Sabrina Grementieri e la sua esperienza

Sabrina Grementieri ha pubblicato due libri con EEE e, come talvolta accade, il suo stile e la sua capacità d’interazione l’hanno condotta immancabilmente verso altri lidi e spiagge più conosciute. Noi siamo estremamente orgogliosi del risultato che ha raggiunto, così come lo siamo per tutti i nostri autori che sono riusciti a realizzare le loro aspirazioni, anche se dispiace sempre vedere i figli andarsene, quando sono diventati grandi.  Lasciatevi, quindi, coinvolgere da Sabrina Grementieri e la sua esperienza con EEE. #EEE #autoriEEE

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Sabrina Grementieri e la sua esperienza con EEE

Dovrei trovare le parole giuste per esprimere la mia esperienza con la EEE ma la ridda di emozioni che popola i pensieri rendere difficile trovare il punto da cui iniziare.
Senza Piera Rossotti e la sua casa editrice ora non sarei qui. Per questo la mia gratitudine sarà eterna.
Proprio in questi giorni mi sono trovata a scrivere i ringraziamenti in conclusione del mio ultimo romanzo che uscirà a breve con la Sperling & Kupfer e il mio primo pensiero è andato a lei. Quattro anni fa, quando ho preso il coraggio a quattro mani e ho deciso di inviare il mio romanzo alla EEE, mai avrei immaginato che sarebbe stato l’inizio di una incredibile avventura. Il giorno che l’ebook è stato pubblicato online ero così sbalordita da non riuscire a crederci. Non riuscivo a pensare a niente: la storia sarebbe piaciuta, avrei continuato a scrivere e pubblicare, cosa dovevo fare?
Niente. Tabula rasa. D’altronde, quando il sogno del cassetto di tutta una vita vede la luce, immagino che lo sbalordimento sia il minimo che si possa provare.
Da quel giorno molte cose sono cambiate. E la mia vita ha preso la piega che più si avvicina a quello che si desidera per se stessi: vivere amando quello che si fa. Ho ricominciato a studiare affinché i miei scritti fossero sempre migliori. Ho conosciuto colleghe e colleghi che mi hanno insegnato tanto, sia nella scrittura che sul piano umano. Ho iniziato a viaggiare con più assiduità per frequentare corsi, incontrare persone, fare ricerche.
Mi sento ogni giorno più completa.
Certo, non è mai tutto rose e fiori. Tutti questi stimoli stanno nutrendo i miei demoni interiori, che scalpitano sempre più spesso e sempre più rumorosi. Vogliono sempre di più, non sono mai sazi, e questo mi fa vivere su una continua giostra che ruota all’impazzata senza freni. Ma è un mix che mi fa sentire viva. E che da un senso al mio passaggio su questa terra.
Dunque grazie di cuore Piera. Senza di lei non sarei qui. E non toccherei con mano un po’ di felicità.

La poetica di Maurizio Donte

La poetica di Maurizio Donte

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La metrica è definita come una forma ormai obsoleta con cui comporre la poesia, come se i versi liberi potessero essere gli unici in grado di dare vita ai pensieri e alle emozioni. Tuttavia, analizzando la questione da un’altra ottica e leggendo questo articolo, forse la realtà potrà assumere una visione diversa e più significativa di quanto possano essere importanti le regole, anche nell’arte.

