Intervista a Nino Raffa

Intervista a Nino Raffa

l'amore allo specchioL’amore allo specchio, di Nino Raffa, non si può considerare semplicemente un giallo, anche se ne ha alcune caratteristiche. L’ingrediente principale non è tanto il mistero in sé quanto la ricerca che conduce ad esso. Tipico della migliore tradizione narrativa, l’elemento della “ricerca” esprime tutti gli ingredienti del classicismo epico, in questo caso letto in chiave moderna. Tuttavia, proprio per quella voluta eleganza stilistica, il romanzo ben si accosta anche alla narrativa d’autore, caratteristica dei più grandi scrittori siciliani.

Partendo dal fattore basilare, cosa spinge un autore a utilizzare l’elemento “ricerca” per distinguere il proprio testo?

Intanto la ringrazio per l’accostamento ai grandi scrittori siciliani. Lei ricorderà una famosa foto di Sciascia, Bufalino e Consolo che ridono insieme di gusto, seduti in un giardino: credo che tutti e tre, nel giardino del paradiso, avranno accolto il suo generoso giudizio con la stessa ilarità!

Riguardo alla domanda, Borges riconduceva tutte le nostre narrazioni a quattro esempi fondamentali: le storie di Troia, di Ulisse, di Giasone e di Cristo; ovvero l’assedio, il ritorno, la ricerca e il sacrificio. Nonostante gli sforzi d’inventare qualcosa di diverso, le trame possibili sembrano ristrette a questa lista striminzita. Quanto agli esiti della ricerca, lo stesso Borges nota che gli antichi potevano conquistare il Graal o il Vello d’Oro, mentre noi moderni siamo condannati all’insuccesso. Achab e Josef K. sono ontologicamente destinati alla distruzione e al fallimento: un destino diverso li renderebbe falsi ai nostri occhi disillusi e smaliziati.

L’Amore allo specchio rientra in questa regola. In più ho tentato una storia in cui, l’ordinaria sconfitta pretesa dai nostri tempi, covasse in sé il seme ribelle di un riscatto. Ho immaginato un normale progetto umano – disegnato d’ingenuità, miopie ed errori – che oltre, e contro, le intenzioni dei suoi stessi artefici contenesse una vittoria più importante.csgp_10_Sciascia_Consolo_Bufalino.jpg.

I protagonisti del suo romanzo sono alcuni abitanti di una casa di riposo per anziani, ci può spiegare il perché di questa scelta?

Ho scelto ambientazione e tipi in qualche modo familiari. Gli anziani hanno avuto un ruolo importante nella mia vita e la narrazione è scaturita da certe figure che porto dentro. In particolare un bisnonno burlone e scioperato ha ispirato l’idea di fondo del romanzo.

Personaggi non propriamente giovani apportano dei valori aggiunti in quella che è la propria caratterizzazione, come saggezza ed esperienza. Questa scelta può controbilanciare le ovvie limitazioni fisiche dovute all’età?

In generale, non sono sicuro che la vecchiaia garantisca saggezza o esperienza. Mi sembra piuttosto un affinamento – nei casi migliori – o un’esasperazione – nella norma – di certe proprietà personali, magari risalenti all’infanzia. Chi è stato stupido da giovane proseguirà volentieri sulla stessa linea fino a cento anni e oltre.

Sul piano personale invece sono stato fortunato con i miei vecchi. Devo loro un certo distacco dalle contingenze, insieme all’inclinazione a guardare sotto la superficie delle cose. Nel romanzo amplifico e deformo questi caratteri nella figura di Pirri, ex professore di filosofia ultranovantenne, che quasi immobile nella sua cameretta costituisce il principale motore dell’azione. Dubito comunque che l’eventuale affinamento di certe qualità mentali dovuto agli anni, possa compensare il declino fisico. Siamo fatti troppo di carne per assistere impassibili alla nostra distruzione materiale: saggezza ed esperienza possono darci solo limitata consolazione.

I personaggi di Pirri e Miriam sono certamente centrali per la narrazione, ci può dire come sono nati?

Pirri e Bonanno si rifanno ai miei nonni: uno prudente e riservato, l’altro straordinario trascinatore, animato da un entusiasmo talvolta incauto. Ma più in profondità Nino Pirri è una versione invecchiata e incattivita del suo autore. Scrivere di lui è servito a conoscermi, e un po’ a guardarmi dalle possibili derive di me stesso. Nella battuta finale del romanzo approfitto del comune nome di battesimo per giocarci su.

La piccola Miriam è la persona ideale per una miracolosa guarigione. In più con le sue domande semplici e spietate sui miracoli, incarna una certa purezza di mente e di cuore originaria; ovvero la possibilità, che si perde crescendo, di guardare ai fatti senza pregiudizi di educazione, di parte, d’ideologia o di religione.

Il mio personaggio preferito – quello in cui più ho versato il mio carattere, insieme ai dubbi e alle speranze – rimane comunque Caruso, il becchino. Figura peraltro direttamente ispirata a una persona esistente.

Nel suo romanzo ritroviamo molti aspetti “quotidiani”, come il bisogno della gente di credere in un qualcosa che vada al di là del puro esistenzialismo. Tuttavia, un aspetto di questa necessità diventa controverso quando si affronta un tema come i miracoli, da un lato esiste la fede e dall’altra la brama di trarne profitto, cosa l’ha spinta a voler ritrarre questo scorcio sociale del nostro paese?

Forse più che in altri tempi recenti la cronaca di questi giorni registra il lacrimare o il sanguinare d’immagini sacre, e non serve neppure entrare nel merito della loro autenticità. Quando le illusioni di ricchezza, bellezza, gioventù e salute, insite nel materialismo e propagandate dalla pubblicità, vengono smascherate, diventa naturale cercare rifugio in qualcosa di più profondo. La fede sul versante religioso, come alcune filosofie su quello laico, rientrano tra gli strumenti cui ci rivolgiamo per ridurre la frattura tra noi stessi e il mondo che sentiamo ingiusto e minaccioso. Ma anche qui scontiamo l’essere spiriti incarnati: abbiamo bisogno di segni visibili. Il miracolo, vero o presunto, s’inserisce in questa condizione sofferente di ricerca ma anche di smarrimento. Normale, almeno secondo il corso di questo mondo, che le forze opposte del denaro e del potere s’insinuino nella nostra fragilità per i loro scopi abietti. Ancora più normale che ciò avvenga in questi momenti di crisi collettiva.

Da un suo punto di vista personale, quanto peso può assumere un “miracolo” nella solidità della fede di una persona?

Ho sempre creduto alla possibilità del miracolo, sembrandomi perfettamente ragionevole l’intervento soprannaturale di Dio nel mondo, per il nostro bene e come segno del suo amore. Da giovane però, forse confuso da certi eccessi di credulità, pensavo che aggiungesse poco o nulla alla fede. Il miracolo in termini razionali o scientifici non prova nulla: è sempre possibile ridurre anche i casi oggi più inspiegabili alle ordinarie conoscenze umane del futuro.

