Assetati di lettura: “Un racconto in bottiglia”!

Torino, Libreria A-Zeta: per gli “Assetati di lettura”, “Un racconto in bottiglia”!

 assetati di lettura

La libreria A-Zeta di Torino e lo scrittore Mario Nejrotti hanno inventato un’iniziativa originale per promuovere la lettura.

Da lunedì 26 gennaio 2015 chi acquista un libro all’A-Zeta, in via Saluzzo 44 a Torino riceve una bottiglia d’acqua minerale con un contenuto particolare.

Mario Nejrotti, medico scrittore di Torino, che ha pubblicato con Edizioni Esordienti Ebook due romanzi, ha deciso di regalare ai clienti della libreria alcuni suoi racconti, racchiusi uno per uno, come messaggi, in bottiglie di acqua minerale.

“Ho scelto dieci racconti tra quelli che ho scritto e un romanzo breve e ho deciso di offrirli ai lettori in questa iniziativa per dare un piccolo contributo alla promozione della lettura.”
Ci dice Mario Nejrotti.

Le bottiglie con il logo della libreria e quelli dell’iniziativa sono ben in vista sul bancone e la Signora Clementina, infaticabile animatrice della sua libreria, lascia che i clienti peschino in un cesto la bottiglia che preferiscono, per dir loro poi il titolo del racconto scelto, cosicché i più assidui possano farne una raccolta completa.
“Chi raccoglie almeno sei racconti, può avere in premio il mio romanzo breve dal titolo: Quello che è fatto, è fatto!”.
“Ma come mai regalare i suoi racconti, lei ha già pubblicato, perché non continuare?”
“I racconti, secondo me, sono una espressione letteraria molto più fruibile del romanzo, specie con i ritmi caotici della nostra vita di tutti i giorni, perché permettono di spezzare la lettura, ma di renderla nello stesso tempo compiuta. Sono anche certo che stimolino a leggere e ad avventurarsi sul terreno più complesso del romanzo.”

Quindi sono perfetti per l’iniziativa della Libreria A-Zeta, che ha come sotto slogan “Se compri un libro… ti offro da leggere!”.

“Lei ha pubblicato due romanzi, il primo di carattere giallo poliziesco dal titolo: “Fino all’ultima bugia.” e il secondo dal titolo: “Il piede sopra il cuore” di carattere storico fantastico, che si trovano all’A-Zeta e su Amazon e negli altri store della rete, spera che questa iniziativa promuova anche i suoi romanzi?”
“Naturalmente, la difficoltà più grossa per gli scrittori esordienti è farsi conoscere dal pubblico e dagli editori, spero che la gente giudichi con favore i miei racconti e sia invogliata a conoscermi meglio attraverso i miei romanzi.”

Quindi “Assetati di lettura” di ogni genere siete avvisati: alla libreria A-Zeta, in via Saluzzo 44 a Torino “Se comprate un libro… vi offrono da leggere” Nejrotti, uno scrittore che potrebbe sorprendervi…

La doppia vita di una copertina

Storia della copertina di “La sartoria di Matilde

la sartoria di Matilda

La copertina del libro “La sartoria di Matilde” ha una storia unica. Osservando la donna che fila la lana davanti al camino in un ambiente rustico, si ha l’impressione di tornare in un mondo antico che non c’è più. Una copertina insolita e originale che non avevo scelto io e fu per me una sorpresa. In realtà quel libro mi riservò numerose sorprese perché era il mio primo romanzo.

Scrissi il testo di nascosto, su una vecchia macchina da scrivere, quasi vivendo le storie delle due protagoniste così diverse d’età e di temperamento: una cicciona e depressa, l’altra vecchia e arzilla che stava perdendo la vista. Volevo mettere due generazioni a confronto e anche due modi diversi di pensare e vivere. Avevo realizzato un piccolo progetto con il quale proseguire con il lavoro, ma quando mi lanciai nell’impresa non sapevo se sarei giunta fino alla fine. Lavoravo alla stesura di notte o quando ero sola in casa, poi coprivo tutti i fogli che lasciavo sul tavolo della sala da pranzo. Né amici né parenti dovevano conoscere il mio segreto, temevo che i loro giudizi mi bloccassero in qualche modo ed io prima volevo mettermi alla prova senza condizionamenti. Tuttavia quando giunsi alla fine dell’opera, mantenni il segreto, prima desideravo conoscere il parere di qualche esperto, e decisi di partecipare a un premio letterario, trovando il bando di un concorso di una casa editrice fiorentina.
Quando ricevetti la proposta di pubblicazione dell’opera, superando la prova del concorso, ero così emozionata che mi decisi a svelare il segreto in famiglia, notando lo stupore di tutti. Non sembrava vero neanche a me di aver raggiunto quel traguardo e amici e parenti appresero la notizia con gioia.

Mio cognato Roberto, solitamente riflessivo, prima di esprimersi mi chiese di cosa si trattasse. Ascoltò la storia delle due protagoniste e continuò a non dare giudizi. Non si sbilanciava mai, lo sapevo benissimo. Infatti, mi chiese solo di leggere il manoscritto. Gli affidai quel lavoro scritto sulla vecchia Olivetti degli anni trenta. Era la macchina da scrivere appartenuta a mia zia, prima che cominciasse a lavorare all’ufficio postale.
Quella macchina era come lei, datata ma efficiente, ci avevo giocato quando ero bambina, trovandola tra gli oggetti messi da parte in soffitta, e ora che ero una donna sposata, con un bambino, mi veniva in aiuto per raccontare una storia che viveva nella mia mente e dovevo mettere alla luce su dei fogli di carta.
Roberto continuò a leggere in disparte e quando andò via, mi chiese di portare il manoscritto con sé per terminare la lettura. Non ebbi il coraggio di chiedere nulla, né lui disse qualcosa. Era un uomo di poche parole, difficilmente si sbilanciava, lasciando trapelare i suoi pensieri. Lui che era discreto e sensibile ma rigoroso in tutto, riguardo alla scrittura era il giudice più severo.
Roberto, che era Ufficiale Pilota dell’aeronautica, con sua moglie aveva una vita piuttosto movimentata, oltre a vivere in una città diversa dalla mia. Quando mi riportò il manoscritto, mi disse che era interessante. Non andò oltre, ma il suo sorriso sincero indicava che gli era piaciuto, avevo superato l’esame.