Maurizio Donte ha pubblicato con EEE la silloge poetica Nell’incanto

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di Maurizio Donte

Sono moltissimi anni che mi dedico alla poesia (la scrivo praticamente da quando ho imparato a tenere la penna in mano…) ma l’amore per questa forma d’arte è nata in me dall’infanzia, prima per merito di mia madre, che l’ha sempre amata e non mancava mai di recitarmene qualcuna al posto delle favole, poi, lo ammetto, anche per una tradizione familiare che vede tra i miei antenati altri due poeti, da parte materna un prozio e da parte paterna il cugino primo del nonno.
Ho iniziato con il verso libero, come molti fanno al giorno d’oggi, seguendo la lezione dei grandi del ‘900: Ungaretti, Montale, Quasimodo e Saba, principalmente; ma l’amore per la creazione poetica è una tentazione a cui è ben difficile resistere e che non conosce limiti di sorta, così, pur dopo aver ottenuto con la Poesia libera molte soddisfazioni, ho sentito la necessità di approfondire la materia.
Ho sempre amato, oltre ai poeti sopra citati, i nostri classici del passato, e ne avevo già una buona conoscenza, ma mi rendevo conto che la bellezza del loro modo di esprimere le immagini poetiche, l’armonia insita nei loro versi, il loro linguaggio, meritava uno studio ben più approfondito. E così mi sono fatto studente, con umiltà e pazienza (mia, ma soprattutto dei miei insegnanti) sono andato a lezione di metrica dai poeti dell’Accademia Alfieri di Firenze, presieduta dal poeta e attore Dalmazio Masini.
La metrica non è, a mio vedere, un desueto orpello da relegarsi nelle cantine della letteratura come sorpassata, vecchia e inutile. So che a molti oggi non piace, è vero, ma ritengo abbia un naturale diritto ad essere coltivata, pur in modo moderno, utilizzando cioè, un lessico attuale e aderente il più possibile ai nostri tempi. Lo so che oggi può apparire insolito, o demodè, cimentarsi nel sonetto, nel madrigale, nella canzone petrarchesca, o nelle odi, negli idilli, e nelle liriche sestine. Però mi chiedo, perché no?
Queste forme sono il fondamento stesso della poesia italiana, le basi dei nostri grandi autori del passato, che nulla certo hanno da invidiare agli autori stranieri, e allora, perché mai dovremmo rigettarle?
Certo, è chiaro che non ci si può limitare a scimmiottare Leopardi, o Foscolo, Alighieri o Petrarca. Bisogna apprenderne la lezione, e andare avanti.
D’altra parte la POESIA (dal greco ποίησις, poiesis, che vuol dire “creazione”) è una forma d’arte che crea, scegliendo opportunamente le parole secondo i criteri delle leggi della metrica, oppure facendone a meno, un componimento in versi (frasi in diverso modo assemblate) in cui il significato semantico si lega in modo indissolubile al suono, alla musicalità insita nei fonemi usati.
È pertanto chiara la parentela della musica con la poesia: nelle precise regole di accentazione e di numero sillabico dei versi assemblati insieme riverberano le altezze e le frequenze delle note del pentagramma. Così come due note successive suonate insieme, es DO_ RE, creano una dissonanza, allo stesso modo non si può in poesia far seguire a un endecasillabo un verso ottonario: semplicemente ne esce una evidente stonatura. Diversamente, l’accostamento di un settenario a un endecasillabo suona benissimo, e non si deve pensare a questi modi di esprimere le parole come a un qualcosa di artificiale, essendo questi una parte integrante (“essendo questi una parte integrante” diventa: es sen do QUES ti-u na PAR te-in te GRAN te- endecasillabo dattilico a minore con accenti in 4, 7 e 10) del nostro comune modo di esprimere le nostre idee in parole, come ben potete vedere.
Quindi, la restrizione metrica, figlia e creatrice della musicalità della nostra bella lingua, riesce a trasmettere, proprio come fa la musica, emozioni, concetti e stati d’animo in maniera molto più evocativa e potente di quanto si possa ottenere con la prosa, laddove le parole obbediscono, o almeno dovrebbero obbedire, solamente alle regole grammaticali e alla sintassi.
Un esempio a tutti noto: ben diverso è dire “Questo colle solitario mi è sempre stato caro” dal ben più evocativo “Sempre caro mi fu, quest’ermo colle” (endecasillabo anapestico a majore, con accenti in 3, 6, e 10).
Detto questo, aggiungo soltanto che non necessariamente la poesia metrica trova la sua espressione nelle forme chiuse, come quelle citate sopra, che sono certamente legatissime alla rima, che a molti oggi non piace, ma può benissimo vivere in forme aperte e sciolte (non libere in modo assoluto), in polimetri, o in endecasillabi sciolti. Esempi magnifici di questi ultimi ne sono certamente L’infinito di leopardiana memoria, o Dei Sepolcri di Ugo Foscolo, per citarne due noti a tutti. Pur nel linguaggio del loro tempo sono, e restano, modernissime. Perché dunque, non seguire questa via?

 

Intervista a Lu Paer

Intervista a Lu Paer

Paer_EEELu Paer è un’autrice dall’animo complesso, in cui le intensità delle emozioni si manifestano con pennellate forti e mai scontate. La sua vita è un intricato mosaico di soluzioni finalizzate alla sopravvivenza quotidiana, in un mondo fatto, il più delle volte, da soprusi e indifferenza. Tutto questo bagaglio emotivo lei lo riversa nei suoi libri.

  • Il protagonista del tuo nuovo romanzo, “Non altro che me stesso”, è un trentacinquenne che si troverà nei panni di spettatore del suicido di una donna molto speciale. Cosa ti ha spinta a scegliere una figura maschile per scrivere la storia?

Viviamo tutti più aspetti e personalità, dentro di noi. Immedesimarmi in un uomo è stato un  modo per sperimentare l’universo maschile  e nel farlo ho provato un grande senso di libertà e curiosità.

  • Sotto quale prospettiva psicologica viene affrontato l’argomento forte, e allo stesso tempo sensibilizzante, della violenza sulle donne?

Cito una frase del mio romanzo ‘ A volte ad essere uccise sono le donne che si ostinano a rimanere, nonostante tutto’. Il tema della violenza sulle donne viene affrontato sotto una prospettiva diversa, che solitamente non viene detta.  Dietro una donna che soffre spesso ci sono figli che subiscono a loro volta, ma  che non possono scegliere. Questo mio pensiero si è rafforzato una sera mentre seguivo una puntata del programma’ Amore criminale’. La donna intervistata aveva subito moltissima violenza dal marito, ciò nonostante rimase incinta e quando nacque la bambina parte della violenza fisica il marito la trasferì sulla piccola, a suon di cinghiate. Tuttavia la donna intervistata partorì successivamente, con il suo aguzzino, altri 3 figli, altre 3 vittime. Si  giustificò dicendo che non riusciva a abbandonarlo perché ‘Gli voleva bene’, uso le sue parole. Lo lasciò anni dopo, perché ne aveva trovato un altro. In tutta questa vicenda io vedo 4 vittime, e sono i bambini! Noi donne possiamo fare di più e di meglio! Anche stando da sole. Non a caso i  protagonisti di questo romanzo sono la consapevolezza e la capacità di scelta, anche se quest’ultima, nel finale, viene estremizzata.

  • I protagonisti del tuo libro sono nati solo dalla tua fantasia o rispecchiano aspetti di persone reali?