Adesso sono più prudente, riconoscendo l’effetto positivo di un segno straordinario nello scuotere la nostra fede, spesso asfissiata dalla sua immersione nell’ordinario. Rimane l’assenza di prova. I teologi individuano una specie di circolarità: i miracoli confermano la fede, ma per riconoscerli serve una predisposizione personale, che magari non è ancora fede affermata ma è già uno stato positivo di accoglienza verso l’amore di Dio. La fede è quindi sia condizione che effetto del miracolo. Ma credo ci sia un altro aspetto importante: di solito ci concentriamo su certi effetti materiali, come una guarigione fisica, dimenticando che il primo scopo del miracolo è la nostra salvezza spirituale. Se pensiamo ai miracoli per eccellenza – quelli di Gesù – notiamo che sono associati alla conversione, ovvero a un radicale cambiamento della persona che lo riceve e di coloro che ne sono testimoni. In certi passi del romanzo, e in particolare nell’ultimo dialogo tra Bonanno e Caruso ho cercato, con tutti i miei limiti letterari e soprattutto di fede, di richiamare – direi meglio, d’indagare, prima di tutto per me stesso – questa valenza del miracolo, meno eclatante ma più fondamentale.

Il vero valore di una reliquia risiede nella sua autenticità, oppure nel suo essere simbolica, anche se, magari, non vera? E può diventare comprovante di un determinato avvenimento storico, a prescindere dal fattore religioso?

Innanzi a una reliquia cristiana confidiamo in qualche modo nel potere di Cristo o nell’intercessione della Madonna o di un Santo, ma l’oggetto, a prescindere dalla sua autenticità, non ha valore in sé. Penso che l’efficacia della reliquia stia nella preghiera sincera e profonda che accompagna il culto. Si torna alla circolarità tra miracolo e fede. Nel libro è la preghiera disperata di Rosetta, rafforzata dalla fiducia nel presunto capello della Madonna, a realizzare la possibilità del miracolo.

Le reliquie hanno pure un valore di testimonianza storica indipendente dalle loro implicazioni mistiche. Sullo stesso piano esistono anche oggetti di culto laico, come il cervello sotto spirito di uno scienziato, la chitarra di un cantante o le carte di uno scrittore. Naturalmente a questo livello parliamo di cose che interrogano la memoria e non più la coscienza.

Come ha sviluppato il lavoro di ricerca storica che fa da corollario al romanzo, in particolare per la lettera della Madonna?

La documentazione è stata facile da reperire in biblioteca; compreso il famoso Viaggio degli ambasciatori di Messina mandati alla Gran Madre di Dio in Gerusalemme congetturato e contemplato da mente devota… eccetera, eccetera… che nel romanzo definisco con sincera ingratitudine polpettone. Su qualche testo latino, grammatica e vocabolario alla mano, sono ricorso con alterne fortune alle sbiadite reminescenze dei già distratti studi liceali. A parte questi affanni, ripercorrere le vicende della Sacra Lettera lungo la storia è stato altrettanto divertente che inventargli attorno un racconto.

Quando Nino Raffa non scrive, come occupa il proprio tempo?

Nino Raffa, come il suo bisnonno Peppino Papa arruolato nel romanzo, sarebbe commerciante. E come lui non prende troppo sul serio il suo lavoro. Quando non scrive e traffica gli piace dilettarsi d’architettura. Lo vedo come un uomo di tante curiosità e nessun mestiere.

Quali sono i progetti futuri?

Sto riordinando, non senza fantasia, certi diari giovanili, in una specie di autobiografia non autorizzata. Lavoro pure da qualche anno con intermittenza a una faticosa riscrittura della Genesi, assumendo come punto di vista privilegiato i rapporti tra donna e uomo.

Mi preme in chiusura ringraziarla per aver potuto discutere insieme di vecchiaia, teologia e libri polverosi. Nonostante mi sia guardato dal nominare San Paolo, la doppia predestinazione e Sant’Agostino – ulteriori argomenti di grande richiamo – sospetto che la nostra conversazione non sia stata ideale per spingere il romanzo. Mi chiedo con preoccupazione cosa ne penserà il mio editore. Ma come mentiamo sempre, non si scrive per vendere… ma per se stessi!

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L’inferno nell’anima

La resa degli innocenti: discesa verso l’inferno.

la resa degli innocenti

La resa degli innocenti, scritto da Irma Panova Maino, non è solo un libro noir, ma una reale discesa verso l’inferno nell’animo umano. Un percorso doloroso e devastante che una donna compie per cercare la verità sulla fine del proprio figlio. Una verità che non potrà lenire in alcun modo il suo animo sfregiato, ma che diventerà il sale su una ferita aperta. L’inferno non è solo quello che ci circonda, e i cui abissi sconvolgono la mente, ma anche quello che ognuno di noi porta nel proprio cuore. Questa è la storia di una donna a cui viene strappata la sola ancora fra la realtà e la bestia che la governa. Quella bestia che si libera per andare avanti quando non si ha più niente da perdere.

Vi ricordiamo che l’autrice presenterà il proprio libro nel corso dell’appuntamento previsto il 16 novembre, alle ore 11, presso le Sale Panoramiche del Castello Sforzesco di Milano. La presentazione rientra nella programmazione offerta da BOOKCITY MILANO e s’intitolerà: “Editoria Nativa Digitale. Il caso EEE”.

La trama:

Cosa fareste se rapissero uno dei vostri figli? E cosa sareste disposti a fare per ritrovarlo? Queste le domande di partenza che si è posta Irma Panova Maino per scrivere un romanzo duro, a tratti crudo, che non lascia indifferenti. Con quel pizzico di sovrannaturale che caratterizza tutte le opere di questa autrice. Barbara è una donna dolorosamente segnata dalla vita per la morte del marito in un grave incidente, ma supera il momento terribile quando si accorge di essere incinta: è il piccolo Marco a darle, per dodici anni, la forza e il coraggio di continuare a vivere. Ma un giorno, una nuova tragedia la travolge: il figlio scompare nel nulla, senza lasciare alcuna traccia. Questo le permette ancora di sperare, di ipotizzare che il piccolo non sia morto, ma che sia stato rapito. Inutile farsi illusioni, certamente la verità che si cela dietro quella scomparsa non può essere che drammatica, ma una madre ha il bisogno di sapere. Marco è stato rapito da chi voleva venderne gli organi, per farlo entrare nel lubrico circuito della pedofilia o per quali altri abietti motivi? Dopo un terribile periodo di depressione, la donna reagisce a suo modo, trasformando se stessa in un’arma letale, disposta a tutto, nascondendo sotto una scorza impenetrabile un cuore che non smette di sanguinare, mostrando all’esterno soltanto durezza e feroce determinazione. Barbara diventa Rian, spietata giustiziera, alla ricerca di qualche traccia del figlio. Una singolare figura maschile le sarà accanto fino alla fine, fino a quando lei troverà tutte le risposte che cerca e anche l’unica pace possibile.