In estate, quando Roberto e famiglia ritornarono, ebbi in dono un pacco molto particolare, aprii e mi ritrovai tra le mani dieci libri che lui aveva fatto stampare con questa copertina così originale. Si trattava della riproduzione dell’opera “Quanne Bert Felàve” (Quando Berta Filava) dell’autore pugliese Michele Colacicco.
In quel momento non posso descrive l’emozione di avere tra le mani il mio primo libro fatto stampare da mio cognato. Fu un dono prezioso, quella era la prima stampa del libro che a mio cognato era piaciuto moltissimo, dimostrandolo con quel gesto affettuoso.
Quando uscì il libro nell’inverno del 2000, la casa editrice Firenze Libri scelse una copertina diversa, bella, ma non insolita come la prima.
Questo libro poi fu ammesso nel catalogo Danae che vende online e dove ho avuto la fortuna di conoscere Piera Rossotti.
Piera, che oggi è l’editore della EEEEdizioni Esordienti Ebook, nel 2012 mi propose una nuova pubblicazione del mio primo romanzo.
Allora ho potuto chiedere di inserire la copertina scelta da Roberto non solo perché la trovo bella e originale per rappresentare in maniera egregia il libro. È stato un modo per ricordare Roberto ora che non c’è più, lui che, scherzando, chiamavo il mio primo editore.

Chiara Curione

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Quattro chiacchiere con Andrea Leonelli

INTERVISTA di Marina Atzori

Crepuscoli di luce

OPERE LETTE:

“La selezione colpevole”, “Consumando i giorni con sguardi diversi” e “Crepuscoli di luce”

  1.  Buon giorno Andrea, dalle tue opere emerge sofferenza e un chiaro invito a essere scrutato dentro da parte del lettore, dove hai trovato il coraggio di metterti sotto torchio in modo così nudo ed esaustivo?

Tutto è nato dall’infarto a cui sono scampato. Mi ha fatto capire quanto poco ci voglia a passare dall’avere “tutto il tempo del mondo” al “non farò più…”, quindi ho deciso che se volevo lasciare qualcosa a questo mondo, dovevo cominciare a muovermi. Ho pensato che scrivere avrebbe potuto essere un modo per incidere una traccia tangibile del mio passaggio in questa vita. Si vive nei ricordi degli altri, dicono, nei pensieri di chi ti ha voluto bene. Anche se, dopo che uno se n’è andato, quello che resta diventa molto effimero. Non so quale sia il motivo che, ancora, mi spinge a volere imprimere una testimonianza di me stesso, ma sento che lo devo fare. Ho sempre amato i libri e credo che la mia sia stata la scelta migliore che potevo fare, vista la situazione. Siamo tutti nudi di fronte a noi stessi, il coraggio di esserlo davanti agli altri serve solo a far capire che tipo di persone siamo. Altrimenti siamo solo attori su un palco.

  1. Cosa ha fatto scaturire la tua passione per la scrittura?

Probabilmente la mia passione per la lettura. Chi legge molto inevitabilmente, prima o poi, sente il desiderio di cimentarsi nell’arduo compito dello scrivere. Che poi realizzi o meno il desiderio e fino a che punto, questo è un altro paio di maniche. Ci sono scritti che restano per sempre sepolti nei cassetti, senza mai uscirne, e scrittori che lo sono solo a livello potenziale, dato che nessuno saprà mai che hanno scritto qualcosa.

  1. Perché hai scelto una strada complessa come quella della silloge poetica?

Perché la poesia è la forma espressiva in cui mi trovo più a mio agio. Questa soluzione alla fine è stata quasi obbligata. Mi piace il modo in cui si può giocare con le parole e i simboli, all’interno degli scarni spazi della poesia. Scarni inteso per come io intendo l’arte poetica. L’armonia della poesia è nelle sensazioni che può suscitare e non tanto nel dipingere le emozioni. Nella poesia bisogna “far sentire”, nella prosa descrivere.

  1. Parliamo dei titoli, anche loro ti rappresentano in maniera esaustiva: “La selezione colpevole”, “Consumare i giorni con sguardi diversi” e “Crepuscoli di luce”. Sembra quasi che, tra un’ Opera e l’altra, ti sia trovato a un bivio. Se è effettivamente così, raccontaci la tua “evoluzione emotiva”.

la selezione colpevoleLa mia evoluzione emotiva ha seguito il sentiero tracciato dalla mia evoluzione personale, o viceversa, oppure sono andate di pari passo assieme. Sta di fatto che, ha un certo punto della mia vita, ho deciso di dare una svolta. Ho imboccato una delle strade del bivio che mi si è presentato davanti. Sono uscito da una situazione in cui non stavo vivendo, ma solo sopravvivendo, e ho riaperto gli orizzonti della mia vita con una nuova consapevolezza di me e di cosa potevo fare. Ho incontrato persone positive in questo percorso e le ringrazio di essersi trovate al posto giusto nel momento giusto.

  1. Ti prestiamo la lampada di Aladino per un giorno. Quale desiderio vorresti realizzare con tutto te stesso?

Uno solo? Non tre? Delusione… Se è uno solo allora, con tutto me stesso, vorrei un po’ di serenità da vivere vicino alle persone che amo, ogni giorno.

