimentale in cui la protagonista è una quattordicenne che vive in una realtà fatta di continue violenze fisiche e psicologiche. Non sono sicuro di farcela, ma nessuno mi vieta di provare e la cosa mi stimola moltissimo. Sono curioso di vedere che cosa riuscirò a creare.

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Chiara Curione al Castello di Trani

Il Castello di Trani: una location storica per Il tramonto delle aquile di Chiara Curione.

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Circondata dall’atmosfera offerta dal Castello di Trani, domenica 7 giugno, alle ore 17.00, Chiara Curione presenterà il suo libro Il tramonto delle aquile. L’evento rientra nella serie di iniziative promosse dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, prendendo il nome di #domenicalmuseo. La promozione offre l’ingresso gratuito, ogni prima domenica del mese, in tutti i monumenti, musei, gallerie, parchi, aree archeologiche e giardini monumentali dello Stato. Il Castello di Trani, nella fattispecie, è una delle strutture difensive più importante fatta erigere da Federico II di Svevia a tutela del suo prediletto Regno di Sicilia.
Importante caposaldo sulla costa pugliese, sorge strategicamente al centro di una rada, i cui bassi fondali si sarebbero sempre rivelati un’ottima difesa naturale, sia dalla furia delle onde che da eventuali attacchi sul fronte settentrionale. In questa splendida cornice storica, Maria Forina introdurrà il romanzo storico di Chiara Curione, il quale racconta, in prima persona, le complesse e drammatiche vicende di cui fu protagonista Manfredi di Svevia, ultimo sovrano del Regno di Sicilia, fino alla battaglia di Benevento in cui perse la vita sconfitto da Carlo d’Angiò.

il tramonto delle aquileLa trama:

Manfredi di Svevia, ultimo sovrano svevo del regno di Sicilia, racconta in prima persona le complesse e drammatiche vicende di cui fu protagonista, fino alla battaglia di Benevento, in cui perse la vita nel 1266, sconfitto da Carlo d’Angiò. Romanzo scorrevole, di buona scrittura, è adatto anche ad un pubblico giovane, ed ha il merito di avvicinare il lettore alla storia di un periodo complesso e travagliato, in cui il papato lotta per essere protagonista di primo piano, ed usa tutti gli strumenti, compreso quello della scomunica e il sostegno al partito guelfo, per tentare di avere ragione dei suoi avversari del partito ghibellino, di cui Manfredi è il capo riconosciuto. La documentazione attenta e accurata permette inoltre al lettore di immergersi nella vita quotidiana dell’epoca, ricostruita vividamente attraverso un’ambientazione convincente e di comprendere la mentalità medievale, le credenze, le abitudini, di un’epoca in cui affondano le radici del mondo moderno.

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Primo giorno al Salone del Libro

Primo giorno al Salone del Libro

11253860_10203860531022723_1434391860_nQuesto primo giorno in Fiera si sta dimostrando migliore dell’anno precedente. Se non altro il vociare delle scolaresche riempie i corridoi di risate, schiamazzi e di quella allegria tipica dei giovani. Probabilmente la posizione diversa dello stand EEE, sempre rispetto alla precedente edizione del Salone, attira diversi curiosi, sia per le copertine colorate, che i gadget che sono stati abilmente nascosti fra i libri esposti. E se è anche vero che il gadget fa presa, sono poi i libri a diventare protagonisti. Come sempre non mancano i curiosi, gli studenti che chiedono informazioni a proposito della Casa Editrice e gli autori in cerca di un editore che possa credere in loro.

Per il momento è tutto, Piera Rossotti, Sabrina Grementieri, Giancarlo Ibba, Andrea Leonelli ed io vi aspettiamo al PAD 2 stand 114.