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Intervista a Leonora Signifredi

Intervista a Leonora Signifredi

fuilles d'albumFeuilles d’album pare un romanzo quasi anacronistico, vista la scelta di voler comporre la trama attraverso uno scambio di missive che svelano, volta per volta, tutto l’intreccio che porta al colpevole. Tuttavia, da Goethe a Foscolo, molti scrittori affermati hanno utilizzato questo escamotage per penetrare nell’anima del lettore attraverso gli occhi dei protagonisti.

  • Dunque, perché Leonora Signifredi ha utilizzato proprio questo stile per il proprio romanzo?

Ho sempre trovato affascinanti i romanzi epistolari, per il particolare equilibrio che vi si respira, anche se non avevo mai immaginato si scriverne uno. La scelta è stata piuttosto improvvisa: quando ho iniziato a progettare il racconto, scegliendo l’epoca di svolgimento, mi è venuto “naturale” immaginarla sotto la forma di una serie di epistole.

  • Vi sono particolari difficoltà nello svolgere una trama in questa forma?

Delle difficoltà mi sono resa conto quando ho iniziato a scrivere le prime lettere. Essendo un giallo occorreva aver ben chiaro le informazioni scritte dai tre personaggi narranti, ma forse la difficoltà più grande è stato tentare – e spero di esserci riuscita – di dare un tono diverso, una personalità diversa allo stile delle lettere dei tre personaggi narranti.

  • L’ambientazione particolare riporta alla mente gialli storici molto seguiti. Un esempio classico: Il nome della rosa. Dunque, perché ambientare un giallo nel 1800?

La motivazione più banale è la mia totale ignoranza in fatto di medicina legale e dei vari tempi tecnici che occorrerebbero in un’indagine contemporanea. Partendo da questo fatto, mi sono direzionata verso il passato. Avendo studiato la Francia della seconda metà del XIX secolo per la tesi di laurea specialistica, mi è venuto naturale concentrarmi su quel periodo.

  • Sia per lo svolgimento della trama che per l’accuratezza della descrizione dell’epoca, la ricerca quanto tempo ha portato via?

Sicuramente il materiale che avevo già raccolto per la tesi di laurea, di cui parlo poco sopra, mi ha aiutato molto, ma ho comunque trascorso diverse interessanti giornate a leggere cronache sui quotidiani francesi del periodo e rileggere alcuni libri di storia e di storia del costume durante il Secondo Impero.

  • I personaggi, benché d’epoca, possono essere ricondotti a personaggi odierni? E hanno una qualche connotazione con persone realmente esiste o esistenti?

Credo che alcune tematiche siano universali e possano essere ricondotte a tutte le epoche, per quanto i personaggi da me immaginati abbiano un modo di intendere la vita e di comportarsi tipico della loro epoca.

  • Da cosa ha tratto ispirazione per la trama?

Da un viaggio in Alvernia. Il castello descritto nel romanzo, ed è l’unica ispirazione presa dal mondo reale, è ispirato al castello di Anjony a Tournemire che ho avuto l’occasione di visitare durante quel viaggio. Poi la fantasia ha fatto il resto.

  • Quanto diventa incisiva la “speranza” in una trama dalle tinte fosche?

Molto, per quanto possa sembrare lieve e flebile. E forse può diventare più incisiva in situazioni particolarmente fosche.

  • Feuilles d’album  è stato segnalato nel I Concorso indetto da EEE, quali sono state le sensazioni derivate da questo splendido piazzamento?

Stupore e gioia. Poi la seconda ha preso decisamente il sopravvento sulla prima.

  • Quando Leonora Signifredi non scrive, come occupa il proprio tempo?

Lavoro nell’azienda di famiglia. Leggo molto e di tutto. E coltivo la mia più grande passione: vado all’opera e ai concerti.

  • Quali sono i progetti futuri?

Al momento spero di riuscire a ripetere la magnifica esperienza dell’anno scorso, dove ho seguito un progetto sulla musica a scuola. E di continuare a scrivere.

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Il blog, la tua casa

La casa di ogni autore EEE

Interior 3D view

Il blog di EEE non è solo un luogo in cui si presentano le promozioni dei libri, gli eventi in cui sono coinvolti gli autori e si espongono le notizie relative alla Casa Editrice, ma un posto in cui ognuno degli autori, presente nel catalogo, trova la propria dimora. L’antro dello scrittore in cui, oltre alle storte e agli alambicchi, gli stessi che hanno permesso di creare la magia delle trame, vi sono  tutti gli strumenti necessari affinché l’animo dell’artista si senta a casa. Vi è il suo libro, la scheda con tutti i dati di riferimento (compresi i link per acquistare sia da Amazon che da Kobo), la scheda dell’autore con biografie, interviste e booktrailer… ma non solo. Abbiamo aggiunto anche il link diretto alle recensioni che vi hanno messo su Amazon, nonché una sezione apposita in cui raccoglieremo tutti i vostri riconoscimenti, le menzioni, i traguardi raggiunti.

Quella che segue è una breve legenda con cui consultare quanto vi ho esposto fino a ora.

  • Le bande colorate a lato della cover: ogni libro è inserito in una determinata collana, ad esempio, le copertine con banda grigia indicano il genere giallo, thriller, noir.
  • Nella sezione shop, oltre a consultare le schede e le trame dei libri presenti nel catalogo EEE potrete anche trovare i link per l’acquisto e il link che conduce direttamente alla pagina di Amazon in cui sono contenuti i commenti dei lettori. Oltre a questo, nel caso in cui un libro abbia ottenuto un riconoscimento, questo verrà segnalato con tre diversi simboli: la coppa per un primo posto, il serto in alloro per i secondi e terzi classificati, la stella per indicare una menzione speciale, un elogio, una finale o un altro premio.
  • La voce “premiati“, presente nel menu, raccoglie tutti i titoli che abbiano ottenuto una citazione.
  • Booktrailer, interviste e biografie sono presenti, invece, nella sezione “autori” del menu.

Il blog EEE vive con voi e cresce insieme ai propri autori, cercando di offrire quante più notizie sia possibile dare a chiunque voglia saperne di più su un libro o su chi lo abbia scritto. Continuate a segnalare le vostre iniziative e, nel caso trovaste qualche errore o imprecisione, segnalatelo all’indirizzo email eee.blog@email.it.

Autunno è Poesia

Autunno è Poesia

Personalmente trovo che l’autunno sia la stagione che meglio rappresenta l’introspezione poetica.

Inquadrando la poesia come un momento di pausa riflessiva, un momento idoneo a consumando i giornicambiamenti interiori, il lento spegnersi autunnale con le sue atmosfere nebbiose, fosche, con le notti che si allungano e il conseguente ridursi delle ore di luce, il freddo che costringe a passare le serate in casa, le prime piogge, è il momento migliore per quella poesia intimista e di umana autoanalisi.
In occasione, appunto, dell’autunno e dell’arrivo di questi preziosi momenti di quiete emozionale, dopo l’effervescenza della più spiccata sensualità estiva, in questi solitari sospiri in cui si fanno i conti fra dato e avuto, la poesia trova la sua migliore collocazione.
Per questo motivo, in accordo con l’editore Piera Rossotti, abbiamo deciso di abbassare il prezzo sia di “La selezione colpevole” che di “Consumando i giorni con sguardi diversi” a 0,99€

In un mondo bisognoso di attimi di riflessione, introspezione e di autoconsapevolezza, ritengo questa scelta la migliore possibile. In questo momento in cui la poesia viene bistratta come orpello inutile, di cui molti si fregiano per aver scritto due parole in rima, in cui leggere diventa sempre più un lusso e, oltretutto, un’attività sempre più rimandabile a favore di attività che costringano a non dover guardarsi dentro, ritengo che questa nostra scelta sia, oltre che coraggiosa, un riconoscimento a quei lettori sensibili, sempre più rari ma sempre più preziosi.