  1. Quale accezione ha il dolore per Andrea Leonelli uomo?

Il dolore non ha una sola accezione. Esistono troppi dolori diversi. E ogni dolore è un evento unico, anche se si protrae per tempi diversi. Il dolore ha la capacità di far dilatare il tempo: puoi stare così male da vivere vite intere in brevissimi istanti. L’unica verità che si può dire sul dolore che esso è personale e ognuno lo vive a modo proprio, in base alla propria sensibilità. Per quanto possa una pena essere condivisa, nessuno la proverà mai nello stesso modo in cui la sente qualcun altro.

  1. Hai a disposizione un’intervista su un giornale importante, pochissime righe per descrivere il tuo carattere.

Il mio carattere? Pessimo! Sono capace di andare da un estremo a un altro, non sto mai fermo. Sono permaloso, anche se cerco di controllarmi, rancoroso e pigro. Però so anche essere dolce, premuroso e generoso. Cerco di lasciare agli altri i loro spazi e so anche essere umile, ma senza essere troppo sottomesso.

  1. Esiste qualcosa che potrebbe farti rinunciare a scrivere?

Forse l’amputazione delle mani… Ma più probabilmente dovrebbero anche lobotomizzarmi per farmi smettere di pensare. Poi, mai dire mai. Chissà che un giorno non decida di appendere le idee al chiodo e la pianti di imbrattare carte e monitor.

  1. Quali colori sceglieresti per dipingere il quadro della tua vita?

consumando i giorniDirei bianco, nero, rosso. Sono abbastanza per gli estremi, ma siccome sono anche una persona contraddittoria, direi che potrei usare anche i chiaroscuri, mantenendomi solo sul grigio.

  1. È previsto che ti possa cimentare in altri generi, o la poesia è diventata una compagna irrinunciabile per i tuoi scritti?

È previsto e in effetti ho già in corso uno scritto non poetico. Inoltre, ho scritto diversi racconti che sono stati pubblicati. Però, ho una certa difficoltà a realizzare scritti di una certa lunghezza. Mi esprimo bene nel breve, ma sulla “lunga distanza” ho la tendenza a perdermi in discorsi circonvoluti e, come dice la mia crudelissima editor, parecchio arzigogolati, usando gli incisi come fossero i versi di una poesia. Per fortuna ho una editor severissima che mi bacchetta tutte le volte che serve.

  1. Se dovessi convincere un esordiente a credere in se stesso e in quello che scrive, quali parole useresti?

Dato che immagino di parlare ad altri colleghi esordienti, direi che la cosa più importante è essere consapevoli delle proprie capacità e dei propri limiti e “lavorare” soprattutto su quelli. Mai prendersi troppo sul serio, secondo me c’è anche bisogno di “ridersi addosso”, di mantenere le giuste prospettive. Poi aiuta molto avere dei beta reader estremamente critici. Essere aperti al nuovo e avere il coraggio di rischiare senza diventare incoscienti. Se avete dei dubbi, chiedete! Sempre! Quando avete finito il vostro libro, fatelo leggere ad altri, non riuscireste a vedere i vostri errori. Mai farsi abbattere dai momenti di sconforto, ma usateli per scrivere in modo diverso. Soprattutto essere sempre sorridenti, tanto anche se ve la prendete non cambierà di una virgola ciò che è già successo.

  1. Ti chiediamo una classifica breve e concisa di almeno tre cose che un esordiente non dovrebbe mai fare.

Primo: mai smettere di scrivere.
Secondo: mai evitare i confronti costruttivi e mai smettere di ascoltare le opinioni altrui.
Terzo: mai credersi “arrivato”.
Poi ce ne sarebbero molte altre di cose da NON fare, ma diventerebbe una lista troppo lunga…

Concorsi: poeticamente d’obbligo.

Perché è importante per un poeta partecipare ai concorsi

poesie

Per un poeta, partecipare a dei concorsi, e ottenere dei riconoscimenti, è un modo quasi indispensabile per far conoscere il proprio nome, oltre che la propria opera, in un ambito piuttosto chiuso e spesso elitario. La questione, ormai annosa, che verte sul fatto che la “poesia” non vende purtroppo è vera. E non tanto per il fatto che vi siano poeti contemporanei incapaci di trasmettere emozioni e di condividere stati d’animo, quanto per il fatto che i lettori, amanti del genere, non sono tanti e quei pochi sono spesso ancorati a dei preconcetti. Quindi, la via più concreta, che possa dare risalto a questa forma d’arte, passa immancabilmente attraverso i concorsi.
Tuttavia, ci sono concorsi a cui si partecipa solo per rendere noto il proprio nome in circoli ristretti, in cui l’essere poeta è ancora sinonimo di intellettualismo spinto ed esclusivista, altri per i premi che vengono conferiti, altri ancora solo per la fama che hanno (e che ovviamente danno). Dunque, a più concorsi si partecipa più il nome del poeta, in un modo o nell’altro, gira. È’ un’escamotage a cui si ricorre, forzosamente, per uscire dall’anonimato.
Ma, e c’è un sempre un ma, bisogna selezionare i concorsi a cui iscriversi e partecipare. Ce ne sono alcuni a cui è quasi doveroso partecipare e altri completamente inutili, mal organizzati se non addirittura privi di trasparenza o palesemente truffaldini (un articolo esauriente lo potete leggere QUI).
Se avete dubbi su un concorso, quindi, chiedete pareri sui gruppi, sui social e a colleghi poeti che vi hanno già partecipato ma, soprattutto, spulciatevi bene i siti o i blog di chi organizza il concorso: spesso la serietà dell’evento si evince proprio da come viene presentato il bando e da come è impostato.
Altra cosa di cui tenere debito conto sono, appunto, i bandi.
Devono essere CHIARI. Un bando fumoso è spesso sintomo di poca esperienza da parte di chi organizza o di improvvisazione. Nello stesso devono essere ben specificati i termini di presentazione, le modalità di invio e le eventuali richieste di contributo, le finalità, i premi, i termini contrattuali in caso di pubblicazione, nonché l’Editore. Deve essere specificata una modalità (telefono o email) per contattare l’organizzazione e quindi poter avere delle informazioni o poter chiarire dei dubbi. La mancanza di un contatto non è un buon punto di partenza e denota la scarsa attitudine alla collaborazione da parte dell’organizzazione. La questione non è irrilevante, un concorso con pochi partecipanti è destinato a fallire, quindi una predisposizione al dialogo aiuta. I concorsi possono anche essere a pagamento, ma ci deve essere equità fra le spese e i premi attribuiti. Infine, se intendete partecipare a quei concorsi in cui si fa ricorso alle “votazioni popolari”, fate attenzione al fine che viene proposto e a chi organizza tale evento. Il pericolo è sempre in agguato (l’approfondimento di questo argomento è QUI).
Detto questo, ecco un elenco dei siti su cui potrete trovare concorsi di ogni tipo:

