La qualità paga

La qualità paga

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A volte capitano quelle situazioni in cui tutto il lavoro svolto nel corso dell’anno ottiene una gratificazione anche solo grazie a una semplice frase.
EEE è una Casa Editrice digitale, dunque preposta a produrre libri in formato digitale. Libri provenienti da manoscritti scelti con cura, selezionati, formattati, editati, pubblicati e distribuiti ovunque attraverso i maggiori store online. Nonostante questo, nello stand sono stati presentati libri pubblicati in versione cartacea e il motivo di tale scelta è stato piuttosto ovvio. Tuttavia, a parte l’evidente praticità nel voler proporre un prodotto che potesse essere toccato, preso in mano e sfogliato, quello che volevamo sottolineare era la cura e la passione messa in ogni libro, fattore che non poteva essere messo in evidenza offrendo al pubblico un testo presentato in un lettore digitale. E questo ha condotto a diversi momenti in cui il nostro orgoglio è stato ampiamente soddisfatto, soprattutto quando le persone, dopo che avevano dato un’approfondita occhiata al nostro catalogo, chiedevano stupite: “Ah… ma voi siete editori digitali?”

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Ebbene sì, noi siamo editori digitali anche se esserlo non significa non aver cura delle proprie creature, quando la versione è diversa. La qualità dei libri è nel libro stesso, in come si presenta, nella rilegatura, nella scelta della carta, dell’impaginazione e del contenuto. Tuttavia non è solo questo. La qualità dei libri dipende anche dalla filosofia dell’editore, da quelle motivazioni che lo rendono un professionista serio, in grado di poter trattare diversi argomenti spinosi anche nel corso di una conferenza nella quale dovrebbe essere solo esaltato il suo lavoro. Ed è esattamente quello che è accaduto nel corso dell’evento tenutosi domenica 17 maggio, intitolato Come ti allevo uno Scrittore. D’altra parte, chi abitualmente ci segue sa bene che “parlarci addosso” non è esattamente uno dei nostri sport preferiti. Quindi diventa piuttosto naturale affrontare anche quegli argomenti che possono condurre un autore verso scelte consapevoli, magari anche lontane da noi. Non è così abituale sentire un editore che parla di contratti, clausole, codicilli e diritti, mettendo l’attenzione su quelle parti che di solito sono lesive proprio per gli autori. Un editore che spiega cosa sarebbe meglio firmare e cosa no. Questo è stato uno dei motivi che hanno fatto registrare un tutto esaurito nel corso della conferenza. Abbiamo visto persone passare, fermarsi, tornare indietro e andare ad accomodarsi per poter continuare a seguire il corso delle interviste e il dialogo aperto con Piera Rossotti, la quale non ha deluso le aspettative nemmeno questa volta.

E quando uno degli autori della CE dice: “Pensavo di trovare un Editore, invece ho trovato una famiglia”… ecco, questo ripaga di tutto.

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I numeri dell’orrore

Una realtà che fa paura.

I numeri dell'orrore

Pedofilia, furto di organi, tratta dei minori. Problemi scottanti e di cui si parla troppo poco, forse perché troppo dolorosi da affrontare, forse perché fanno veramente tanta paura. Pensare di ignorarli però non è assolutamente utile per trovare una soluzione. Irma Panova Maino ne ha parlato, con il suo stile personale, nel libro “La resa degli innocenti” e per fare questo ha svolto delle ricerche documentandosi su quelli che sono i numeri dell’orrore. Cifre spaventose che riguardano il problema della sparizione dei minori, bambini che non tornano più a casa e di cui non si sa più niente. In questo articolo ci illustra le cifre basate sulle sue ultime ricerche.

Irma Panova Maino ha pubblicato con EEE: Scintilla vitale, Il gioco del demone, Le risonanze della folgore, La resa degli innocenti

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di Irma Panova Maino

“Se perdete un coniuge diventate vedovi, se perdete i genitori diventati orfani, ma se perdete un figlio, cosa diventate?”