Direi l’uno e l’altro, sono partita da un personaggio inventato le cui caratteristiche sono emerse  all’interno di situazioni precise, anche reali. Per quanto riguarda l’aspetto emotivo mi identifico moltissimo negli stati d’animo di Carlo, il protagonista.

  • Perché “Non altro che me stesso”? Parlaci del messaggio racchiuso nel titolo. Quante e quali emozioni vengono a galla in questo libro?

Il titolo mi è stato suggerito,  molto opportunamente, dal mio editore. La frase ‘Non altro che me stesso’ è contenuta in alcuni miei versi all’interno del romanzo, ed è la frase perfetta per rappresentare il grande desiderio di libertà ed autenticità del protagonista che per esse è disposto a pagare qualsiasi prezzo.

  • Nel tuo primo lavoro “Cosa stai aspettando!” abbiamo avuto modo di scoprire il tuo impegno personale nei confronti di una campagna animalista molto sentita. Quanto pensi che questo amore per gli animali abbia influito nel tuo approccio alla scrittura?

Totalmente, direi. Sopravvivo al dolore che la sofferenza animale mi provoca anche grazie alla scrittura. I miei romanzi infatti si propongono di  sensibilizzare il lettore su alcuni aspetti che mi stanno molto a cuore. Soprattutto, scrivendo, voglio fare la mia parte in un auspicabile processo di trasformazione delle coscienze, verso il bene.

  • L’amore per gli animali resta una costante anche nel secondo libro. Volendo ben vedere, la violenza, che sia su donne o animali, è il filo conduttore che traspare comunque dai tuoi scritti. Cosa ti rende così sensibile?

Si, è proprio così. L’ attenzione alla  sofferenza degli indifesi, di chi non ha voce, umano o animale che sia, è una caratteristica del mio carattere che mi accompagna da molto tempo. Forse come riflesso a  situazioni vissute. Nel mio secondo romanzo la vittima risulta comunque, e sempre, l’infanzia. La scelta di Carlo, di non diventare padre, è un atto di responsabilità e consapevolezza.

  • Quali sono le difficoltà che hai riscontrato durante la costruzione delle tue trame?

Amo emozionarmi ed emozionare. I miei personaggi vivono spesso situazioni intense, nel bene e nel male; pertanto mi trovo in difficoltà quando devo costruire una trama che possa riferire situazioni di normalità o descrizioni, anche di ambienti, che non evochino stati d’animo particolari.

  • Se dovessi dare tre aggettivi al tuo modo di scrivere, quali sarebbero?

Sintetico, intenso, efficace; almeno nel mio intento.

  • Quando Lu Paer non scrive, come occupa il proprio tempo?

Amo molto leggere e stare a contatto con la natura, la nostra prima madre.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Terminare a breve un thriller contro la caccia, che sto ultimando! E cominciarne subito un altro, il giorno dopo!

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Intervista a Margherita Terrosi

Intervista a Margherita Terrosi

Terrosi_EEEL’anima particolarmente sensibile di Margherita Terrosi si riversa in questo romanzo, ponendo a confronto due realtà, quella femminile e quella maschile, sottolineando sia le diversità che le similitudini di entrambi gli universi. Due mondi che dovrebbero essere destinati ad attrarsi ma che, spesso, invece si allontanano.

  • Frittate e Grattacieli, la curiosità è tanta. Da cosa è scaturita la scelta di un titolo così originale?

Frittate e Grattacieli è un titolo troppo geniale per essere farina del mio sacco! Me lo ha gentilmente “prestato” il Prof. Edoardo Lombardi Vallauri, linguista e professore presso l’Università degli Studi di Roma Tre, nonché autore di una trasmissione andata in onda su Radio 3 qualche anno ed intitolata “Castelli in aria”: Frittate e Grattacieli era appunto il titolo di una delle puntate. In un elegantissimo ed acuto gioco di semplificazioni, il Prof. Vallauri divide l’umanità in due categorie: “I grattacieli sono tutte quelle persone che hanno un obiettivo ben formato da raggiungere e dedicano la loro intera esistenza al conseguimento di esso. Tipici grattacieli sono tutte le grandi personalità: te ne potrei citare a centinaia a partire dai personaggi premi nobel per arrivare agli archistar. E queste persone sono grattacieli altissimi. Poi ci sono anche grattacieli non famosi ma pur sempre alti. Il resto dell’umanità è composto da frittate di varia forma e dimensione. A differenza del grattacielo che si sviluppa lungo una linea verticale che tende all’infinito, la frittata si spalma senza nessuna logica e predeterminazione sul piano orizzontale dell’esistenza”. (tratto dal romanzo).
Durante la sua trasmissione, Vallauri non dà un giudizio né sui grattacieli né sulle frittate; analizza, invece, in modo imparziale i pro e i contro delle due tipologie umane e si pone delle domande che lascia senza risposta, perché, in fondo, non vogliono essere niente altro che spunti di riflessione per l’ascoltatore. E allora, si chiede e ci chiede, è meglio avere accanto una persona determinata, che va dritta allo scopo senza frapporre distrazioni oppure è meglio vivere con una persona che ogni giorno ha voglia di re-inventarsi e di mettersi in discussione imbarcandosi in nuove esperienze? Io, nel romanzo, ho cercato di farmi ulteriori interrogativi e mi sono chiesta: cosa succede in una relazione fra una frittata ed un grattacielo? Quali sono le loro dinamiche di coppia? Ma soprattutto: quella fra una frittata e un grattacielo è una relazione possibile?