Melodramma nostrano

Il melodramma ai tempi dei leggings

il melodramma

Può ancora esistere il melodramma? La ricerca del “veramente vero amore”, l’amore romantico, idealizzato e l’impossibile passione irrisolta hanno ancora senso ai giorni nostri, “ai tempi dei leggings”? Il nuovo soggetto del melodramma odierno potrebbe forse essere l’amore gay? Tutto sommato, però, non c’è differenza tra l’amore gay (o, per maggiore completezza, LGBT) e l’amore etero: in entrambi i casi, l’amore è sempre il frutto di svariate ginocchiate sulle gengive che taluni poeti sogliono chiamare esperienze.
Questa, almeno, è la convinzione di Alessandra, una ragazza under 30 che vive a Ragusa, nella Sicilia profonda, “magico mondo fatato in cui tutti e tutto possono diventare quello che vogliono non grazie, ma nonostante le proprie caratteristiche e quindi un cane può diventare un attore, un atleta può diventare un invalido al 100%, un analfabeta diventare giornalista, un criminale politico, un’area archeologica area edificabile”.
Alessandra ha la fortuna di aver trovato lavoro come commessa in una libreria, anche se non la entusiasma vendere i libri di Fabio Volo e di altri autori di similare, notevole livello culturale, ma è alla disperata ricerca di un’anima gemella, del “veramente vero amore”, di una ragazza che possa diventare la sua compagna. L’amore della sua vita, però, quello eterno e irrinunciabile, è soprattutto l’amore per la sua dignità.
Per questo, nonostante l’iniziale scetticismo, accetta di far parte della lista di donne Indignate per Ragusa, che si presenta alle elezioni amministrative della città, pensando di poter in qualche modo incidere sulla vita della comunità. Intanto, si innamora di Fiorenza. E impara che la vita è un percorso a ostacoli fatto di lacerazioni, ma anche di equilibri conquistati giorno per giorno, di sofferenze evitabili e di altre inevitabili.
Romanzo satirico, dalla scrittura brillante e graffiante, questo secondo romanzo di Ester Nobile mette in scena un vivido spaccato di vita dei giovani nella realtà siciliana di oggi, la voglia di non accettare una realtà che li sta schiacciando, uno sguardo critico prima di tutto su di sé, la rivendicazione a voce alta del proprio diritto a vivere e ad amare.

Biografia dell’Autore:

Ester Nobile nasce a Brescia il 5 marzo del 1985. Le piacerebbe dire che è nata lo stesso giorno di Pier Paolo Pasolini, ma i suoi avvocati glielo sconsigliano perché rischia la denuncia per diffamazione e calunnia da parte degli eredi.
A tre anni si è trasferita da Brescia a Catania; a sei da Catania a Ragusa, luogo dove ebbe a crescere e a deprimere fino ai diciotto. Raggiunta la maggiore età ha deciso che era ora di vivere esattamente come i suoi miti letterari e si è messa a vivere in quanti più posti possibili: Roma, Bologna, il Belgio, gli Stati Uniti. Poi quando ha finito i soldi è tornata a Ragusa, perché tutto sommato tra i luoghi in cui è stata è quello dove deprimersi le costa esponenzialmente di meno.
Prima di Cafonal natalizio, che idealmente precede Il melodramma ai tempi dei leggings, non ha mai pubblicato nulla, né ha mai vinto una beneamata ceppa. Difatti si è sempre scocciata di partecipare ai vari concorsi letterari, dato che non ha ancora capito come cavolo si fa a raccontare qualcosa in 4000 battiture spazi compresi. Soprattutto non ha capito come diavolo si fa a realizzare un bel racconto avendo come tema la parola orologio o balaustra.
Le piacerebbe anche tantissimo dire che il suo stile è fortemente influenzato dal contributo di importanti scrittori come Nadine Gordimer, Doris Lessing, Ernest Hemingway, George Orwell. Invece sarà onesta e dirà la verità. Se ha finalmente imparato a scrivere qualcosa che non facesse più venire solo la voglia di gettare una secchiata di acido muriatico in faccia al vicino di casa, è grazie ad una misconosciuta quanto geniale fumettista americana, Miriam Engelberg.

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Africa di Lory Cocconcelli

Riflessioni sul libro Africa di Lory Cocconcelli

Africa di Lory CocconcelliNel saggio di Lory Cocconcelli, dal titolo Africa, vengono affrontati e illustrati nei dettagli i molti aspetti di una parte della cultura del continente africano, soprattutto per quanto riguarda la zona subsahariana.
Nello specifico, vengono affrontate quelle situazioni della vita quotidiana che riguardano aspetti religioso-magici degli abitanti della zona. Vengono spiegati in dettaglio, anche con esempi, le varie forme religiose soprattutto quella animista che in quella specifica porzione di Africa è resistita all’avvento delle religioni cristiane e musulmane che, almeno a livello ufficiale, sono le religioni predominanti.
Infatti la religione animista ha molti aspetti legati alla magia, non intesa nel senso illusionistico occidentale, piuttosto vissuta come quella parte mistica e spirituale che, con l’utilizzo delle energie naturali e del mondo invisibile, affronta il vivere quotidiano.
L’animismo, infatti, attribuisce capacità, energia e funzioni a ogni aspetto della natura, persone, animali, vegetali e oggetti, che possono essere utilizzate, sia a beneficio che a detrimento, da coloro che hanno il potere di interagire con le energie che da essa scaturiscono. L’animismo stesso è stato per lungo tempo considerato una religione immatura da antropologi ed etnologi (fino a pochi anni fa), mentre essa, oltre ad avere origini antichissime, è anche estremamente complessa e dettagliata nelle molti versioni presenti in diversi contesti geografici.