Con questa introduzione parte un nuovo serial televisivo francese incentrato proprio su un tema che mi sta molto a cuore: le sparizioni dei minori.
Se in Francia ne spariscono quasi 1800 all’anno (di cui molti non vengono ritrovati) L’Italia non è sicuramente da meno.
Che fine hanno fatto Angela Celentano o Denise Pipitone?
Se nel mondo si contano quasi 8 milioni di sparizioni, in Europa ogni due minuti un bambino svanisce nel nulla e se pensate che queste cifre siano esagerate o spaventose, considerate che non tutte le scomparse vengono effettivamente denunciate. Non per il fatto che i genitori preferiscano nascondere l’accaduto, piuttosto per l’impossibilità di gestire una determinata situazione, con la conseguente verifica da parte delle Forze dell’Ordine o degli Enti preposti, nei casi in cui sono coinvolti extracomunitari o clandestini.
Dal 1 gennaio al 31 luglio 2014, quasi 9.000 bambini sono arrivati via mare non accompagnati. Di questi solo 5600 sono stati registrati nelle 1073599_45550087strutture di accoglienza, degli altri non si sa più nulla. Tuttavia, su un totale di quasi 15.000 bambini clandestini, non sempre coloro che li accompagnano sono realmente i genitori e l’impossibilità di stabilire con certezza l’identità, sia degli adulti che dei minori, rende il dato statistico alquanto aleatorio. Forse potremmo pensare che, essendo stranieri, la cosa non ci riguarda. Forse potremmo sentirci sollevati dal fatto che la questione non coinvolge i nostri figli, i quali dormono sonni tranquilli e sono assiduamente controllati dai genitori. Ebbene, se la pensate in questo modo, vi state decisamente sbagliando. I numeri dell’orrore italiani non sono dissimili da quelli francesi (o di quelli di qualsiasi altro paese del mondo) e solo di una piccola parte si sa che fine abbia fatto.
Il Lazio detiene il triste primato di cui stiamo parlando, seguito a ruota da Lombardia e Sicilia.
Per quanto si possa dire che dei tanti allontanamenti da casa molti si risolvono con il ritrovamento o il ritorno della prole, non si possono ignorare tutti quei casi in cui, pur restando sotto l’egida dell’apparente sicurezza domestica, i ragazzi vengono comunque invischiati in situazioni scabrose e pericolose. Circostanze non sempre a lieto fine che, spesso, segnano a vita i minori implicati.
È di marzo il fatto di cronaca che ha visto come protagonista una sedicenne desiderosa di intraprendere una carriera come modella. Adescata su un social network, è stata blandita e convinta a posare per foto via via sempre più hard. Alla fine i genitori si sono accorti delle anomalie comportamentali della figlia e hanno denunciato quanto stava succedendo. L’indagine della polizia di Genova, ha interessato 6 province del nord e centro Italia (Genova, Savona, Alessandria, Milano, Brescia e Roma) e fino a ora ha portato a 5 arresti per violenza sessuale su minori, divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico.
Come potete vedere, in questo caso la ragazza non è sparita, ma possiamo davvero dire che non ci saranno conseguenze e ripercussioni? Certo, la giovane è stata fortunata e i genitori sono intervenuti per tempo, ma quante volte accade che la fortuna assista gli ingenui? Quanti sono i casi in cui non c’è stato tempo e la tragedia alla fine si è consumata. Pensate di conoscere i vostri figli, di sapere chi frequentano e chi cerca di adescarli sui social?
Vedo una marea di ragazzine posare in atteggiamenti di cattivo gusto, persino espliciti. Minorenni che mostrano boccucce provocanti, indossando abiti che nemmeno la prostituta di un bordello oserebbe mettere… e mi chiedo: “Ma i genitori dove sono? Dove guardano?”
Per non parlare poi delle fanciulle, che frequentano le medie inferiori, che vanno a scuola abbigliandosi in modi decisamente inopportuni, dato il luogo che dovrebbero frequentare per istruire il cervello e non per esporre la carne.
Eppure, se questa gioventù è decisamente a rischio, un po’ per la superficialità data proprio dall’età, un po’ per la noncuranza di noi adulti, dall’altra parte esiste un sottobosco criminale sempre più vasto e sempre più sfrontato. Complice anche il fatto che l’Italia non è fra i paesi più organizzati nella lotta contro questo genere di criminalità Molto si sta facendo ma siamo ancora lontani dall’aver risolto il problema. Quindi sta a noi, a noi che viviamo a contatto con questi ragazzi, aiutarli e proteggerli, anche se non sono i nostri. Perché sono loro il futuro del mondo, la nostra eredità e il nostro lascito.

1049880_73189252Il 25 maggio verrà celebrata la Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi. Questa commemorazione è nata per ricordare la scomparsa di Ethan Patz, rapito a New York il 25 maggio 1979, e anche per voler sensibilizzare l’opinione pubblica in merito a un problema che mina, in modo allarmante, tutto il nostro futuro.
Non dimentichiamoci che molti dei bambini scomparsi in epoche meno recenti, se ancora vivi, ora potrebbero essere diventati adulti e tale condizione fa decadere automaticamente qualsiasi ulteriore tentativo di ricerca. Tuttavia, il fatto che siano maggiorenni, li rende meno vittime innocenti?

La Sardegna è protagonista

La Sardegna è protagonista nei due nuovi romanzi EEE.

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Sono stati pubblicati in questi giorni altri due romanzi EEE: Il fiordaliso spinoso di Marina Atzori e Il Sogno della Farfalla di Claudio M. Entrambi i libri sono vincitori del concorso Romantico contemporaneo, rispettivamente al primo e al secondo posto, entrambi sono ambientati in Sardegna ed entrambi raccontano i sentimenti in modo attuale, niente affatto scontato.

Marina Atzori è al suo secondo libro. Il primo, Il mare non serve, ho scelto una margherita, rappresenta il suo desiderio di rinascita e di apertura verso il mondo esterno. Con questa sua nuova opera, vincitrice del concorso EEE, conferma la sua dote di saper scrivere di sentimenti riuscendo a metterli sotto nuova luce.

Fiordaliso_cover_EEELa trama:

Petronilla, quarantenne single nata in Sardegna ma residente in Liguria, decide di trascorrere una decina di giorni di vacanza nella sua terra d’origine: sarà un modo per partire alla ricerca di se stessa, con lo spirito di una ragazzina che si addentra in una favola. Il principe azzurro c’è, anche se forse di un azzurro un po’ appannato; la fata madrina c’è pure lei, però rappresentata da uno Zio affezionato, e c’è anche una centenaria e bizzarra tartaruga di nome Zippo. Una scrittura poetica e leggera, coinvolgente per noi lettori, chiamati a entrare a piè pari nella storia, perché la ricerca di noi stessi, della nostra identità e di un amore sincero che dia senso alla nostra vita è un bisogno per tutti.

Claudio M. non è propriamente un esordiente, al suo attivo esiste già una pubblicazione. Il Sogno della Farfalla segna una svolta, un modo per esprimere le proprie esperienze personali lasciando che sia però la fantasia a fare da condimento principale. Giunto secondo nel concorso EEE per il Romantico contemporaneo, Claudio dimostra che anche un uomo può parlare di sentimenti, facendolo ovviamente a modo proprio.