Con tutta la mia stima per voi lettori

Andrea Leonelli

Intervista a Elena Moscardo

Intervista a Elena Moscardo, autrice di “I nostri scarponi sulla via MOSCARDO_ESTERNAFrancigena”

I nostri scarponi sulla via Francigena è un libro singolare, un diario di viaggio, che percorre il tragitto fra Modena e Roma, che i protagonisti hanno compiuto nell’anno Giubilare del 2000 per arrivare fino alla Capitale. Un pellegrinaggio vissuto in quest’epoca moderna in cui l’effimero pare abbia preso il sopravvento sulle nostre vite e in cui le scelte facili sono diventate il mal costume comune, Elena Moscardo, autrice del libro, racconta questa esperienza condivisa con il marito Alessandro.

  • Innanzi tutto, tu e tuo marito siete avvezzi camminatori e la comune passione per i viaggi a piedi vi ha portati a percorrere diversi tragitti, come nasce la scelta di raccontare al pubblico proprio questa vostra esperienza?

L’idea e la voglia di raccontare agli altri questa esperienza, non mi è venuta subito, ma quasi 10 anni dopo averla vissuta. Il tutto è iniziato quando, raccontando ai nostri figli o agli amici i vari fatti che erano accaduti, ho iniziato ad accorgermi che la mia memoria cominciava a fare capricci: le tappe, gli incontri, le sensazioni che avevamo provate durante il viaggio spesso si sovrapponevano e confondevano. Sono allora ritornata a prendere in mano il diario di viaggio che avevo scritto allora, e rileggendolo mi sono accorta delle tante cose descritte che già non ricordavo più e delle tante altre, invece, che mi tornavano in mente ma non avevo scritte. E’ allora che ho deciso di iniziare questo libro, perché fosse anzitutto un ricordo ed una testimonianza per me, per mio marito e per i nostri figli, ma poi anche per tutti coloro che avrebbero avuto voglia di leggerlo e di ripercorrere quei sentieri assieme a noi. Perché quando si vive un’esperienza di vita bella è proprio un peccato non condividerla!

  • Gli equipaggiamenti si discostano notevolmente da quelli usati in tempi meno recenti, che cosa c’era dentro nei vostri zaini e cosa cambieresti ora, a distanza di qualche anno?

Nei nostri zaini c’erano poche cose, perché dovevamo tassativamente rientrare nel peso di 11-12 kg consigliato a chi cammina per tratte di circa 10 giorni. Tra gli oggetti indispensabili: i bastoncini da trekking, una mini-guida cartacea fatta da Alessandro, alcune carte IGM delle località attraversate, una bussola, la torcia, la cassetta di primo-soccorso e pochi medicinali essenziali, un coltello serramanico multiuso, la macchina fotografica e un diario. Come capi di abbigliamento: due magliette, un micro-pile, due pantaloncini, due pantaloni lunghi, una mantella per la pioggia, un fazzoletto da usare come copricapo, gli scarponi e un paio di sandali da cammino. In aggiunta solo un po’ di biancheria, un asciugamani e un pezzo di sapone, per tenere rinfrescato questo ristrettissimo guardaroba.
Se dovessimo ripartire adesso riprenderei con me esattamente le stesse cose, purtroppo non gli stessi scarponi, a cui ero affezionatissima, perché sono durati per solo poche altre uscite dopo quel lungo viaggio! Unica cosa in più, non in sostituzione, sarebbe un buon telefono con riferimenti GPS, per avere a disposizione tutte le mappe e le indicazioni sulle varie tappe in tempo reale. Tuttavia il nostro navigatore per eccellenza resterebbe una buona mini-guida preparata con cura e su misura per noi nel periodo precedente alla partenza. Realizzarla è una delle cose più divertenti dell’avventura!

  • Per una donna, affrontare un viaggio del genere comporta diverse difficoltà, anche da un punto di vista puramente pratico, come hai affrontato il tuo personale pellegrinaggio?

Devo confessare che grazie alla mia buona capacità di adattamento anche in condizioni difficili, quando sono a disposizione pochi confort, non ho incontrato particolari disagi, o comunque non tali da non riuscire, in qualche modo, a trovare una strategia per affrontarli e superarli. Sono una donna forte, questo devo riconoscermelo! Per me le maggiori difficoltà sono state quelle psicologiche come quella di imparare a gestire lo scoraggiamento, che a volte mi ha presa, dovuto alla momentanea perdita della motivazione che mi aveva portato a fare quello che stavo facendo. E senza un buon sostegno motivazionale è più difficile affrontare tutto: la fame, la sete, il freddo, il caldo e la fatica fisica.
Il mio personale pellegrinaggio è stato un’ottima scuola per imparare a conoscere i miei limiti, ad accettarli e a conviverci. E forse la cosa tra tutte più importante che ho imparato da questa esperienza è stata quella di sapermi affidare. Questo per me significa accettare con umiltà e con Fede che le cose, dalle più piccole e quotidiane a quelle importanti, a volte non vanno come vorresti, e si divertono a sconvolgere i tuoi piani, ma se le accetti così come vengono ti fanno quasi sempre arrivare ad un risultato inaspettato ben al di sopra delle tue aspettative.

  • Come ogni buon diario che si rispetti, fra le pagine vi sono raccolti momenti d’intensa emotività dovuti ai più svariati motivi, sia personali che esterni, vi è stato un episodio che, a distanza di tempo, rammenti più di altri?

In realtà tutti sono stati episodi belli e significativi per aspetti diversi, e non vorrei dimenticarne nessuno. Se proprio dovessi sceglierne uno solo da raccontare, sceglierei l’episodio del nostro incontro con il cane Mezzo-Husky sulla strada verso Larciano Castello. E’ stata un’occasione importante per riflettere su argomenti come l’amicizia, la fedeltà, il senso del dovere… Credo che quel cane, nell’accompagnarci per un tratto della nostra strada, ci abbia donato gioia e sicurezza, e soprattutto con la sua presenza ci abbia distratto dalla fatica e dalla noia delle tante ore di cammino.

  • Qual è stato il momento più difficile sia da descrivere nel libro che da affrontare durante il percorso?