In questo saggio vengono dettagliatamente illustrati i personaggi principali incaricati delle varie forme di divinazione e di azione magico-religioso-spirituale, chi sono e quali sono le loro peculiarità e i loro campi d’azione. Interessante la figura del feticheurs che non è assolutamente da intendersi nella valenza della traduzione letterale del termine che viene attribuita dal mondo occidentale, ovvero feticista, ma è tutt’altro tipo di agente nel mondo spiritualistico. Infatti egli è colui che utilizza il feticcio, il quale diviene sia rappresentazione che personificazione, oltre che tramite di comunicazione, di colui che da al feticheurs il potere di agire, utilizzando le energie naturali secondo quando gli viene richiesto dal “cliente”.
Moltissimi altri aspetti interessanti sono trattati con cura e sono molte le curiosità su come sono organizzati e interagiscono fra loro i vari attori spirituali, su come esplicano le loro funzioni e su tutti quegli aspetti in cui vita quotidiana, magia e religione diventino un tutt’uno in questo, ancora misterioso e sconosciuto, continente che è l’Africa. Tutti aspetti che noi occidentali non conosciamo e, probabilmente, non riusciamo non solo a capire ma nemmeno a immaginare.

Il libro, scritto con un linguaggio semplice e comprensibile da tutti, oltre ad arricchire chi lo legge di nuove nozioni, non manca di stimolare riflessioni su quanto diverse siano fra loro le culture che abitano questo pianeta e quanto misconosciuto, ai più, possa essere il modo di intendere il lato spirituale dell’esistenza; su quanto vario possa essere il mondo in cui viviamo e in quanti modi diversi un animale o un oggetto possano essere intesi. La cultura occidentale, per quanto debba le proprie radici proprio al continente africano, è maturata in un contesto storico e sociale totalmente diverso da quello naturale che è ancora possibile respirare in Africa. Ed è proprio da questa coesistenza che deriva la moderna società africana, ricca di contraddizioni, per lo più a noi incomprensibili. Lory Cocconcelli, nel descrivere tali contraddizioni, ha svolto un lavoro accurato e ricco di testimonianze che aprono nuovi confini a chi lo legge.

Andrea Leonelli

Intervista ad Andrea Leonelli

Intervista ad Andrea LeonelliCrepuscoli_di_luce

La nuova silloge di Andrea Leonelli rappresenta quel passaggio fra stati d’animo oscuri e momenti più luminosi che segnano la vita del poeta. Attimi in cui, lasciate le tenebre, vi è un timido, quasi timoroso, affacciarsi alla luce della vita, di un nuovo inizio. Questa concezione diversa del vivere porta a interpretare i segnali quotidiani da punti di vista diversi, forse più consapevoli. Porta ad assaporare l’esistere, facendolo proprio, senza tralasciare alcun aspetto, nemmeno quelli che possono riportare fra le ombre. Tuttavia, la semi oscurità non è più sinonimo di malessere e di anima dolente, semmai diventa l’istante di riposo in cui la mente si rigenera e ritrova le energie per affrontare nuove situazioni e nuove avventure.

  • Spiegaci la motivazione di un titolo come Crepuscoli di luce. Cosa rappresenta?

Perché il crepuscolo è il momento del cambio, è quella zona di indefinito che separa due realtà diverse. Per me è anche sinonimo di mutamento e zona di potenzialità ancora non determinate né realizzate. È un confine senza bordi che separa, o unisce, due mondi diversi, dove si può decidere quale realtà, non ancora concretizzata, rendere vera. È un concetto affine alla meccanica quantistica, ma mi piace molto.

  • Quali sono le zone di ombra nella tua vita e quali quelle di luce?

Nella mia vita le zone d’ombra sono quelle che riguardano le cose che non sono riuscito a realizzare, o che non ho concretizzato al momento. La zona d’ombra più grande è sopraggiunta quando ho avuto l’infarto e lì, per quanto fossi immerso in un biancore abbagliante e totale, mi sono sentito in quella oscura terra di confine fra vita e morte, fra essere e non essere. Dopo quel momento ho visto le zone d’ombra diversamente. Le mie zone di luce sono i sorrisi, l’affetto e la serenità che riesco a scambiare e condividere con chi amo.

  • Il tuo stile di scrittura ha molta più affinità con le ombre. Come riesci a farle diventare luminose?

Probabilmente estremizzandole e rendendole così oscure da risplendere. Oppure rendendole luminose evidenziandole dalla massa in cui sono ed esponendole prendono consistenza e s’illuminano. Le metto in luce ponendole in un contesto diverso, per quanto sempre cupo, e dando loro risalto.

  • Da La selezione colpevole a Crepuscoli di luce cosa è cambiato nel tuo modo di essere poeta?

Ho imparato a essere più preciso, ho affinato lo stile e sono più accurato nel rifinire quello che scrivo. Ho ampliato i concetti guardando anche oltre quello che è esclusivamente il “me stesso” e, soprattutto nelle ultime composizioni ancora inedite, ho girato lo sguardo verso l’esterno e verso la società che ci circonda.