Cover_farfallaEEEcon_bandaLa trama:

Sardegna, fine settembre; tempo di vacanze solitarie per il protagonista, uno scrittore cinico e disilluso, che cerca l’ispirazione per un nuovo romanzo. Un giorno, dopo essersi appisolato su una spiaggetta isolata, vede una bella ragazza arrivare dal mare stremata, dopo una lunga nuotata. È l’inizio di una storia che dura pochi giorni, come la vita della farfalla di cui la ragazza porta il nome. Una farfalla che ha un segreto. E il protagonista troverà molto di più di una semplice storia da raccontare.

Due novità nel catalogo EEE

Novità nel catalogo EEE.

Due sono le novità presenti nel catalogo EEE e che sono poste all’attenzione dei lettori: Il sogno segreto di Zekharia BlumIl secondo eroe.

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Il sogno segreto di Zekharia Blum, di Claudio Oliva, è un libro per ragazzi che non vuole essere solo indirizzato a loro, ma trasmette un messaggio che ogni adulto dovrebbe poter cogliere.

cover_blumEEELa trama:

Zekharia Blum, nato nel 1930, di modestissime origini, riesce a costruire una discreta fortuna finanziaria, sempre operando con grande onestà e offrendo lavoro a persone bisognose. Intanto, si costruisce una famiglia e insegna ai suoi figli la serietà nel lavoro, l’altruismo e la generosità. Quando nasce il nipotino Mykhael, però, Zekharia muore d’infarto e il suo più grande desiderio, quello di trasmettere le sue conoscenze al nipotino, come suo nonno aveva fatto con lui, rimane inesaudito.
“Qualcuno”, però, non soltanto troverà il modo di esaudire Zek, che entrerà in modo molto singolare in contatto col nipote Mykhael ormai dodicenne, ma anche di portare aiuto a una coppia che soffre per la perdita di un figlio.
Questo romanzo, che piacerà ai ragazzi, ma di certo anche agli adulti, lascia ai lettori un insegnamento morale, insieme ad un messaggio di ottimismo e di speranza.

Il secondo eroe, di Alessandro Spocci, appartiene al genere GTN. Questo secondo libro, prosegue idealmente le vicissitudini del protagonista, Alessandro Vinci del primo romanzo dell’autore: Eroe.

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Il protagonista di questo hard boiled è Alessandro Vinci, già protagonista del romanzo Eroe, dello stesso autore. Vinci è un ex poliziotto e scrittore dalla vita movimentata, profondamente innamorato della bella moglie Caterina, che tuttavia soffre per le scelte di vita del marito, incapace di adattarsi ad una tranquilla routine quotidiana, ma sempre bisognoso dell’adrenalina data dal rischio e dall’avventura.
Per aiutare un amico al quale una banda di criminali ha rapito la figlia per obbligarlo a ripagare dei debiti di gioco, Vinci partirà per l’Egitto, dove riuscirà con un piano audace a liberare la bambina, divenendo però a sua volta bersaglio dei malviventi che, per eliminarlo, non esiteranno a rapire la moglie Caterina. Come un antico cavaliere, Vinci parte alla ricerca della donna e riuscirà a liberarla, ma diventare l’eroe di lei avrà un prezzo altissimo.

EEE al Salone del Libro

Andare al Salone del Libro, nonostante tutto.

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Anche quest’anno, nonostante tutte le difficoltà oggettive che si riscontrano nel partecipare a un evento così importante come il Salone del Libro, saremo presenti, insieme ai nostri autori, portando la nostra filosofia. Tuttavia, perché un piccolo editore, oltretutto digitale, dovrebbe sobbarcarsi un impegno del genere, tra l’altro gravoso anche da un punto di vista economico? Cosa gliene viene in tasca? In effetti, se dovessimo solo valutare l’aspetto economico esisterebbero diversi motivi validi per restare a casa ed evitare di sottostare a diverse leggi, non scritte, che privilegiano la grande editoria, relegando i piccoli a ruoli da comprimari. Non solo, lo sforzo umano, che si richiede all’editore e ai suoi collaboratori, è davvero notevole, se non altro per tutte le ore che vengono passate in un ambiente rumoroso, caotico e, spesso, privo del sollievo dato dal ricambio ottimale di aria. Quindi, se nonostante tutti questi disagi, l’esserci al Salone Internazionale del Libro di Torino è ancora una meta a cui ambire, può solo voler dire che dei vantaggi ci sono. E non è solo per un fattore dato dal prestigio, dal poter dire: “io c’ero”. A monte persiste quella passione che permette di compiere dei passi, anche onerosi, pensando comunque ai propri autori, ai libri che così amorevolmente si è deciso di pubblicare, di portare al cospetto di un pubblico spesso critico e poco propenso a dare una chance a dei nomi sconosciuti, benché validi. Dietro a tutto questo sacrificio c’è l’amore di un editore per il proprio lavoro e per tutti coloro che lo aiutano a realizzarlo. In ogni singola azione esiste quel fuoco che permette di superare ogni ostacolo e ogni difficoltà pur di garantire un posto onorevole a quelle “creature” che noi definiamo semplicemente libri.

Per questi motivi, anche quest’anno, saremo presenti a Torino e porteremo la nostra passione nei corridoi affollati, fra i banchi cosparsi di volumi, in mezzo alle pubblicità di nomi famosi e volti noti. Ci saremo con il nostro bagaglio prezioso di opere belle, scritte bene, amate in ogni loro singola parte e scaturite dalla fantasia prodigiosa di autori ricchi di talento. Non sarà difficile trovarci, saremo quelli che sorrideranno radiosi ai passanti e s’intratterranno in piacevoli chiacchiere con chiunque vorrà chiederci informazioni e spiegazioni di vario genere. E se vorrete venirci a trovare, nel Padiglione 2 presso lo stand N 114, accoglieremo con gioia anche gli amici.