  • La comunicazione “epistolare” si è rivelata, per il tuo personaggio, un canale fondamentale di espressione e di sfogo nel tuo libro. Spiegaci il perché di questa scelta.

Vorrei poterti dare una risposta piena di solide motivazioni che giustifichino questa scelta. La realtà, invece, è che la forma epistolare era, per me “principiante”, la forma più semplice; e lo è stata ancora di più scegliendo di scrivere nella modalità ad un’unica voce: pochi dialoghi, un unico personaggio principale. Questa opzione mi ha consentito di concentrarmi sul solo personaggio di Mina e di essere liberamente di parte. È un romanzo volutamente e fortemente sbilanciato. Volevo che i lettori, ma in particolar modo le lettrici, riuscissero ad entrare in simbiosi con la protagonista e a sentire quello che lei sentiva mentre scriveva quelle lettere. E le lettere sono, forse, gli scritti in cui tiriamo fuori la parte più intima e vera di noi stessi.

  • Non è semplice per una donna, mettersi a nudo, con le sue fragilità. La protagonista del tuo libro ci riesce, cercando una sorta di riscatto nei confronti di sé stessa e delle innumerevoli occasioni perdute. Pensi che, forse, se non vi fosse stata una precisa situazione, la consapevolezza non sarebbe venuta a galla?

Domanda complessa che meriterebbe una risposta molto articolata… Non so se una precisa situazione possa essere la molla che fa scattare nella donna la decisione di guardarsi allo specchio e di chiedersi che cosa voglia fare della sua vita: a volte, neppure le violenze domestiche riescono a scardinare quei meccanismi mentali con cui siamo state cresciute ed educate e che ci limitano nel nostro modo di essere e di vivere. La società in cui viviamo è difficilissima per le donne; siamo in fondo, perennemente schiave: schiave dell’estetica, del marito, della famiglia, del lavoro, del sesso. In televisione veniamo catalogate e divise in ruoli schizofrenici che si concretizzano, alla fine, in poche categorie fortemente riduttive e svilenti: la fidanzata perfetta, la mamma perfetta, la figa perfetta/oggetto sessuale. Perché? – mi chiedo. Perché permettiamo agli uomini di farci questo? Perché permettiamo a qualcun altro di inserirci in una categoria? E perché dobbiamo accontentarci di rapporti di coppia che ci limitano e che ci prosciugano quando non ci uccidono? Dopo un matrimonio fallito ed un’infelice convivenza di sette anni, la protagonista decide che è arrivato il momento di guardarsi allo specchio: vorrei che tutte le donne si sentissero libere di guardarsi allo specchio; e vorrei che si sentissero libere di romperlo quello specchio, se l’immagine che vi vedono riflessa non piace. Perché quello specchio non lo hanno attaccato loro al muro: lo ha attaccato qualcun altro.

  • Quanto è stata decisiva la solitudine per la figura femminile presente nel tuo romanzo? Cosa la spinge a non accontentarsi più della sua relazione?

Personalmente, credo che sia solo nel silenzio della solitudine che riusciamo a “sentire” noi stessi. A volte manca il coraggio di ascoltarlo, quel silenzio… Perché è, in fondo, un silenzio molto rumoroso, pieno dei nostri pianti di dolore e dei cocci rotti delle nostre aspettative infrante. Mina è coattamente costretta ad ascoltare la sua solitudine; e l’ascolta tutta, fino in fondo. L’ascolta talmente tanto da rendersi conto di essere molto più in compagnia quando è sola con se stessa che in un rapporto di coppia. E non c’è solitudine più dolorosa di quella che scaturisce nel sentirsi soli in una relazione d’amore.

  • Quali difficoltà hai riscontrato nell’addentrarti nei meandri della descrizione degli stati d’animo dei tuoi personaggi?

Per descrivere certe emozioni devi viverle o averle vissute in prima persona. La difficoltà sta nell’andare a ricercare queste emozioni dentro di noi, perché, a volte, può essere molto doloroso andare ad aprire certi cassetti di ricordi di cui pensavamo di aver buttato via la chiave. E ancora più difficile è cercare di trasferire sulla carta queste emozioni in modo non banale, non scontato; soprattutto in un modo che possa coinvolgere il lettore e renderlo partecipe, meglio se simbiotico, con gli stati d’animo dei personaggi.

  • Quanto è importante, in un romanzo come il tuo, l’aspetto psicologico? In quali degli aspetti salienti potrebbe ritrovarsi il lettore?

In un romanzo come il mio credo che l’aspetto psicologico sia fondamentale: in fondo, è un romanzo in cui gli eventi che si verificano sono pochi. È un romanzo intimo che descrive una catarsi: la protagonista si trova a dover gestire una situazione emotiva per la quale non era preparata. Entrare nella mente di Mina, per capire le sue reazioni e le sue scelte, è stata la mia priorità. Se volevo che il lettore comprendesse Mina, le sue fragilità e le sue mancanze, perché la “perdonasse” per la sua arrendevolezza, dovevo descriverne la psiche.

  • L’essere frittate o grattacieli sono prerogative tipicamente maschili e femminili? Oppure possono essere intercambiabili?