  • Vivi una realtà piuttosto frenetica. Le promozioni degli autori e altre attività collaterali ti portano via molto tempo. Quando riesci a scrivere?

Ultimamente per scrivere ho pochissimo tempo e ringrazio il destino di essere un autore di poesie brevi. Scrivo ogni volta che mi viene l’ispirazione, buttando giù le parole come vengono. E salvo gli scritti su computer o sul cellulare, per poi lavorarci quando il materiale è diventato sufficiente per una silloge. Praticamente faccio la parte più grossa del lavoro quando devo sistemare tutto quello che ho scritto in un unico file completo che, alla fine, diventerà il libro. Quando sono ispirato non mi è difficile scrivere, ma con il poco tempo disponibile, la stesura di un romanzo potrebbe diventare un lavoro di anni… Invece con le poesie e l’ispirazione giusta mi è possibile abbozzarne diverse in un tempo relativamente breve.

  • Come fa un animo sensibile come il tuo ad assorbire un’atmosfera pesante come quella che si vive in un reparto di rianimazione?

Da una parte c’è una sorta di assuefazione, ovvero ci si abitua a certi carichi emotivi, almeno apparentemente. Ma a volte, in situazioni pesanti ci vuole una “valvola di sfogo”. Da un’altra parte c’è quella che io chiamo sublimazione, ovvero il trasformare un carico emotivo in emozione espressa in altra forma. Nelle mie poesie spesso parlo di dolore e di attesa, proprio per sublimare gli stati d’animo che vivo al lavoro. Lo faccio per dirottare il dolore che permea l’aria del posto in cui vivo. Spesso non è solo il dolore fisico, ma il carico di emozioni che premono sulla pelle, come se potessero essere solide e se ne provasse il peso.

  • Quanta empatia provi per le persone di cui ti prendi cura al lavoro?

L’empatia è essenziale nel mio lavoro ma è anche un’arma a doppio taglio: impiegandone poca si può essere ugualmente bravissimi professionisti, anche se, mantenendo un atteggiamento freddo e distaccato, si rischia di non stabilire quel rapporto di fiducia necessario per il processo di cura. Se, per contro, se ne impiega troppa, si rischia di perdere di vista le priorità che sono necessarie per l’andamento corretto della globalità del lavoro, facendosi coinvolgere troppo in un’unica situazione e trascurando altre attività essenziali. Purtroppo il rapporto empatico, che consente di comprendere stati d’animo, che magari non sono chiaramente comunicati (e in rianimazione quello della comunicazione è un problema specifico, in quanto molti malati non hanno voce perché intubati o sedati), implica anche la trasmissione di quei carichi emotivi di cui si parlava nella domanda precedente.

  • Hai mai pensato di diventare un “angelo della morte”?

Non ci ho mai pensato seriamente anche se, spesso, ci si trova di fronte a situazioni in cui il mettercela tutta, fare tutto l’umanamente possibile, rischia di sconfinare nell’accanimento terapeutico. Il limite che contraddistingue queste due situazioni è una sfumatissima lama su cui camminiamo spesso. Anche questo fa parte dei carichi emotivi. Quando, salvare qualcuno può equivalere a condannare lui ad uno stato di vita apparente e i suoi cari a un altrettanto lungo calvario? Quanto a lungo è etico tenere forzatamente in vita qualcuno? Quanto lunga e travagliata deve essere la via crucis affrontata da pazienti e parenti, prima di giungere a una conclusione spesso inevitabile?

Anche semplicemente porsi queste domande, quotidianamente, è un carico emotivo di cui gli operatori sanitari sono costretti a farsi carico.

  • Quando Andrea non scrive come impiega il suo tempo?

Quale tempo? A volte ci sono giorni in cui ho giusto qualche minuto per mangiare e qualche ora per dormire, se non vengo colto dall’insonnia. Comunque, diciamo che i miei impegni si dividono fra il lavoro in ospedale e quello che svolgo per Il Mondo dello Scrittore Network, con le relative pubbliche relazioni. Nel tempo libero mi piace leggere, guardare qualche film (selezionato) e soprattutto alcune serie televisive.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Trovare il tempo per pianificare attività future 😉 Diciamo che, al momento, potrei avere materiale sufficiente per una nuova silloge e sto tentando, a tempo perso, di portare avanti un racconto lungo.

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Nejrotti su OttoInforma

Il dottor Mario Nejrotti, medico di base nella 8 e giornalista scientifico, che scrive romanzi

Di Augusto Montaruli

Dopo “Fino all’ultima bugia” è stato pubblicato il suo secondo libro “Il piede sopra il cuore”, presentato recentemente dall’autore presso la libreria A-Zeta di via Saluzzo.

Abbiamo incontrato Massimo Nejrotti, medico di base che opera e vive nel nostro territorio, da A Zeta Libri partecipando da lettori alla presentazione del suo ultimo romanzo: “Il piede sopra il cuore”. Dopo averlo letto abbiamo voluto incontrarlo, ci incuriosiva la relazione tra la professione del medico e la passione di scrivere.

Lei scrive testi scientifici oltre ad essere redattore della rivista Torino Medica, la “narrazione” la pratica anche in campo tecnico?
Alcuni miei libri mostravano già in embrione la necessità di dare sfogo alle “storie” che ascoltavo. A due testi per studenti e giovani medici sono particolarmente affezionato. La era ispirata dai gialli: “Il mistero del colpo di tosse” e “Il caso della Signora Danielle ovvero il problema delle gambe gonfie”. In questi libri di medicina cercavo di spiegare come “il parlato” dei pazienti fosse la chiave per porre diagnosi corrette.” Ma anche i miei articoli sono mutati nel tempo per abbracciare una visione della salute che comprenda ed esplori tutti quei “determinanti” socio ambientali e storici che contribuiscono alla qualità della vita. E in questi ultimi anni l’influenza della crisi socio economica che ci ha investito è divenuta essa stessa causa di grave danno alla salute di una gran parte della popolazione e protagonista dei loro racconti.”