 

Haiku: la poesia dell’essere

Haiku: la poesia dell’essere, oltre il mondo fluttuante

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Giovedì 2 aprile, alle ore 21 ad Appiano Gentile, presso l’Associazione Culturale Carlo Linati, Andrea Tavernati illustrerà la sua opera poetica L’intima Essenza. Il percorso ideale partirà dalla definizione di haiku, come genere poetico, passando alle sue incarnazioni in occidente per arrivare all’introduzione vera e propria del suo libro. Dunque non solo una presentazione, ma un’occasione per approfondire l’arte poetica, analizzandola nelle sue varie forme.

Associazione Culturale Carlo Linati, presso Villa Rosnati, via Baradello 4, Appiano Gentile, Como.

Chiunque volesse intervenire sarà il benvenuto! Naturalmente l’ingresso è libero.

I vincitori del III Concorso EEE

I vincitori del III Concorso EEE e alcune riflessioni.

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Si è concluso recentemente il III Concorso Letterario, dedicato al Romantico Contemporaneo, indetto da Edizioni Esordienti Ebook e i risultati sono stati più che ottimi, anche se hanno portato ad alcune riflessioni in merito all’interpretazione della tematica proposta. Per quanto i testi pervenuti siano stati presentati in modo più che idoneo e i contenuti risultassero decisamente qualitativi, l’interpretazione del romantico contemporaneo è stata vista in un’ottica piuttosto scontata. Tenuto conto della modernità dei tempi e della quotidianità frenetica nonché difficoltosa, ci aspettavano diverse variazioni sul tema, magari meno a lieto fine e più mordaci. Invece abbiamo scoperto che l’idea del romanticismo è ancora legata a degli stili classici, alle trame che lasciano sognare, che portano a conclusioni rosee e che ricalcano intrecci più o meno già visti. Tuttavia, grazie all’afflusso dei manoscritti inviati, è stato possibile scegliere quelli che, secondo il nostro punto di vista, maggiormente hanno rispecchiato la realtà, il nostro quotidiano, il modo di vivere e di affrontare i problemi. Ringraziamo tutti gli autori che hanno spedito le loro opere, per il lavoro che hanno svolto, per la cura che hanno apportato nei loro scritti e per l’evidente impegno che vi hanno profuso.

Una nota curiosa è stata data dal fatto che diversi autori hanno preferito scegliere, per le loro storie, delle protagoniste femminili non più giovanissime. La visione della donna, nella sua totale maturità, ha offerto diversi spunti sui quali riflettere, il primo fra tutti è l’evidente disagio di una generazione alla ricerca di un percorso che possa diventare soddisfacente. Dunque, non più la giovane donna appena fiorita, ma signore quarantenni che non si accontentano dei ruoli classici imposti dalla società.

Vi ricordiamo che le motivazioni che hanno portato alla scelta dei primi tre classificati, sono ampiamente esposte nel video presente su YouTube.

 

Segnalati in ordine alfabetico:

Valerio SericanoAmi dagli occhi color del mare

Daniela VasarriMaeva

Marianna VitaleLa verità che cela l’inganno

Terza classificata

Maria Dell’AnnoFuori tempo

Secondo classificato

Claudio M.Il sogno della farfalla

Prima classificata

Marina AtzoriIl fiordaliso spinoso

 

Essere genitori

Essere genitori: figli, sesso e cattiva educazioneeli2

Elisabetta Bagli è una poetessa molto impegnata nel trasmettere ai propri lettori le sensazioni che derivano dalle ingiustizie umane. Sempre in prima linea per difendere i diritti delle donne, dei bambini e delle persone più deboli, tesse nella propria poetica i drammi quotidiani che spesso sfociano in tragedie. La sua sensibilità, tutta femminile, ne ha fatto il portavoce ideale, la Penna in grado di non far mai dimenticare quello che accade intorno a noi, anche quando i nostri occhi sono troppo stanchi per vedere. Nell’articolo che segue, espone un classico esempio di cattiva educazione, da parte delle istituzioni, nei confronti dei minori in età scolare.

Elisabetta Bagli ha pubblicato con EEE: Voce

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Il non facile compito di Educare

Di Elisabetta Bagli

Le polemiche che si sono innalzate in questi giorni, in Spagna, su un evento increscioso di cui sono stati protagonisti un ex Ministro del Governo catalano, Marina Geli, e il giornalista Eduardo García Serrano mi hanno fatto riflettere (e non poco) sul mondo in cui viviamo.

Marina Geli

Marina Geli

Non voglio assolutamente entrare nel merito politico della questione, che non è di mia competenza, ma sono stata fermata davanti alla Scuola, che frequentano i miei figli, da Intereconomia (testata giornalistica) che mi ha intervistato sull’argomento trattato in un video (per fortuna non più disponibile in rete NdR), proposto dal Ministro, in merito all’educazione sessuale per i minori nelle scuole. Mi è stato chiesto cosa ne pensassi e se ritenessi tale video idoneo per essere mostrato ai ragazzi in età scolare. Nel filmato si vede un ragazzo che fa ogni tipo di esperienza sessuale sia con i suoi coetanei e le sue coetanee sia con uomini più grandi. Alcune immagini istigano addirittura al bondage e al sadomasochismo. La seconda parte del video, invece, è incentrata su una ragazza che, per autodeterminazione, sceglie, “provando” i vari partners attraverso esperienze anche estreme, qual è l’uomo della sua vita. Non sono una bigotta, ma sono una madre di due bimbi di 9 e 12 anni e non credo che questo sia il modo adeguato per affrontare l’argomento “educazione sessuale” nelle scuole e sulle pagine istituzionali di siti governativi. Il video in questione era stato inserito nella pagina Sexo Joven de la Generalitat de Catalunya dall’allora Consigliere della regione Marina Geli, affinché fosse una sorta di manuale per i ragazzi.

