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La pavoncella di Emanuele Gagliardi

Nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 muore Pier Paolo Pasolini. Morte violenta, squallida… “pasoliniana” a tutti gli effetti. Pino Pelosi, il “ragazzo di vita” che lo ha massacrato a legnate e gli ha rubato l’auto con cui lo ha investito già esanime, catturato poco dopo, confessa. la pavoncellaBenché vi siano incongruenze, parecchie incongruenze, l’idea dell’assassinio maturato nell’ambiente della prostituzione omosessuale soddisfa i media e l’opinione pubblica. Ma fra gli intellettuali, come nelle forze dell’ordine, molti non sono convinti. Circola un’inquietante ipotesi che collegherebbe la fine di Pasolini alle “lotte di potere” all’interno del settore petrolchimico, tra ENI e Montedison, tra Enrico Mattei (morto nel ’62 in circostanze non meno dubbie) ed il suo vice Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si era interessato al ruolo di Cefis nella storia e nella politica italiana facendone uno dei personaggi chiave del misterioso romanzo-inchiesta a cui stava lavorando prima della morte. Così, quando in seguito, a distanza di una settimana l’uno dall’altro, vengono trovati i cadaveri seminudi di due alti dirigenti dell’ENI e spuntano le copie ciclostilate degli appunti di Pasolini con i nomi di maggiorenti della DC e dell’ENI legati alle vicende dello stragismo italiano, un brivido scuote parecchie schiene nei palazzi del potere. Oltre alla pista politica, però, altre sono possibili, e recano l’impronta di due donne: Santina Martino, ammaliante pittrice e ballerina di danze orientali che usa la sua avvenenza per irretire e spillar soldi a facoltosi manager e Luana Dabrowska, moglie del Prefetto di Roma, dirigente all’ENI come i due morti, algida carrierista; una donna dal passato oscuro le cui origini si perdono nella tragedia della repressione nazista nel ghetto di Varsavia. Due sirene… che renderanno a Soccodato molto difficile dipanare l’intricata matassa.

Il piede sopra il cuore di Mario Nejrotti

il piede sopra il cuoreSicilia, 1943: mentre gli Alleati sbarcano in Sicilia, la mafia si prepara ad essere protagonista dei nuovi scenari politici del dopoguerra collaborando con gli americani e cercando di insediare i suoi uomini ai posti di potere, mentre cerca di trarre ancora tutti i guadagni possibili dalla borsa nera e dalle connivenze con il fascismo, che ormai sferra gli ultimi colpi di coda. Le persone integre, quelle che rifiutano la collusione, vengono eliminate senza pietà: è il caso del professor Di Salvo, che muore in un attentato in cui è sterminata anche la sua famiglia. Per un caso fortuito, si salverà soltanto il piccolo Santino, che resta solo al mondo. Ma un personaggio molto singolare entrerà in gioco per prendersi cura di lui. Questo romanzo, dove è protagonista la “piccola storia” quotidiana delle persone, che scorre a fianco della Grande Storia, conduce anche a una riflessione più intima e profonda sul significato della libertà, della responsabilità, della giustizia, della comprensione e, in definitiva, della difficoltà e della grandezza di essere uomini.

Il Longobardo – Terra di conquista di Andrea Ravel

Anno Domini 773. Carlo Magno valica le Alpi alla testa di un imponente esercito e in poche settimane cancella il regno longobardo dalle carte geografiche.
Il LongobardoDopo duecento anni di pace l’Italia si trasforma nuovamente in un campo di battaglia dove ognuno deve scegliere da che parte schierarsi. Un dilemma che angoscia anche Claudio, giovanissimo discendente dell’antica e potente famiglia dei Ravello. La sua decisione è resa ancora più difficile dall’improvvisa morte del padre e dalla cospirazione, ordita dai suoi nemici, per ucciderlo e impadronirsi di tutti i beni della famiglia.
Mentre il rombo della cavalleria franca risuona nella pianura devastata dalla guerra, Claudio, aiutato dal fedele amico Mistico e da un pugno di coraggiosi, ingaggia una disperata lotta contro avversari astuti e spietati, compiendo il percorso di maturazione che lo trasformerà in un uomo.
Terra di Conquista è un romanzo dal taglio cinematografico e ricco di dialoghi, nel quale la storia è filtrata attraverso gli occhi del protagonista, che racconta in prima persona. Il risultato è un affresco straordinariamente accurato di un’epoca violenta e remota in cui la cultura di Roma, nonostante l’imporsi della barbarie, non è del tutto spenta, ma sopravvive oltre che nell’orgoglio di Claudio, anche nella forza unificante della lingua latina e della religione cristiana.
Teatro di questa avventura sono la città di Torino, allora sede di un importante ducato, i contrafforti delle Alpi e le paludi e i boschi che all’epoca occupavano gran parte della valle del Po.

C’era una volta in Sardegna di Giancarlo Ibba

Qualcuno ha scritto: se il terrore potesse avere una voce, parlerebbe sardo. Ibba_EEEEbbene, C’era una volta in Sardegna risuona di accenti che trasportano il lettore all’interno dell’isola, direttamente nelle atmosfere sconcertanti che il libro propone. Cosa accade a Solus? E che significato ha la lettera che viene recapitata al protagonista, costringendolo a tornare al paese natio? Ogni episodio crea quel perfetto tassello che, come un puzzle, ricompone la storia, offrendo un quadro che nessuno avrebbe potuto immaginare, se non le vittime e i carnefici. Eppure, nemmeno le vittime, o gli stessi carnefici, avrebbero potuto organizzare una tragedia di così ampia portata. Solus non è quello che sembra e i suoi abitanti nascondono segreti che sarebbe meglio non scoprire. Il vero volto dell’orrore ha spesso connotazioni familiari, fattezze che potremmo riconoscere in chiunque. I morti parlano, la loro voce risuona fra le fronde degli eucalipti, strisciando fra l’erba, oppure intorno ai megaliti di Perdas Fittas. Il destino è sempre in agguato e sceglie le proprie prede con una cura quasi maniacale. E nessuno può considerarsi veramente al sicuro. Giancarlo Ibba tratteggia la storia con quelle pennellate noir che appartengono ai veri maestri dell’horror e lo fa con una tale naturalezza da costringere il lettore a vivere la trama. Solus diventerà anche la vostra dimora… e anche voi sarete catapultati nel profondo Sulcis, arrivando a dire:
“C’è qualcosa che non va, qui”.

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