Se penso ad un grattacielo, penso a Rita Levi Montalcini, ma anche ad Umberto Eco. Sono intercambiabili certo. Eppure il prezzo più alto per diventare un grattacielo lo paga la donna, molto meno l’uomo. Nel suo libro “Elogio dell’imperfezione” la Montalcini racconta molto bene di come ha dovuto rinunciare ad avere un rapporto stabile e, conseguentemente a una famiglia, per proseguire la sua attività di ricerca: era ben consapevole che i due ruoli, quello di ricercatrice e quello di moglie e madre, non potevano coesistere. Fino a che a una donna non sarà concesso di diventare un grattacielo, senza per questo abbandonare il sogno di avere una famiglia o anche solo un compagno, il nostro pianeta sarà prevalentemente costellato di grattacieli di sesso maschile.

  • Sappiamo che hai uno spirito animalista molto ben radicato, da cosa nasce questo tuo impegno?

Gli animali, come i bambini, non hanno in sé, nel loro essere, la dicotomia bene/male: non è nella loro natura recare sofferenza, cosciente e  volontaria, a un altro essere vivente. L’uomo adulto sì. L’uomo adulto ha la capacità, la volontà e il potere di imporre sofferenze ad altri esseri, siano essi suoi simili o no. Gli animali e i bambini sono coloro che meno possono difendersi dagli atti di violenza dell’uomo adulto: saranno sempre vittime e saranno sempre vittime silenziose. Io non voglio che la mia vita si basi e costruisca sulla sofferenza e sul dolore di un altro essere vivente: la scelta di diventare vegetariana, di non indossare capi in pelle o pellicce, è una scelta puramente etica, è una scelta di coscienza.

  • Quando Margherita non scrive, come occupa il proprio tempo?

Se per tempo intendi quello libero, ti dirò che amo praticare sport, leggere, andare al cinema, cucire. E poi mi piace il tempo speso insieme alle mie amiche del cuore, alle quali sono legata dai tempi del liceo.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sognare è libero e gratuito: possiamo farlo in qualunque momento del giorno e in qualunque luogo, e anche  in qualunque modalità. Allora io lascio la mia mente libera di pensare e sognare in grande. La lascio immaginare la pubblicazione di un mio libro che diventerà un best seller e da cui trarranno la trama di un film.
E poi la lascio libera di sognare una storia d’Amore con la maiuscola, in cui da parte di entrambi i partner vi sia complicità, fiducia, sostegno e intesa. Ma questa è Fantascienza. E io non so scrivere di Fantascienza.

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Le valutazioni per Il fiordaliso spinoso

CoverLab: Le valutazioni per Il fiordaliso spinoso

coverlab fiordaliso

Il nostro secondo esperimento, Il fiordaliso spinoso di Marina Atzori, ha dato risultati persino più positivi del primo e non tanto per il fatto che, avendo messo sotto esame la copertina di un libro scritto da un’autrice conosciuta da molti di noi, le risposte siano state tutte elogianti, quanto perché le persone, che hanno risposto al sondaggio, hanno seriamente espresso il proprio parere, al di là di quello che avrebbe potuto essere il contenuto stesso del libro. La premessa non significa che la cover non sia piaciuta, al contrario, vogliamo solo sottolineare che sono stati fatti degli appunti che ci aiuteranno a migliorare il nostro operato.

Partiamo dunque dalla prima domanda: Cosa ti colpisce della cover? Le opinioni si sono divise equamente fra i colori e l’aspetto totale, anche se qualcuno ha suggerito che il font avrebbe potuto essere diverso e la sagoma, non realistica della subacquea non ha particolarmente entusiasmato.

Il particolare font utilizzato è stato sottolineato anche nella domanda successiva, alcuni lo hanno trovato bizzarro, altri poco convincente. Tuttavia, la maggior parte degli intervenuti ha ritenuto che i colori fossero molto gradevoli e accattivanti, al punto da richiamare comunque l’attenzione sulla cover.

Il titolo forse, ha suscitato qualche perplessità ma anche molta curiosità. In fin dei conti, la curiosità, soprattutto, è l’elemento che dovrebbe portare un potenziale lettore a cercare di comprendere di cosa tratta la storia, quindi, il fatto che possa stuzzicare la fantasia va più che bene. La questione più importante è che poi, leggendolo, il lettore capisca effettivamente il perché di una determinata scelta. E siamo certi che, in questo caso, ogni dubbio e perplessità verrà dipanata nel corso della lettura.

L’ultima domanda ha richiesto una valutazione d’insieme, ovvero se, vista la presentazione, la copertina poteva effettivamente rispecchiare la trama. La maggior parte degli intervenuti ha optato per una risposta positiva e i commenti allegati hanno confermato che, tutto sommato, la copertina, considerati tutti gli aspetti, ha un suo carattere particolare e riesce a trasmettere il genere trattato.

Quindi, i consigli sono stati ancora più preziosi perché hanno dato quel contributo che avevamo richiesto e saremo ancora più felici di sottoporre, alla vostra attenzione, la prossima cover.

 

Intervista a Luca Ranieri

Intervista a Luca Ranieri

Ranieri_EEEPer quanto possa essere un esordiente, Luca Ranieri possiede uno stile di scrittura inconfondibile, un’impronta elegante e raffinata che rende riconoscibili i suoi scritti. Dietro una porta chiusa è il primo libro che pubblica con EEE, tuttavia, fin dalle prime battute il lettore s’immerge nel racconto costruito con la stessa abilità con cui uno scrittore più navigato potrebbe intessere una trama.

Abbiamo avuto modo di conoscerti attraverso le antologie che abbiamo pubblicato, tuttavia, questo libro si “spinge” un po’ più in là rispetto alle trame a cui siamo abituati, scritte da tuo pugno. Lo definiresti più un giallo, un thriller o un horror?