Eduardo García Serrano

Eduardo García Serrano

Un giornalista, Eduardo García Serrano, ha denunciato questa pagina ritenendola offensiva e istigatrice per la nostra gioventù, insultando con parole dure il Ministro. Per questa sua rimostranza, lo Stato spagnolo l’ha condannato a dover pagare 22.000 Euro, mentre al Ministro è stato solo fatto ritirare il video dalla pagina.

Ripeto, non entro nel merito della condanna o della questione politica. Ma sono una mamma che tiene all’educazione dei suoi figli, come tante mamme in questo mondo e non credo che sia necessario proporre video di questo genere a dei bimbi o a degli adolescenti né nelle scuole né, tanto meno, sui siti istituzionali per impartire l’educazione sessuale ai nostri figli. È vero che la gioventù di oggi è diversa da quella di un tempo. È vero che a 12 anni io ancora giocavo con la Barbie e cercavo di fumare la prima sigaretta, come atto d’insubordinazione (ringrazio il cielo che mi ha stomacato appena messa in bocca, aiutandomi a stroncare il “vizio” sul nascere), mentre mia figlia, a poco meno di 12 anni, già sa molte cose della vita, del suo corpo, di ciò che le gira intorno e ha desideri diversi di quelli che avevo io alla sua età. È vero che i ragazzi di oggi sono più svegli e svelti a fare tutto, ma è anche vero che, pur credendo di avere il mondo in mano e di sapere tutto, pur pensando di essere i migliori e invincibili, non riescono, nel loro intimo, a essere sicuri di se stessi e sono molto più fragili di quel che mostrano. Hanno in mano molta informazione della quale spesso non sanno cosa farsene, come utilizzarla. Hanno voglia di sfidare il mondo, perché si credono invulnerabili, ma non pensano che spesso le prime vittime di questi loro atteggiamenti sono proprio. Gli atti di bullismo che ci sono per ogni dove, quelli di violenza ai propri simili, non solo fisica ma anche verbale, quegli atti di insubordinazione nei quali mancano di rispetto non solo ai genitori ma anche agli insegnanti e a tutto ciò che rappresenta la disciplina, sono ormai all’ordine del giorno.

Noi genitori ci siamo mai chiesti il perché di tutto questo? Mancano le linee guida, quei tre cardini fondamentali che sono stati il sostentamento delle generazioni da sempre: i genitori, la scuola, la società.

I genitori sono troppo occupati a cercare di fare bene i genitori moderni dalla mentalità aperta, dai sorrisi “smart”, senza comprendere che è necessario essere veramente genitori per educare i figli: non si deve essere fratelli, zii o amici, ma genitori!

Mom serie tv

Mom serie tv

Giorni fa mi sono imbattuta in una nuova serie televisiva che fanno vedere qui in Spagna da poco tempo, il titolo è “Mom”. Il limite minimo di età per vederla è di 12 anni! Sono rimasta allibita! Mia figlia e mio figlio avevano iniziato a vedere questa serie nella quale si parla di sesso, anche spinto, di alcool e di famiglie allargatissime. Ci sono delle donne che passano da un uomo a un altro in modo superficiale e che rimangono incinte di sconosciuti come se fosse la cosa più normale di questo mondo! Comprendo l’intento degli sceneggiatori di far ridere su argomenti che sono seri e che, quindi, molto dietro le righe, dovrebbero fare comunque riflettere, ma i bimbi di 12 anni non sono in grado di capirlo e il messaggio che passa è deleterio! Non hanno coscienza critica! Figuriamoci poi se hanno coscienza critica i bimbi di 9 come mio figlio! Ho proibito ai miei figli di vedere questa serie e loro, logicamente, si sono alterati, soprattutto mia figlia Francesca che mi ha detto: “Ma mamma, è proibito ai minori di 12 anni e io ne quasi 12! Dai!”

Chi decide il limite d’età? Che valori si prendono come termini di paragone per decidere questi limiti? Non comprendo… Ma poi penso al fatto che mia figlia tornerà a scuola, che i suoi compagni inizieranno a commentare “Mom” e che lei si sentirà esclusa, si sentirà una “mosca bianca” per non averlo visto, per non avere il cellulare, per non fare o dire o avere altre mille cose che i genitori “amici”, nella loro visione “moderna”, fanno, dicono o danno ai propri figli in un’età non consona. Non sono una mamma speciale, anzi sono normalissima, con i miei pregi e i miei difetti, come tutte le mamme che stanno imparando a crescere i propri figli, ma so che come me la pensano altre milioni di mamme e spesso, per quieto vivere, lasciano correre e lasciano che i figli facciano quel che credono, perché è più facile dire SÌ che dire NO.

Cos’altro manca a questi ragazzi? La scuola, intesa come docenti e non come struttura, perché badate bene che i mezzi e le strutture per fare bene ci sono, ma sono mal utilizzate. Ora, la maggior parte dei docenti sono votati a prendere lo stipendio a fine mese e basta. Sono realmente pochi coloro che si preoccupano di fare gli “educatori” nel vero senso della parola. E la scuola è formazione, è educazione, è trasmissione di messaggi giusti, di valori, al pari della famiglia. Ma oggi, è troppo spesso latitante.