Il momento più difficile da affrontare nel percorso è sicuramente stata la discesa dal Rifugio Duca degli Abruzzi a San Marcello Pistoiese sotto la piaggia, il vento ed immersi in una fitta nebbia che impediva di vedere dove mettevi i piedi. Lì ho dovuto veramente tirare fuori tutta la mia volontà.
Il momento più difficile da descrivere, invece… probabilmente la sofferenza di Alessandro per la sua borsite al tallone durante gran parte del viaggio; credo di non essere riuscita a rendere veramente quanto questo inconveniente abbia pesato su di lui fisicamente e psicologicamente. Lui è stato molto forte e tenace!

  • I momenti di difficoltà vissuti hanno sicuramente rinsaldato il vostro legame, tuttavia, considerando la vostra come una prova per misurare singolarmente voi stessi, pensi che gli ostacoli intercorsi siano stati creati appositamente anche per verificare la solidità dei vostri intenti?

Sicuramente, di questo ne sono convinta. Niente succede per caso, ed anche le prove, le difficoltà che si sono poste sul nostro cammino sono servite per farci riflettere sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, perché è solo vedendole faccia a faccia che siamo riusciti ad affrontarle e a superarle. E poi, non si dice forse che: ‘…quando il gioco si fa duro… è lì che i duri cominciano a ballare!’ ?

  • Questa esperienza che cosa ti ha lasciato, oltre agli evidenti e splendidi ricordi che descrivi nel tuo libro?

Domanda difficile… non è facile spiegare una cosa così ‘intima’, ma proverò a rispondere. Questa esperienza mi ha lasciato tante cose, ed oggi non sarei la donna, la moglie e la mamma che sono se non l’avessi vissuta. E la cosa più importante che ho imparato è stata quella di saper accettare con umiltà che le cose non vadano secondo i miei programmi. E per una persona razionale, programmatrice e meticolosa come sono io, è stato un vero dono. Non è una cosa che ho imparata per sempre ed ora mi comporto di conseguenza… sarebbe troppo facile! E’ invece un pensiero che si è insinuato nel mio animo e nella mia mente e si ripresenta ad ogni occasione, come un monito, una voce interiore che non posso più far finta di non sentire, anche se ancora, a volte, mi infastidisce. Questo monito mi dice che, come lungo un sentiero, tutti i bivi di strada che si presentano nelle mie giornate sono importanti, perché da lì la strada prende direzioni completamente diverse, e che ce ne saranno sempre tanti, senza tregua, senza sosta, da affrontare in qualunque condizione, anche quando sarò stanca, demotivata o delusa. Mi ricorda che il modo migliore per continuare a camminare, superando questi bivi e scegliendo la via giusta per il mio cammino è quello di non credere superbamente di doverlo fare da sola, ma di sapermi affidare…e sapete, non è affatto facile per una come me che si considera una buona camminatrice, accettare, a volte, di farsi portare in braccio!

  • Una curiosità, quando siete finalmente giunti a Roma, qual è stato il tuo primo pensiero e che cosa hai fatto per prima cosa?

Ad essere sincera, il mio primissimo pensiero è stato: ‘E’ finita, finalmente…Ce l’ho fatta!’. Il secondo pensiero è andato alla strada percorsa, alle difficoltà, ma anche alle tante gioie vissute, agli incontri, ai paesaggi, a noi stessi e a tutte le persone che amiamo.
La prima cosa che ho fatto arrivata a Roma è stata quella di chiedere ad un passante di scattarci una fotografia davanti alla Basilica di San Pietro. Volevo avere una prova concreta che eravamo lì, finalmente giunti alla tanto desiderata meta, mio marito ed io insieme, un istante bloccato nel tempo, da tenere per sempre come ricordo.

  • Hai affrontato numerose presentazioni in questo periodo, le quali ti hanno portato a contatto con persone diverse, qual è la domanda che ti senti rivolgere più spesso e, ovviamente, tu cosa rispondi?

La domanda che le persone mi rivolgono più spesso è ‘Che cosa te l’ha fatto fare?’ e la mia risposta è sempre la stessa. Abbiamo intrapreso quel viaggio a piedi di 380 km sulla Via Francigena con la voglia di fare un’impresa impegnativa, non tanto fisicamente, ma più per la ricerca del senso delle cose e di noi stessi, e per questo indimenticabile. Volevamo metterci alla prova fisicamente e psicologicamente, e vedere se, alla fine, ci saremmo riusciti. Sapevamo, per sentito dire, che il pellegrinaggio è un’esperienza che ti cambia nel profondo, e abbiamo voluto provarlo sui noi stessi. Il desiderio di fare questa esperienza insieme a mio marito è perché, allora inconsciamente oggi coscientemente, desideravamo che qualunque cambiamento fosse avvenuto in noi durante quel viaggio, doveva essere nella stessa direzione.

  • Il ritmo che impone una camminata permette di poter godere della natura circostante, in quanto esperta nell’ambito zoologico-naturalistico, come reputi che sia lo stato di salute della nostra fauna?

Dici proprio bene, perché veramente è solo il lento camminare che ti permette di accorgerti di quello che hai intorno, di sentire i rumori della natura e di cogliere le tracce del passaggio di qualche animale, che vive lì accanto, ma tende ad essere molto riservato. Ritengo che il paesaggio, le bellezze naturali come la fauna e la flora della nostra penisola risentano di un’eccessiva antropizzazione e che alle poche isole-riserve naturali sia data troppa poca valorizzazione e quasi nessun finanziamento perché possano sopravvivere. Il fatto è che lo Stato per primo, ma anche il modo diffuso di pensare della gente, purtroppo, le considera territorio perso per l’economia di mercato anziché, come dovrebbe essere, una risorsa enorme su cui creare un’economia sociale e solidale che coinvolga tutta la popolazione.

  • Quando Elena non scrive, come occupa il proprio tempo?

Attualmente oltre a cercare di fare al meglio la mamma e la moglie, collaboro con varie Associazioni Onlus e con il Museo di Storia Naturale della mia città per progetti nell’ambito culturale e della valorizzazione e salvaguardia ambientale-naturalistica del territorio intorno a Verona. E quando mi rimane un po’ di tempo ancora, naturalmente, cammino! Perché fermare una come me, è veramente difficile.

  • Quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro?

Desidero scrivere ancora, questo è sicuro. In realtà sto già scrivendo un nuovo racconto i cui personaggi-protagonisti sono gli animali che ho avuto nella mia vita e con i quali ho condiviso intensi momenti di amicizia; in questo testo emerge preponderante la biologa-etologa che è in me, il mio amore per la natura, per gli animali ed il loro comportamento. Posso dire che scrivo anzitutto per raccontare le cose che vedo, che sento e che provo, soprattutto quelle che per me hanno significato molto e, pertanto, desidero condividerle anche con chi avrà voglia di leggerle.
Per il momento, quindi, come scrittrice resto legata al genere autobiografico, di cronaca e saggistica, ma non voglio escludere che nel futuro potrò spaziare anche in altri genere letterari, perché, come è nel mio carattere, mi piace mettermi alla prova!

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Intervista a Eugenia Guerrieri

Eugenia Guerrieri, autrice di Deathdoc.Intervista a Eugenia Guerrieri, autrice di Deathdoc.