Poi Nejrotti è passato dal testo scientifico al romanzo portandosi il vissuto quotidiano
“Quattro o cinque anni fa, quasi senza accorgermene, ho incominciato a scrivere racconti nei quali riversavo brandelli di storie che affioravano con prepotenza. Non le storie dei miei pazienti, ma sensazioni, impressioni, come quelle delle vecchie lastre fotografiche, più o meno sfumate, più o meno consapevoli, che mi avevano particolarmente coinvolto emotivamente. Mi rendevo conto che scrivere era piacevole.”

Il primo romanzo “Fino all’ultima bugia” inizia sull’isola di Vis, davanti a Spalato in Croazia e prosegue nelle strade di San Salvario con i suoi problemi e le sue passioni. Nejrotti comincia con un giallo perché, ci dice, facilitato dal cercare le cause nascoste del malessere dei suoi pazienti.
Il secondo lavoro è quello che abbiamo letto “Il piede sopra il cuore” (Edizioni Esordienti Ebook), un romanzo tra lo storico e il fantastico che si svolge nel 1943 in Sicilia, allo sbarco degli Alleati e li racconta attraverso gli occhi di un bambino e di un misterioso personaggio che si prende cura di lui. E non finisce qui, il terzo, si torna al giallo, è concluso. Ha un titolo provvisorio che speriamo sia quello defintivo, “Tutta la vita per morire”, perché sentirselo dire da un medico ci rasserena.

I romanzi di Mario Nejrotti si trovano in formato digitale e cartaceo in tutti i migliori store della rete da www.amazon.it a www.kobo.it a www.ibs.it e alla Libreria A-Zeta Via Saluzzo 44 Torino.

Intervista tratta dal Periodico OttoInforma 

DIECI DOMANDE AD ANDREA RAVEL

Dieci domande ad Andrea Ravel, a cura di Claudio Arnaudo

Il Longobardo è un libro scritto a 4 mani e si è classificato secondo nel concorso indetto da EEE per i romanzi storici. Questa l’intervista curata da Claudio Arnaudo ai due autori.

Il Longobardo

Siete padre e figlio, e scrivete in coppia, perché avete scelto di utilizzare uno pseudonimo invece dei vostri veri nomi?

Potremmo rispondere che i nostri nomi e cognome sono molto lunghi e occuperebbero una buona parte della copertina del libro. Questo è sicuramente vero, ma il motivo principale che ci ha spinti a scegliere uno pseudonimo è che Andrea Ravel è un elegante nom de plume, facile da ricordare e fa pensare subito a Ravello. Il nostro progetto, infatti, è quello di raccontare una saga familiare in più libri e ci piaceva l’idea che fosse proprio un membro della famiglia a scriverne la storia.

A questo proposito, non è irrealistico pensare ad una famiglia con una storia così lunga e ad una genealogia ininterrotta?

Non è frequente, ma è assolutamente possibile. Pensiamo ai Savoia o ai Capetingi. In Inghilterra molte famiglie nobiliari risalgono all’epoca della conquista normanna. Io stesso ho un amico i cui antenati sono entrati in Italia al seguito di Carlo Magno.

Perché avete scelto di scrivere un romanzo storico? E’ un genere che richiede molto lavoro di documentazione ed è facile commettere errori o anacronismi.

Siamo entrambi appassionati di romanzi storici e d’avventura e volevamo provare a scrivere una delle storie che ci sarebbe piaciuto leggere. Per quanto riguarda gli errori se ne possono commettere scrivendo qualsiasi opera di finzione. Siamo certi di averne commessi anche in “Terra di conquista” (speriamo pochissimi).

Potete fare qualche esempio di errori evitati?

Cominciamo da uno evitato per caso: nella prima stesura del romanzo uno dei personaggi dice che gli piace la minestra di zucca. In una revisione successiva abbiamo eliminato la frase perché non ci piaceva, ma solo successivamente ci siamo ricordati che zucca è originaria dell’America e fino al XVI secolo non era conosciuta in Europa.
In un altro caso, un amico a cui abbiamo fatto leggere la bozza del manoscritto ci fatto notare che l’espressione “a pochi pollici dal mio viso” non era possibile all’epoca perché il pollice è un’unità di misura anglosassone.
Per finire, l’editore ci ha segnalato che non era opportuno scrivere “nello spazio di un’ Ave Maria”, perché la preghiera con il saluto a Maria risalirebbe al XVI secolo. L’abbiamo sostituita con “nello spazio di un Pater.”

Perché avete deciso di pubblicare in formato e-book?

L’e-book non è solo un diverso supporto su cui leggere, ma è anche un modo diverso di approcciare il prodotto libro da parte di tutti: autore, editore, distributore e lettore.
Finora il mondo dell’e-book è stato esplorato solo molto parzialmente e non ne sono state sfruttate tutte le enormi potenzialità, soprattutto in Italia. Tuttavia presenta già oggi alcuni aspetti positivi: garantisce una distribuzione universale e immediata (basta un click), costi di pubblicazione contenuti e, di conseguenza, prezzi più bassi per i lettori. Alcuni editori più coraggiosi e lungimiranti lo hanno capito ed hanno puntato sull’editoria on-line; grazie a loro molti aspiranti scrittori hanno potuto diventare scrittori effettivi senza dover passare attraverso le forche caudine della stampa e della distribuzione fisica, operazioni che gravano sul prezzo di copertina di un libro senza fornire in cambio alcun vantaggio al lettore. Comunque “Terra di conquista” avrà anche il formato cartaceo, per chi proprio non può farne a meno.

Qual è, secondo voi, la giusta proporzione tra storia e finzione in un romanzo?