L’ultimo punto cardine che manca ai ragazzi è la società. Nonostante ci siano strutture adeguate per sostenere i giovani, inadeguati sono spesso i modi con le quali vengono usate. Oggi la società è volta a insegnare il modello di vita del “tutto e subito”, perché solo ottenendo tutto e subito si può dire di aver vissuto davvero intensamente. Questo è il messaggio che viene dato ai ragazzi e non c’è nulla di più errato! Il modello del “tutto e subito” al giorno d’oggi viene applicato in ogni campo, anche nell’educazione sessuale proposta nel video, di cui vi ho parlato all’inizio, che prevede due giovani, un uomo e una donna, che per vivere in pieno la loro sessualità devono provare ogni tipo di esperienza, anche la più aberrante. Ma se ai ragazzi non vengono spiegate prima altre cose, quali l’amore, il desiderio, la vita, il piacere di condivisione con l’altro sesso, cosa potranno mai comprendere di quel che viene loro mostrato nel video? Nulla! Possono pensare solo che è quello il modo giusto di amare.

Julián Marías

Julian Marias

Ma bisogna ricordarsi che affinché ci possa essere una buona educazione sessuale ci deve essere un’ottima “educazione sentimentale”, così come ci diceva il filosofo Julián Marías nel suo famoso libro “La educación sentimental”.

Ma l’educazione sentimentale, a cui ogni società dovrebbe far riferimento, è ormai uno strumento educativo e formativo troppo obsoleto e lento per l’uomo di oggi. Si dovrebbe dedicare molto tempo a educare l’essere umano e l’uomo ormai non ha più tempo neanche per se stesso. Credo che si sia persa la bussola e che ciò che “normale non è” sia diventato la “normalità”, degradando il modello educativo personale e sociale, facendolo arrivare a uno tra i livelli più bassi della storia. Cosa fare, quindi?

Rimboccarsi le maniche. Ognuno di noi, nel suo piccolo, deve cercare di fermarsi e prendersi il tempo giusto per educare ed educarsi. Le esperienze vanno vissute e ogni persona è libera di scegliersi quelle che vuole provare e il modo in cui lo vuole fare, ma tutto deve avvenire a tempo debito, con coscienza e consapevolezza, cosa che i giovani di oggi credono di possedere e, purtroppo, non hanno.

È compito nostro, genitori, educatori e società, prendere in mano la situazione e cercare di capovolgerla perché non dobbiamo dimenticarci che l’oceano è formato da tante gocce e ogni piccola goccia può aiutare a ingrandire il mare.

L’inferno dentro: la rianimazione

Che cosa vuol dire lavorare come infermiere in rianimazione.

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Andrea Leonelli propone poesie dal sapore non proprio classico né, tanto meno, usuale. I suoi versi risuonano di una pena che parte dal profondo dell’anima, per riversarsi sulla carta con lo stesso impatto che potrebbe provocare un martello pneumatico. E una ragione esiste, una motivazione che spiega il perché di tanto coinvolgimento emotivo.

Andrea Leonelli ha pubblicato con EEE La selezione colpevole, Consumando i giorni con sguardi diversi, Crepuscoli di luce