Deathdoc è un libro diverso, così diverso che difficilmente una trama come questa vi verrà riproposta con la stessa dose di humor, sarcasmo e incredibile realismo. Molto si cela dietro a un cadavere e non stiamo parlando del classico omicidio in cui il filo s’interrompe con la scoperta del colpevole, bensì di quello che accade “dopo”. Dopo che un corpo passa dallo stato di “vivo” a quello di “morto”, piombando nel caos burocratico e cinico che ruota intorno a qualsiasi salma. Ed è esattamente su questo che si basa il libro scritto da Eugenia Guerrieri, giovane scrittrice emergente, che ha fatto del macabro il suo punto di forza.

  • Innanzi tutto, questo non è il tuo primo libro, Eugenia, e Deathdoc non è un nuovo personaggio inventato appositamente per questa storia, vuoi raccontarci come nasce e da dove prende il suo soprannome?

È un personaggio già presente nella mia saga “La Bella Gioventù“, ambientata a Velletri, una cittadina della provincia di Roma, situata nella famosa zona dei Castelli. In origine era semplicemente il custode del cimitero, l’uomo stravagante che a dispetto del suo carattere scontroso, fa amicizia con uno dei protagonisti della saga, un ragazzo geniale (e per questo, solitario per natura) che, appena trasferito con la famiglia, prende a frequentare il cimitero “per avere un posto dove rifugiarsi quando ne ha abbastanza”. Nella bozza de “La Bella Gioventù” il custode del cimitero aveva un ruolo piuttosto marginale, solo in seguito – dietro pressione di un appassionato della mia storia – ho sviluppato la sua storia, finendo per scrivere un romanzo su di lui. Il perché di quel soprannome, che è anche il titolo del romanzo? Lo dirà la storia stessa.

  • Paolo Grandi, il nome fittizio dietro il quale si cela il tuo protagonista, è un uomo molto particolare, fuori da qualsiasi schema che lo possa identificare come eroe, che cosa ha ispirato questa tua scelta, perché proprio un uomo con questi determinati tratti caratteriali?

Paolo Grandi, il cui vero nome è Giovanni Di Micco, infatti, non è un eroe. Anzi, possiamo dire che i suoi guai se li è anche andati a cercare. Laureato con il massimo dei voti in Medicina e Chirurgia, appassionato di Medicina Legale, ha rinunciato alla sua vera passione apparentemente perché “allettato” dalla promessa fattagli dal suocero Piergiorgio Mazzone di un posto di elite nel suo reparto, quello di Rianimazione e Terapia Intensiva, in uno dei più importanti poli ospedalieri della capitale.
Giovanni, atterrito dall’idea dell’infermità permanente, dalla vita-non vita a cui vanno incontro le persone con malattie incurabili o gravemente invalidanti, era un giovane medico tendenzialmente favorevole all’eutanasia. Un’ideologia che il suocero, un uomo totalmente privo di qualsiasi scrupolo, andava cercando come requisito fondamentale nella scelta del personale medico che entra a far parte della sua squadra allettato dalle promesse di lauti guadagni. Diversamente, Giovanni non sarebbe mai stato preso in considerazione dall’avido primario.
Una cosa che mi ha fatto molto piacere è stato sentirmi dire, da chi ha già letto DEATHDOC, che è impossibile odiare il protagonista nonostante la sua cattiva fama e il suo carattere un po’ asociale, sarcastico e spigoloso. Magari le lettrici sono anche positivamente influenzate dal fatto che sia un bell’uomo?

Il perché di questa scelta, cosa me l’ha ispirata? Più che altro mi è stata suggerita per filo e per segno dallo stesso, appassionato lettore che ha tanto insistito affinché sviluppassi il personaggio di Paolo/Giovanni. «Rendiamolo interessante», ha detto. Ovviamente lui mi ha dato le linee guida, il resto ce l’ho messo io. Ascolto sempre volentieri i suggerimenti dei miei lettori, poi sta a me decidere se siano fattibili o no.

  • Ambientare una storia in un cimitero non è esattamente una scelta usuale, perché una giovane donna ha scelto proprio questo genere per comunicare con il pubblico?

Perché non avrei dovuto sceglierlo? Non mi piacciono le storie romantiche e/o sdolcinate, inoltre negli ultimi tempi sul mercato letterario c’è un’inflazione di fantasy (non che non mi piaccia il genere, ma personalmente sono un po’ stufa di vampiri, demoni, eccetera); e poi Patricia Cornwell e Kathy Reichs sono donne, eppure hanno scritto romanzi su un medico legale e su un’antropologa forense.

  • Oltre ad aver caratterizzato fino all’esasperazione i vari personaggi, di cui parleremo dopo, hai anche reso perfettamente l’idea del mondo che gira intorno a una qualsiasi morte, aspetti che non tutti sanno e che spesso, proprio a causa del momento emotivo, le persone non comprendono. Quante ricerche hai svolto per ottenere tante informazioni e quali ostacoli hai trovato nello svolgimento di tale ricerche?

Colui che ha tanto insistito affinché sviluppassi e approfondissi quel personaggio, è un giovane medico legale che lavora al cimitero. È stato lui a darmi un valido aiuto, presentandomi i suoi colleghi, permettendomi di fare tutte le domande che volevo e di vedere tutto ciò che era necessario vedere affinché potessi rendere la storia credibile. Oltre a quello, mi ha suggerito un sito internet su cui trovare gli approfondimenti delle normative che regolamentano quel mestiere che in molti nemmeno considerano, o sottovalutano. Perciò di ostacoli non ce ne sono stati; posso però affermare con sicurezza che se anche non avessi avuto il suo supporto, avrei ugualmente sviluppato una storia ambientata in un cimitero, ma senza entrare nel tecnico. Anzi, l’ho già fatto e il risultato mi soddisfa: è un romanzetto intitolato “OGGI RICORRONO I MORTI (SPERIAMO VINCA MIO NONNO)“, incentrato interamente sulla giornata del 2 novembre. Lo consiglio sempre a chi è curioso di leggere una delle mie storie particolari ma si impressiona per certi dettagli.

  • Come dicevamo, i personaggi, che ruotano intorno al cimitero, hanno tutti in comune la caratteristica di divenire grotteschi ed esaltano quegli aspetti che, per assurdo, li rendono ancora più umani. Hai tratto spunto da persone reali?

Per incontrare personaggi grotteschi basta andare in giro e osservare la gente nella vita di tutti i giorni. In ogni caso, quando qualcuno mi fa particolarmente innervosire, lo “uccido” e lo faccio diventare un ospite del cimitero del protagonista. È anche un’ottima valvola di sfogo! Queste persone non immaginano che se sorrido invece di mandarle al diavolo come meriterebbero è solo perché nella mia infinita fantasia scribacchina le ho già collocate orizzontalmente in una graziosa tomba…

  • Nel tuo libro vi sono menzionati diversi episodi in cui il filo conduttore è alla fine qualcuno su cui piangere, quanti di questi episodi sono reali e quanti inventati?