Credo che “Dietro una porta chiusa” ricada più nel genere thriller, benché non ami molto porre etichette. Mi piace tenere un ritmo veloce e scrivere sul confine che separa il reale dal fantastico per suscitare nel lettore la sospensione dell’incredulità. È il terreno su cui preferisco camminare da lettore: quella zona in cui, pur nella consapevolezza di essere immersi in una storia di pura fantasia, ci voltiamo di scatto all’udire di un rumore improvviso.

Il tuo protagonista è un ragazzino di dodici anni. Nella letteratura vi sono diversi esempi eccellenti in cui sono proprio gli adolescenti quelli che meglio riescono a calcare il ruolo primario. Da Charles Dickens a Stephen King, diversi scrittori hanno prediletto questa soluzione lasciando intendere che solo attraverso occhi più giovani la realtà assume le proprie vere forme. Tu cosa ne pensi?

L’adolescenza è per tutti un difficile periodo di transizione. La realtà costruita dagli adulti è poco comprensibile agli occhi ingenui di un ragazzino, e diventa spaventosa qualora vengano a mancare delle figure di riferimento in cui trovare protezione. Andrea è solo al mondo come soltanto un ragazzo della sua età può sentirsi. Non c’è tempo né spazio per lui, tra gli interessi egoistici della madre e l’ondivaghezza della fede in cui cerca conforto alla fine.

Quanto si assomigliano, nella realtà, Andrea (il tuo protagonista) e Luca?

Credo che la personalità di un autore non possa fare a meno di contaminare in una certa misura i suoi personaggi. Il protagonista di “Dietro una porta chiusa” è un ragazzino spaventato e disorientato. La vita l’ha già colpito duramente all’inizio della storia, e il peggio deve ancora venire. Ma è anche dotato di una grande vitalità che gli infonde il coraggio, di cui ha bisogno, per trovare risposte fondamentali.
Parte della personalità dell’autore è in linea con il personaggio? Può darsi, ma questa non è in fondo la storia di tutti noi? Siamo tutti autori coraggiosi delle nostre vite: le scriviamo pagina dopo pagina tra tante difficoltà fino all’ultimo capitolo che irrimediabilmente pone fine alla storia. Siamo tutti eroi, quindi non esistono eroi, e nei miei racconti infatti non ne troverete. Amo parlare di persone normali che vengono catapultate in situazioni anormali. Così è più divertente, no?

Pubblicare in formato digitale è una scelta controversa per molti autori. Pensi che vi siano più possibilità, per un esordiente, di riuscire ad arrivare sul mercato in questo settore? Oppure la carta stampata possiede ancora quel suo fascino incontrastato?

Tutto il patrimonio culturale umano è in corso di digitalizzazione ormai da molti anni. È solo questione di tempo prima che il supporto fisico si estingua. Basta pensare a Wikipedia, allo streaming in alta definizione di musica e film, all’adozione dei tablet a scuola. Tutto ciò consente di ridurre l’investimento iniziale connesso alla distribuzione e, nella maggioranza dei casi, la pubblicazione dell’ebook è l’unica strada percorribile per un autore sconosciuto.
Ritengo che le case editrici si trovino di fronte a una grande sfida in tal senso: spero che dopo un periodo di transizione, dovuto alla novità, riconoscano le loro responsabilità nei confronti dei lettori e non siano tentate dalla pubblicazione indiscriminata di opere spesso non all’altezza. Gli ebook avranno la stessa dignità dei libri cartacei nell’immaginario collettivo soltanto se noi – autori e case editrici – gliela daremo.

Sei arrivato alla scrittura di un libro grazie a qualche autore che ti ha particolarmente colpito? Oppure hai scritto la storia di getto, senza seguire uno stile particolare?

L’autore che mi ispira maggiormente è Stephen King, ma amo anche H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe. Leggo comunque anche numerosi altri autori come Peter Straub, Patricia Cornwell, Glenn Cooper, Giorgio Faletti, solo per citarne alcuni.

Ho iniziato a scrivere racconti ai tempi di scuola. All’epoca non esisteva Facebook e i blog erano appannaggio di giornalisti e personaggi pubblici. Le comunità online erano formate da sparuti gruppi che avevano ben pochi mezzi per entrare in contatto.
Gli aspiranti scrittori potevano comunque proporsi gratuitamente e anonimamente su Usenet, la rete dei gruppi di discussione (newsgroup). È proprio qui che ho iniziato a confrontarmi, raccogliendo i primi frutti di una passione che troppo spesso resta sopita, vuoi per pudore, vuoi perché la vita di tutti i giorni ci obbliga a dedicare la quasi totalità del tempo ad attività “più importanti”, quelle con cui, parliamoci chiaro, ci guadagniamo da vivere.
Dopo anni di pausa, ho pensato fosse il momento di rispolverare la vecchia passione, quell’impeto creativo che mi faceva stare tanto bene durante l’adolescenza. Ho scoperto che funziona ancora e negli ultimi tempi mi sono dedicato alla scrittura di romanzi e racconti.

Fatti strani e incomprensibili possono sempre trovare una spiegazione logica? Oppure può esistere un “territorio” in cui è meglio non entrare? E quanto può essere semplicemente imputabile alla suggestione?

La mente umana cerca sempre delle risposte e quando esse sono al di fuori della sua portata, ricorre alla fede e al soprannaturale. Molto spesso il terreno minato è proprio il subconscio, per cui si tende a proiettare le paure e creare mostri o illusioni che consentano alla natura umana di dissociarsi da una realtà troppo ardua da sopportare. È ciò che accade al piccolo Andrea in “Dietro una porta chiusa”, dove lo spettro è proprio la sua guida verso la verità che tanto teme.