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Possiamo dire che lavoriamo in trincea e che seriamente ci sporchiamo le mani (in senso figurato, poiché in sostanza viviamo con indosso i guanti). A volte si fa fatica a respirare, vuoi per uno stato emotivo, vuoi per le mascherine che ci proteggono da germi particolarmente aggressivi. Sì, perché il nostro stare in trincea ci espone a proiettili microscopici ma, a volte, ugualmente letali quanto quelli di piombo. Spesso ci troviamo ricoperti di strati d’indumenti protettivi e sudiamo anche i liquidi che non abbiamo. Vuol dire mettere le mani addosso alla gente, andare a toccarla “dentro” e, badate bene, non sto parlando di anima o di parti intime. Vuol dire avere in mano la possibilità di ridare il respiro a chi abbiamo davanti, steso e inerme. Vuol dire tornare a casa così stanchi da non riuscire a prendere sonno. E vi assicuro che, spesso, è davvero faticoso sia a livello fisico che mentale, oltre che emotivo. Facendo i turni, i ritmi circadiani perdono il loro flusso naturale. Mangi a orari inconsueti e in modo irregolare, a volte facendo colazione la sera e cenando quando per tutti gli altri è mattina. Dormi in orari non fisiologici andando a riposare, o almeno provandoci, quando la maggior parte delle persone, che hai intorno, si è appena svegliata.IMG-20150208-WA0000
Al lavoro, invece, bisogna avere i sensi in allerta per cogliere i primi segni di un cambiamento nei parametri di un paziente, capire perché e cosa sta accadendo in modo da poter intervenire tempestivamente. Bisogna fare questo prima che una variazione fisiologica non controllata porti a conseguenze che hanno rimedi più difficili da mettere in pratica o che, addirittura, non hanno alcun possibile rimedio.
Vuol dire poter fare, a volte, la differenza. Vuol dire poter vedere persone che sono appese alla vita, per un filo sottile, riuscire a sopravvivere.
Ma per alcuni pazienti che ce la fanno, quante volte paghiamo il prezzo dell’impotenza? Quante volte possiamo soltanto assistere a una vita che si spegne? O alle morti improvvise e fulminee, nonostante tu ci abbia messo professionalità, capacità, conoscenze, lavoro di squadra, sangue freddo e tanta anima?
Tante. Troppe volte, forse. Quante ripetute scene di dolore, protratto e colmo di lacrime, viviamo.
Quanti parenti da sostenere e guidare, quanti ne abbiamo “preparati”, per quanto sia possibile, alla dipartita annunciata e imminente di un marito, un fratello, a volte di un figlio. Quanti dolori abbiamo vissuto doppiamente: noi in prima persona e poi, di riflesso, supportando un congiunto in lacrime.
Vuol dire far finta di essere forte per sostenere il collega, che si commuove, o dover indossare la maschera del cinico per non farsi scalfire troppo a fondo da queste pene quotidiane.
Siamo tutti umani e certe tragedie, personali e sociali, un “buco” da qualche parte te lo lasciano.
Il nostro non sarà riconosciuto come un lavoro usurante ma, vi assicuro, lo è.
Ognuno di noi ha quello che io chiamo un “sacco dei dolori”, che ogni volta si riempie un po’. Quando è pieno, diventa pesante e allora sfoghi questo peso con qualcuno che hai vicino, per condividere un po’ il gravare del tuo “sacco” e, se a volte sei tu che ti scarichi, in altre occasioni è il tuo collega che ha bisogno di una mano per portare il suo fardello. IMG-20120913-WA0003Con i colleghi, con le persone con cui vivi, fianco a fianco tutti i giorni, tutte queste situazioni portano a far sì che si sviluppi un rapporto speciale. Sai che se hai bisogno ci sono. E se tu sei impegnato su un malato molto critico e non puoi allontanarti dal paziente più di due passi, loro si prenderanno cura dei malati a cui non puoi provvedere, senza che tu debba chiederlo. Siamo una squadra, a volte una squadra speciale. Sai che non ti lasceranno solo e, in un lavoro come il nostro, sapere di poter contare sugli altri diventa questione di vita o di morte.
Il nostro è un lavoro che ti logora piano, lentamente e in modo subdolo. Ti consuma. Arriva a scavare nel profondo e gli unici che possono realmente comprendere i tuoi stati d’animo sono i colleghi. Chi nella vita personale ha vicino persone che, anche se non appartenenti alla nostra stessa professione, riescono ad ascoltare e a essere di supporto, può dirsi fortunato.
Fare questo lavoro, inoltre, vuol dire ritardare ai pranzi e alle cene, anche nelle festività. O festeggiare a date variabili. Quelli di noi che fanno i turni non conoscono le ferie o i canonici periodi di pausa dati dal calendario. Si lavora a Natale, a Pasqua e a Capodanno. I nostri famigliari festeggiano spesso senza di noi. Magari arriviamo a casa giusto in tempo per il dolce o partiamo per il lavoro subito dopo aver mandato giù in fretta un piatto di pasta. E se questo capita a riguardo della famiglia, il resto della nostra vita sociale ne risente ancora di più. Viviamo, infatti, una socialità rarefatta e spesso gli amici si organizzano a prescindere dai nostri turni. Gradualmente ci allontaniamo da loro e loro da noi. Inevitabilmente, anche se con le dovute eccezioni
Lavorare in rianimazione è un bellissimo inferno per quello che ti può dare e per quello che ti resta dentro. Per quello che trovi e per quello che lasci.
Lavorare in rianimazione può cambiarti la vita. In molti modi diversi.

Andrea Leonelli

Alessandro Cirillo: non solo uno scrittore

Alessandro Cirillo: non solo uno scrittore, ma anche un Capotreno.

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In questo spazio, tutto dedicato agli autori, vogliamo farvi conoscere alcuni degli scrittori che hanno pubblicato con EEE. Le loro principali attività influiscono sugli scritti, creando quell’impronta che diventa caratterizzante per ognuno di loro. Alessandro Cirillo non è solo uno scrittore di talento, ma è anche un Capotreno che viaggia attraverso la Penisola, trovando il tempo per costruire le sue trame e per trarre dalla realtà degli spunti decisamente interessanti.

Alessandro Cirillo ha pubblicato con EEE Attacco allo Stivale, Nessuna scelta e Trame oscure.