La storia personale del personaggio è tutta inventata. Gli episodi al cimitero, invece, mi sono stati raccontati oppure vi ho assistito personalmente.

  • La vena di humour macabro è una parte insita del tuo carattere oppure insorge nel momento stesso in cui, calandoti nella storia, emerge improvvisamene lo scrittore che è in te?

Lo ammetto: la vena macabra è insita nel mio carattere. E non mi importa cosa gli altri pensino di me. In ogni caso, cerco sempre di buttarla un po’ sul ridere.

  • La cultura occidentale identifica il cimitero come un luogo di morte e sofferenza, mentre la cultura orientale tende a renderlo un luogo in cui la pace dello spirito influisce anche sull’animo delle persone. Due concezioni diametralmente opposte, tu come vivi questo luogo?

Direi che abbraccio pienamente la cultura orientale, al cimitero mi sento veramente in pace.

  • Per offrire un’alternativa diversa al lettore, non avresti voglia di scrivere un libro scritto dal punto di vista del morto?

Chi ti dice che io non l’abbia già fatto? Aspetta di leggere il seguito di DEATHDOC! Certo, per scrivere ciò ho usato molto la fantasia, dando anche alla storia delle mie personali libere interpretazioni, perché ovviamente nessuno è mai tornato indietro a raccontarmi come sia il punto di vista di un morto. Anche se, dovendo scegliere, preferirei mi desse i numeri vincenti del Super Enalotto…

  • Quando Eugenia non scrive, come occupa il proprio tempo?

Se intendi il mio tempo in generale, faccio quello che fanno tutte le persone che vorrebbero essere nate ricche, ma che invece non lo sono e “devono campà”. Se invece ti riferisci al tempo libero: ultimamente ne ho molto poco, quindi scrivo soltanto. Guai a propormi qualcosa di diverso! Non è cattiveria, ma ultimamente il mio motto è: LASCIATEMI scrivere IN PACE e non rompete.

  • Sappiamo che per Deathdoc è previsto un seguito, puoi anticiparci qualcosa in merito al tuo nuovo libro?

Il seguito di DEATHDOC si intitola IL SIGNORE DEI CIMITERI. L’ho già inviato all’editrice per la valutazione.
Nelle sue pagine si ritrova Paolo/Giovanni in periodi differenti della sua vita. Lo vedremo ragazzo, giovane uomo, studente e specializzando in Medicina Legale – e in alcuni capitoli anche nel ruolo che già ricopre nel romanzo DEATHDOC, vari episodi che nel precedente libro non ho raccontato perché poco inerenti –, sempre con la smodata passione per i cimiteri. Non si è mai lasciato sfuggire l’occasione di visitarne uno, magari rinunciando a una gita o a una giornata di mare.

Di cosa parla IL SIGNORE DEI CIMITERI? Qui ci riallacciamo alla domanda sullo scrivere un libro dal punto di vista di un morto. Si scoprirà infatti che Giovanni Di Micco è un “medium“, in grado di vedere i trapassati e di interagire con loro. Un dono che scopre gradualmente, ma di cui non sa proprio cosa fare. Sulle prime crederà di essere pazzo.
Questo lato della storia è raccontato secondo una mia personale e molto fantasiosa interpretazione dell’after-life: i fantasmi della mia storia non fluttuano e non sono trasparenti, ma ai suoi occhi appaiono in tutto e per tutto con l’aspetto di persone normalissime. Inoltre sono impossibilitate ad allontanarsi dal luogo dove dimora il loro corpo; il che, per il nostro amato protagonista, è un sollievo: gli è già difficile riuscire a distinguerli dai vivi all’interno del cimitero, figuriamoci se li incontrasse per strada.
Ovviamente sull’argomento c’è dell’altro, ma lo scoprirai leggendo il libro.

  • Per rimanere in tema e per concludere degnamente questa simpatica chiacchierata, cosa scriveresti come epitaffio per questa intervista?

Uhm… va bene che la morte piace alla gente che giace?

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Intervista a Sabrina Grementieri

Noccioli di ciliegie di Sabrina GrementieriIntervista a Sabrina Grementieri

  • Sabrina Grementieri ha scritto due romanzi che rientrano nel filone “rosa”, ovvero parlano di amore e sentimenti, senza però tralasciare la passione e la realtà delle persone. In un’epoca in cui tutto diventa materiale o, al contrario, fin troppo fantasioso, che valore dai all’amore?

Buongiorno a tutti. Quale migliore domanda per una romantica come me? Per me non esiste un’esistenza senza amore. Per amore io intendo la passione, l’entusiasmo, il sacrificio, gli attacchi di tachicardia e le farfalle nello stomaco, le lacrime di soddisfazione e orgoglio. Anche ai più cinici io chiedo sempre: siete sicuri di non avere mai provato questo sentimento? Perché l’amore non è solo quello tra due persone adulte. È l’amore per i propri figli, per gli animali, per il proprio lavoro, per una giusta causa. Io non mi alzerei dal letto al mattino se nella mia vita non ci fosse almeno una di queste cose. Ma vogliamo circoscrivere l’amore a quello tra due persone? Io personalmente non potrei davvero vivere senza. E non parlo dell’innamoramento, quello che ti travolge, ti sconvolge, ti ringiovanisce e ti rincretinisce. Parlo di quella difficile sfida di costruire un rapporto forte, complice e arricchente basato sui sentimenti. Fermatemi adesso!

  • Sia in “Una seconda occasione” che in “Noccioli di ciliegie” l’ambientazione si svolge in territorio nazionale, prima nelle verdi campagne toscane e poi sui rilievi dell’Alto Adige, perché questa scelta? E come reputi la decisione di altri autori di porre i propri personaggi in ambientazioni per lo più estere?

L’Italia è un paese paesaggisticamente stupendo. Abbiamo cornici uniche e varie, dai ghiacciai alle dune, dalle città alle isole. Da adolescente, quando ho iniziato a scrivere, anche io ambientavo le mie storie all’estero. Buona parte di quello che leggevo era ambientato oltre frontiera, e sembrava naturale così. Poi ho iniziato a viaggiare, ho visto posti splendidi e mi sono innamorata del mio paese. Sono strana vero? Credo che a noi italiani manchi la cultura di sostenere il nostro paese. Non so quanto arriverò lontano con i miei romanzi, ma è in Italia che voglio ambientare le mie storie. Pensa che la prima cosa che mi dicono dopo averle lette è che sembra di essere proprio in Toscana, o in Alto Adige. Questo per me è un grande successo.

  • I tuoi personaggi sono sempre molto ben tratteggiati e caratterizzati da aspetti che li fanno sembrare molto reali. Trai spunto da persone che conosci o attingi direttamente da te stessa?

Fino ad ora i personaggi sono tutti inventati. Poi è inevitabile metterci qualcosa di me, o di qualcuno che ha incrociato il proprio cammino con il mio. Nel tentativo di renderli più reali possibili devo per forza attingere dalla realtà, ma sono lontana dallo scrivere di persone realmente conosciute.  Mi mette a disagio, ma non è detto che in futuro non possa accadere!