Pur avendo girato il mondo, hai ambientato il tuo romanzo a Roma. Il tuo è un omaggio alla Terra natale oppure una scelta obbligata?

Roma è la città in cui ho vissuto più a lungo e di cui conosco meglio la realtà. La mia storia aveva bisogno di un’ambientazione pervasa da degrado e chiusura mentale, e le periferie romane sono il teatro ideale di certe rappresentazioni. Un consiglio che do a tutti gli scrittori esordienti è quello di scrivere di ciò che si conosce.

Cosa si cela dietro alla tua porta chiusa?

Le paure che affliggono la nostra vita quotidiana di esseri umani moderni e civilizzati. Non c’è bisogno di immaginare fantasmi e mostri feroci per suscitare emozioni forti nel lettore, anche se a volte essi sono protagonisti di una simbologia utile a visualizzare le paure e a proiettarle al di fuori, proprio allo scopo di renderle meno difficili da sopportare.
I nostri fantasmi sono il dubbio dell’inadeguatezza, la paura della solitudine, lo spauracchio del tradimento, il senso di perdita imminente che proviamo in certi frangenti. Cosa c’è, infine, di più spaventoso dell’eterna incertezza in cui le nostre esistenze di esseri mortali sono sospese?
I veri mostri sono quelli che abbiamo dentro: non c’è bisogno di crearli, basta evocarli.

Quando Luca non scrive, come occupa il proprio tempo?

Amo ascoltare la musica (rock e jazz) e fare lunghe camminate. La lettura occupa poi un posto molto importante: leggo tutte le sere fino ad addormentarmi. Nessuno può diventare un buon autore se non è prima un grande lettore.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sono impegnato a tempo pieno con un lavoro molto interessante, che mi fa girare il mondo e conoscere tante realtà diverse. Nel tempo libero continuo a lavorare su un paio di romanzi che spero di pubblicare. Non so se la scrittura occuperà mai un posto anche nella mia vita professionale. Di certo resterà sempre una grande passione.

Swatch non è solo un orologio

Swatch non è solo un orologio ma è anche il titolo di un romanzo sorprendente.

Baraldi_EEEPartiamo dalla trama:

Due ragazzi come tanti, ai giorni d’oggi.
Sullo sfondo, una Bologna giovane e feriale.
Luca ed Allyson vivono intensamente le emozioni della loro età: il sogno di fare carriera nello sport, la fine della scuola e le scelte future, la definizione della propria identità. Assieme alla loro comitiva, assaporano il successo, l’amore, l’amicizia e le ambiguità presenti in ciascuna di queste tre cose, senza riuscire ad immaginare l’asprezza dei passaggi che li attendono.
Improvvisamente, la spensieratezza lascia il posto al disincanto dell’età adulta, e i due si ritrovano sospesi, costretti entrambi, attraverso molte contraddizioni, ad affrontare le loro paure più grandi, che li porteranno ad interrogarsi sul senso delle cose, e ad imparare più di quanto avrebbero mai immaginato sul passare del tempo, sulla felicità, su Dio e, in ultimo, sulla vita.

Bene, come avrete notato la storia racconta la vita di due giovani il cui destino s’intreccia portandoli verso l’essere adulti attraverso diversi “scossoni”… e, fino a qui, non vi è nulla di strano. Il romanzo appartiene alla collana “L’amore ai tempi del web” e rientra perfettamente in quella scelta editoriale in cui parlare di sentimenti non significa semplicemente dipingere cuoricini rosa su tanti fogli di carta. L’amore, come qualsiasi altro sentimento, possiede diverse sfumature, a volte persino contrastanti e drammatiche. Quindi non solo rose ma anche spine, tante, forse troppe, soprattutto quando i protagonisti sono giovani e vivono il nostro quotidiano attuale che presenta diversi ostacoli e difficoltà.

Ebbene, cosa c’è di strano o diverso in tutto questo? Nulla, se non il fatto che a scrivere un bellissimo romanzo, che tratta il tema dell’amore, è un prete: Davide Baraldi, classe 1978, prete dal 2003. Svolge il suo servizio pastorale come parroco nel centro storico di Bologna, insegna teologia presso la Scuola di Formazione Teologica della sua città e ha sempre avuto a cuore soprattutto la formazione dei ragazzi e dei giovani.

Nel corso della sua video intervista, Davide Baraldi spiega il perché di alcune sue scelte stilistiche e le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere sui ragazzi di oggi:

 

 

Nunzio Russo racconta Il Romanzo della Pasta Italiana

Antiche Arti e Mestieri: Nunzio Russo racconta Il Romanzo della Pasta Italiana

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Termini Imerese, 17 novembre 2015.