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Per lavorare a contatto con le persone bisogna essere dotati di una grande pazienza. Non fa eccezione l’attività che svolgo per guadagnarmi da vivere, ovvero il capotreno. Fino a una ventina di anni fa era una figura rispettata più o meno da tutti, ma con il passare del tempo ha assunto sempre di più il ruolo di bersaglio con cui prendersela in caso di disservizi. Questo è uno dei segni di una società che cambia, purtroppo spesso in peggio. Come ricorda un annuncio diffuso sui treni regionali, il capotreno è un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Come gli altri miei colleghi, ho fatto un giuramento davanti a un altro pubblico ufficiale posando una mano sulla Costituzione.
Di cosa si occupa un capotreno?
L’attività che viene percepita dai viaggiatori è quella del controllo dei titoli di viaggio. Infatti, la maggior parte delle persone si riferisce a noi con l’appellativo di controllore o, peggio ancora, bigliettai. In un’occasione, un giapponese chiese a un mio collega “tu billietti plego?” A chi può interessare, io e molti altri capitreno (questo è il plurale corretto) non amiamo questi titoli, anche se ormai sono radicati nel linguaggio comune. Chiamateci con il nome giusto e ne saremo ben felici.controllore1
Biglietti a parte, possiamo dire che il capotreno è l’autorità massima a bordo di un treno, come del resto suggerisce il nome. È il punto di riferimento per tutto quello che succede a bordo, anche quando si presentano dei disservizi o situazioni d’emergenza, come ad esempio il malore di un viaggiatore. In caso di malfunzionamenti degli impianti, come ad esempio la climatizzazione o le porte di salita, è in grado di operare piccoli interventi di manutenzione. Mi immagino già la faccia diffidente di qualcuno che ha viaggiato su una carrozza con la temperatura a quaranta gradi in estate. Per piccoli interventi intendevo operazioni che, in base alla gravità del guasto, a volte possono funzionare mentre altre no.
Oltre a queste attività, il capotreno deve conoscere alla perfezione una serie molto corposa di regolamenti per la circolazione ferroviaria, da mettere in atto in caso di degrado. Il corso per ottenere la qualifica dura circa tre mesi e ogni anno ci sono almeno cinque giornate dedicate all’aggiornamento professionale. I regolamenti sono sempre in continua evoluzione.
Negli ultimi anni si è purtroppo registrato un incremento delle aggressioni a danno del personale di accompagnamento ai treni. Questo è dovuto in buona parte al fatto che gli autori di questi atti non sempre ricevono punizioni adeguate. In alcune regioni, come Toscana e Piemonte, siamo arrivati alla media di quasi un ferroviere aggredito ogni settimana. La scintilla nasce spesso dopo la richiesta di esibire il biglietto ma, a volte, basta anche solo chiedere di togliere i piedi dal sedile o di spegnere una sigaretta. Il fenomeno può interessare un singolo individuo o addirittura gruppi, addirittura di ragazzini minorenni. Le cosiddette baby gang stanno prendendo piede da anni anche in Italia.20100820_capotreno
Lo stress interessa più o meno tutti i lavori, alcuni più degli altri. Per il mestiere del capotreno è una problematica da non sottovalutare. Già il continuo contatto con le persone alimenta una buona dose di stress. A questo si aggiungono il gestire situazioni di anormalità, come ritardi o malfunzionamenti alle vetture. Chi viaggia spesso in treno sa che il servizio non è sempre impeccabile. Oltre a tutto questo, ci sono orari di lavoro che possono arrivare alle dieci ore giornaliere, impegni anche durante domeniche e festività (i treni non riposano mai), pasti consumati alla svelta in orari irregolari, riposi fuori residenza (chiamati in gergo dormite fuori casa) che allontanano dalla famiglia anche per più di 24 ore. C’è chi ritiene il lavoro del capotreno una passeggiata, ma io sfido chiunque a provarlo anche solo per un mese.
Lavorare a contatto con le persone non è solo fonte di stress ma anche un’occasione per vivere una moltitudine di esperienze, a volte, anche divertenti. Ogni capotreno potrebbe scrivere un libro raccontando tutte le situazioni che ha vissuto.
Un aneddoto, che racconto spesso, è successo alcuni anni fa con una ragazza, credo appena ventenne. Durante una fermata, questa ragazza si avvicina a una porta chiusa per salire. Ci sono due pulsanti: uno rosso e uno verde. Accanto ai pulsanti c’è un adesivo con il disegno di un dito su un disco verde. La scritta sull’adesivo è inequivocabile: “per aprire premere il pulsante.” Io mi trovo proprio dietro la ragazza. La vedo esitare per un istante, forse per leggere la scritta. Dopo un’attenta riflessione preme il disco verde disegnato sull’adesivo. Ovviamente non succede nulla. Riprova ancora una volta a schiacciare l’adesivo ma la porta non si apre. Una risatina mi compare sotto i baffi ma non intervengo, sono troppo curioso di vedere come va a finire. Cercando di seguire una logica, hai premuto due volte un adesivo senza successo e ci sono due pulsanti sotto il tuo naso. Vorrai provare uno dei due, anche quello rosso se vuoi? Niente da fare. Con caparbietà schiaccia ancora una volta l’adesivo. E no, adesso è troppo! Cercando di non scoppiare a ridere mi avvicino a lei e premo il pulsante corretto. La porta si apre come per magia. La ragazza mi guarda come se fossi appena sbarcato da Marte e mi ringrazia.capotreno
Un’altra storia da raccontare è invece un po’ più piccante ma è successa almeno una volta alla maggior parte dei miei colleghi. Una bella ragazza sudamericana vestita con una minigonna e canottiera attillata è seduta in una zona della carrozza dove non si trova nessun altro. Le chiedo il biglietto ma, dopo aver tergiversato un po’ dicendo che l’ha perso, ammette di non averlo. Di soldi non ne ha quindi le chiedo un documento per procedere con un verbale. Lei me lo consegna senza fare storie e io inizio a compilare. Non mi accorgo subito che la minigonna è iniziata ad alzarsi sempre di più fino a rivelare che la ragazza ha troppo caldo per indossare le mutandine. Anche se ho capito l’antifona le faccio notare la cosa. Lei risponde che va bene così. Ha iniziato un abbordaggio spudorato ma il verbale l’ho fatto lo stesso. Sono un professionista, oltre che sposato (tra l’altro mia moglie non ha apprezzato molto la storia). Quando ho consegnato il verbale da firmare alla ragazza, ha rinfoderato l’artiglieria pesante con una punta di delusione.
Potrei raccontarne molti altri di aneddoti ma poi dovrei scrivere davvero un libro. A proposito di scrittura, il mio lavoro spesso è fonte di ispirazione. Nel primo libro, Attacco allo Stivale, molti dei luoghi in cui si svolgono le vicende li ho visitati per servizio. Uno degli attentati descritti avviene proprio alla stazione di Milano Centrale. Nel mio prossimo libro Trame oscure, uno dei protagonisti è un capotreno (tra l’altro ispirato a un collega in carne ed ossa).
Concludo augurandomi di essere riuscito a darvi una panoramica sul mio lavoro utilizzando questo breve spazio. Se doveste trovarvi in una situazione di disagio, come un forte ritardo, mi raccomando di non prendervela con il capotreno. Capisco che quando uno è nervoso si deve sfogare, ma ricordate che lui o lei non ne può nulla. È una persona proprio come voi che, se presa con educazione, cercherà di aiutarvi come meglio potrà.
Alessandro Cirillo