Non esiste un mix ideale. Chi scrive un romanzo storico non dovrebbe mai dimenticare di essere prima un intrattenitore, e poi uno storico. La cosiddetta “verità storica” deve scaturire dalla trama e dalle azioni dei personaggi. Inoltre la relazione tra storia e finzione dipende dal periodo storico: scrivendo dell’epoca dei Longobardi non esiste una grande quantità di storia documentata e il narratore ha a disposizione uno spazio più ampio per integrare con la sua fantasia o introdurre elementi avventurosi.

In “Terra di conquista” utilizzate la narrazione in prima persona. Non credete che un romanzo ambientato nel Medioevo possa risultare poco credibile se scritto in prima persona?

La vera difficoltà della narrazione in prima persona è che è difficile fornire al lettore informazioni che il protagonista non conosce e questo rende il lavoro dello scrittore più difficile. Ma la trama e la struttura del romanzo non ci lasciavano scelta. Solo Giulio Cesare scriveva di sé in terza persona!

Avete scritto una corposa nota storica. La ritenete indispensabile in un romanzo storico?

Non pensiamo sia obbligatorio, ma secondo noi è una buona pratica. Chi legge ha il diritto di sapere quale sia la storia reale e quale quella inventata, così come deve conoscere quali sono le libertà che l’autore si è preso. Un altro elemento importante è la bibliografia, nella quale il lettore può trovare ulteriori informazioni e approfondimenti.
C’è però un aspetto che vorremmo mettere in risalto: “Terra di conquista” ha richiesto tre anni di lavoro preliminare sulle fonti originali, visite a musei e siti archeologici e la lettura di decine di saggi. Alla fine tutto questo patrimonio di informazioni è stato filtrato dalla narrazione e quasi non si nota leggendo il romanzo. Ed è bene che sia così, perché riteniamo che un narratore scriva per raccontare una storia e non per fare sfoggio di cultura.

Quali scrittori vi hanno ispirato di più?

Oggi il romanzo, soprattutto quello storico e d’avventura, è anglosassone, e i modelli non possono che venire da lì. Tra i contemporanei metteremmo al primo posto Tolkien bravissimo nel creare un universo fantastico perfettamente plausibile. Poi due ladies, Dorothy Dunnet e Hilary Mantel: di loro ci piacerebbe possedere il rigore e la capacità di evocare con assoluta precisione epoche e situazioni. Patrick O’Bryan è un punto di partenza fisso per chi vuole scrivere di una coppia di protagonisti. A John Grisham ci siamo ispirati per lo stile, asciutto e semplice, ma con un vocabolario abbastanza ricco, e per la fluidità nella costruzione dei periodi. Tra i grandi del passato Dumas padre per il mix perfetto tra storia e avventura. Fuori dal mondo anglosassone e sopra a tutti Umberto Eco. Lui è il romanzo!

Quanto è difficile scrivere in due? Vi capita mai di essere in disaccordo o di litigare?

Molto spesso e quasi su ogni cosa, ma se non fosse così scrivere sarebbe veramente noioso!

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L’alba della poesia

Crepuscoli di luce, il nuovo libro di Andrea Leonelli in promozione

Crepuscoli_di_luce

Questa settimana vogliamo proporvi la nuova silloge di Andrea Leonelli: Crepuscoli di luce. Per l’autore questa opera rappresenta l’alba della poesia, il momento in cui sorge a nuova vita dissipando le tenebre. Tuttavia, il suo percorso è ancora lungo. La meta, per quanto possa apparire vicina, non fa ancora parte del suo quotidiano. L’arte poetica non deve essere solo appannaggio di pochi, non quando racconta ed esprime emozioni che possono permeare le pagine esistenziali di molti. Leggendo i versi di Andrea Leonelli diventa impossibile non restare coinvolti da quanto scrive. Ed è proprio l’empatia trasmette che offre al lettore lo spunto per trovare la propria “alba”.

La trama:

Crepuscoli di luce è la nuova silloge poetica di Andrea Leonelli, un passaggio attraverso il quale si ricongiunge un passato doloroso e catartico con un presente in cui, cadute le maschere, il poeta ritrova lentamente se stesso e la propria identità. L’espressione del linguaggio accentua lo stile tagliente e mai scontato, utilizzando parole in cui il significato viene stravolto a favore di una nuova intensità emotiva. E sono proprio le emozioni a creare la poesia stessa, trasformando la negatività in quella lirica che si eleva al di sopra degli animi, portando i versi verso un’eternità costituita da sprazzi di luce oltre la tenebra. “La notte non può durare per sempre” (cit) ed è da questo punto fondamentale che l’uomo ricomincia a vivere, cedendo all’esistere con la stessa voluttà con cui si potrebbe cedere a un’amante. Lo spirito si rinnova calpestando le schegge del proprio passato, mentre l’anima si avvia verso una guarigione cercata e voluta. Crepuscoli di luce offre ai lettori sia l’uomo che il poeta, sia la lirica che la realtà, senza compromessi né sotterfugi che potrebbero creare false illusioni. Questo è reale, questo è vivere. Al di là della concezione materiale dell’esistere quotidiano e delle false icone che l’ambiente propina. Messo a nudo, resta solo l’Essere, con i propri dubbi e le proprie speranze, un uomo che non accetta la sconfitta emotiva come un fattore prestabilito o come un retaggio dato dall’essere umano. Esiste, sempre e in ogni caso, l’alba che porta a nuova luce e a nuovi respiri. Così come esisterà sempre un crepuscolo nel quale rilassare le membra e trovare, all’interno del proprio intimo, la ragione di esistere.
Andrea Leonelli non delude mai e la sua lirica arriva a corteggiare direttamente l’anima. Tuttavia, diversamente dalle precedenti sillogi, Crepuscoli di luce apre le porte a una speranza inaspettata, senza mai rinunciare allo stile inusuale con cui il poeta ha sempre espresso i propri versi. Ed è da questa nuova combinazione che la poetica trae il massimo vantaggio, diventando emozione pura.

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