E’ stata aperta al pubblico la mostra sul tema distrettuale “Antiche arti e mestieri della tradizione siciliana: occasione di sviluppo sociale ed economico“, a cura dei due Lions clubs Termini Himera Cerere e Termini Imerese Host, guidati rispettivamente da Fabio Lo Bono e Giuseppe Canzone, del Leo club Termini Imerese e sotto il patrocinio del comune di Termini Imerese. Nell’incantevole pinacoteca del museo civico “B. Romano”, dopo i saluti del sindaco Salvatore Burrafato, di Fabio Lo Bono (presidente del C.L. Termini Himera Cerere), di Anna Amoroso (secondo vicepresidente del C.L. Termini Imerese Host) e di Nella Viglianti (dirigente scolastico dell’I.I.S.S. G. Ugdulena), sotto la sapiente regia di Francesca Caronna, curatrice della mostra, si sono succeduti vari interventi. 1 (15)Protagonisti i pastifici con il saggio Il Romanzo della Pasta Italiana raccontato dall’autore Nunzio Russo, le OMI Reggiane con il curatore dell’Archivio digitale Reggiane Adriano Riatti, il parco minerario Floristella con lo scrittore Salvatore Trapani, il sistema di panificazione con il delegato di Cefalù per l’Accademia italiana della cucina Nicola Nocilla e, infine, i mestieri tradizionale delle Madonie con Piercalogero D’Anna. 1 (12)Interessanti, inoltre, le schede sugli antichi mestieri e l’intervista ad anziani lavoratori interpreti di tradizioni locali, entrambe realizzate dagli studenti del liceo classico “G. Ugdulena” di Termini Imerese, oltre alle puntuali riflessioni sul tema del PDG Franco Amodeo.

La mostra, che sarà visitabile fino al 6 gennaio 2016, ospita documenti e testimonianze degli antichi pastifici termitani, oltre ad elaborati artistici e di disegno geometrico degli studenti del liceo artistico “G.Ugdulena” di Termini Imerese. L’incontro di tante professionalità e realtà socio-culturali ha rappresentato un momento di riflessione sul tema distrettuale e l’inizio di ulteriori percorsi di approfondimento con gli studenti.

Daniela Vasarri al Premio Letterario Amarganta

Daniela Vasarri si aggiudica il terzo posto al Premio Letterario Amarganta

scrittura creativa

Il Premio Letterario Amarganta, patrocinato dal Comune di Rieti, nasce nel 2015 con l’intento di arricchire l’offerta culturale proposta dall’associazione culturale Amarganta a partire dal settembre 2013. Scopo dell’iniziativa è promuovere la letteratura edita digitale, puntando sulla qualità e l’originalità delle opere. La premiazione avverrà sabato 28 novembre alle 16.00 a Rieti, Biblioteca Paroniana (Via San Pietro Martire 28).

amargantaE alla premiazione sarà presente anche la nostra Daniela Vasarri che è arrivata terza con il testo intitolato “Guarda avanti“. Queste le motivazioni della Giuria:

La testimonianza di un vissuto tutt’altro che semplice e insieme il dono prezioso di una madre al proprio figlio. Il tutto condito da emozioni e sensazioni forti che lasciano il segno. Ottima la scelta linguistica.

Il rapporto con i figli è un tema molto sentito da Daniela e lo esprime egregiamente anche nel libro Maeva, la benvenuta, pubblicato proprio con Edizioni Esordienti Ebook. Non sorprende, quindi, che abbia saputo proporre un testo in grado di colpire la fantasia e la sensibilità dei giudici. Inoltre, conoscendo l’autrice, avrà saputo conquistare i loro cuori con argomenti facilmente condivisibili da ogni essere umano.  Per noi, il fatto che sia arrivata terza rappresenta comunque un ottimo risultato dato da una scrittrice che sa descrivere sentimenti molto intimi e personali, circoscritti nella sfera famigliare.

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Le valutazioni per Crepuscoli di luce

CoverLAB: le valutazioni per Crepuscoli di luce

coverlab crepuscoliLa nostra prima cover, messa sotto osservazione, è stata quella di Crepuscoli di luce di Andrea Leonelli. Vediamo, quindi, come vi siete espressi e quali sono stati i vostri suggerimenti in merito.

La prima domanda era riferita a quelle che potevano essere le sensazioni visive in merito all’impatto iniziale. La maggioranza ha apprezzato la foto e l’aspetto totale. I commenti inseriti hanno stabilito che il titolo e l’immagine interagiscono in modo sinergico, rafforzando l’idea del contenuto.

Così come risultano perfetti i colori e il tipo di font che sono stati analizzati nella seconda domanda. Un unico appunto è stato fatto alla grandezza del titolo che, forse, avrebbe potuto essere più piccolo. Quindi, nel suo insieme, sia l’effetto cromatico che la titolazione hanno riscontrato un ottimo successo.

Per quel che riguarda il titolo, Crepuscoli di luce, la maggioranza ha stabilito che fosse quello più idoneo e rappresentativo. Un unico intervistato ha preferito la risposta “non mi dice niente” e dai vari commenti che sono arrivati si evince che, tutto sommato, la scelta delle parole è stata quella giusta per rappresentare una silloge poetica.

Nell’ultima domanda abbiamo cercato di capire se la copertina poteva dare effettivamente l’idea del contenuto e la maggioranza ha risposto di sì. Solo qualcuno ha espresso qualche lieve perplessità. Tuttavia, il gran numero di risposte positive tendono a far pensare che abbiamo fatto un buon lavoro e che la silloge di Andrea possieda, in effetti, tutte le caratteristiche necessarie per essere gradita dal pubblico.

Il nostro esperimento ha decisamente funzionato e ogni consiglio è stato davvero prezioso, perché solo con il parere di chi poi sarà il reale fruitore delle nostre pubblicazioni, possiamo migliorare e creare dei libri piacevoli anche da un punto di vista visivo. Vi ringraziamo per la collaborazione e speriamo che vorrete partecipare anche al prossimo CoverLAB.