  • Nei tuoi romanzi esiste sempre una componente che riporta a cause fisiche e psichiche, come malattie, incidenti o altro, perché hai ritenuto opportuno porre uno dei protagonisti in una condizione di “quasi” bisogno rispetto all’altro?

In realtà fornisco ai miei protagonisti una buona dose di drammi ciascuno, giusto per non fare differenze! A parte gli scherzi, il cammino di ciascuno di noi è costellato di ostacoli, più o meno gravi, e mi piace descrivere il loro cammino e i loro tentativi/ non tentativi di superarli. Poi vuoi la mia poca esperienza di scrittrice, oppure la mia ostinata positività, la storia finisce sempre con un lieto fine. Ma io sono così nella vita reale: amo le sfide, e mi intestardisco nel ricercare un finale positivo. Non potrei mai scrivere profondi saggi intimistici, conditi di cinismo e fatalità. Non riesco nemmeno a leggerli!

  • Pur essendo dei romanzi rosa, le tue trame si discostano parecchio dal classico cliché dettato dall’amore zuccheroso, anzi, spesso i tuoi protagonisti, come nella vita reale, non sanno se avranno un lieto fine fino all’ultima riga. Hai mai pensato di lasciarli veramente in sospeso e di non produrre un happy end?

Direi che ti ho già risposto nella domanda precedente. Per ora no, non potrei non finire con l’happy end. Non amo le storie zuccherose, le protagoniste svenevoli e i protagonisti tutto testosterone. E nemmeno le trame troppo scontate. Come hai detto tu, preferisco sembrino più reali possibili. Però anche se li faccio sudare un po’, poi alla fine si tira tutti un bel respiro di sollievo!

  • La moda del momento prevede un rapporto realistico fra i personaggi, ovvero piuttosto carnale, benché i tuoi non siano privi di passione, tutt’altro, non vengono mai descritti in modo troppo “intimo”, la tua scelta è voluta? E pensi che riusciresti mai a scrivere qualcosa di più torbido e travagliato anche da questo punto di vista?

La scelta è decisamente voluta. Non sono un’amante dell’erotico, e anche se lo fossi ora mi sarei già abbondantemente stufata. Sono capricciosa, lo ammetto: le mode mi scatenano uno strano prurito sotto pelle, e ne sto lontana.
Poi, si sa, le scene di sesso sono tra quelle più difficili da descrivere, e sono certamente ancora molto inesperta!
Per concludere, vogliamo lasciare ai nostri pazienti lettori un po’ di spazio per la fantasia? Io la vedo così, e permettimi questo paragone: scrivere di sesso è un po’ come vestirsi. Se vado in giro con addosso solo una foglia di fico, che altro c’è da scoprire?

  • Mentre la cover e il titolo del primo libro erano abbastanza chiari, il secondo, Noccioli di ciliegie, rimane un po’ più enigmatico. Come mai hai scelto questo titolo e che cosa rappresenta per te?

I Noccioli di ciliegie sono per me il simbolo dei gesti di affetto, delle coccole. Come sai, sono quei sacchettini pieni di noccioli che puoi scaldare e mettere nelle parti doloranti del corpo. I miei figli li vogliono d’inverno per andare a dormire, soprattutto quando io sono al lavoro e non posso essere con loro. Li abbracciano come fossero un’ancora, e da lì è venuta l’idea. Il disegno è di un’amica, la brava artista Chiara Di Placido, alla quale ho lasciato libera scelta di interpretare la storia.

  • Vi è un’evidente crescita artistica fra il primo e il secondo libro, non tanto a livello qualitativo, giacché era ottimo fin dall’esordio, quanto da un punto di vista stilistico, poiché nella tua seconda opera hai posto maggiore riflessività e attenzione all’equilibrio della trama. A cosa è dovuto, secondo te, questo cambiamento?

La verità? Alle critiche costruttive! Lo scorso anno ho collaborato con alcuni scrittori nella stesura di racconti e al momento dell’editing, il mio aveva subito una bella batosta! Ma sono una brava ascoltatrice e soprattutto assorbo consigli e idee come una spugna. Se non c’è cattiveria (dalla quale ahimè mi faccio ferire) cerco di mettermi sempre in discussione.

  • Sabrina Grementieri scrittrice, moglie, madre, lavoratrice. Le tue giornate devono essere davvero molto piene. Quando trovi il tempo per scrivere? Quando ti vengono idee per un romanzo, riesci sempre a tenerle a mente o le scrivi da qualche parte per non perderle durante le mille attività quotidiane?

In realtà non prendo quasi mai appunti, e di questo mi rimprovero perché poi dimentico. Magari non il soggetto o il contesto, ma le parole giuste per esprimere un concetto, che di solito ti vengono nei momenti più impossibili. Però faccio spesso foto, perché l’ambientazione è la molla che fa partire la fantasia.

  • Quando Sabrina non scrive, come occupa il suo tempo, sempre che gliene rimanga?

Quando non scrivo faccio quello descritto sopra: mamma, moglie, lavoratrice. Però mi piace uscire con gli amici, e viaggiare, e ti giuro, a volte ci riesco!

  • Avendo pubblicato con un editore nativo digitale, quanto pensi che sia importante l’approccio di un autore con il web e quali vantaggi pensi che la rete possa offrire?

Un autore, purtroppo, deve imparare a sfruttare i vantaggi della rete. Dico purtroppo perché io non sono molto abile con la tecnologia, quindi ci perdo un sacco di tempo per ottenere risultati mediocri. Dalla mia posso dire che ci provo. So che devo promuovermi, farmi sentire, far sapere che ci sono. Voi mi state davvero aiutando, e non potrò mai ringraziarvi a sufficienza.

  • Quali sono i tuoi progetti per il futuro e che cosa puoi anticiparci del tuo prossimo romanzo?

Tanti, sempre tanti progetti! Non riesco mai a fermarmi. Ho terminato il terzo libro, ambientato in Salento questa volta. È in attesa di spiccare il volo. Voglio partecipare a workshop di scrittura, imparare da chi ne sa più di me di questo meraviglioso mestiere. Voglio continuare a viaggiare, a conoscere, a stupirmi. Ma soprattutto voglio essere presente per i miei due cuccioli d’uomo, sperando di trasmettere loro la voglia di sapere, di scoprire, di assaporare la vita.

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Amazon fa i capricci

Disservizi su variazioni e operazioni.

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Questa settima avremmo dovuto presentarvi la nuova promozione inerente uno dei libri presenti nel nostro catalogo, tuttavia, a causa di alcuni disservizi forniti da Amazon, non sarà possibile. Purtroppo lo store online, in queste ultime due settimane, sta avendo delle difficoltà nel gestire le operazioni più comuni, quali l’inserimento tempestivo dei commenti degli utenti, le variazioni istantanee relative a vendite e acquisti nonché, evidentemente, anche le variazioni sui prezzi per quel che riguarda le promozioni. Quindi, per la prossima settimana avremo ben due libri in evidenza, ma trattandosi di generi diversi, non sarà affatto difficile amarli entrambi. Vi anticipiamo solo, giusto per stuzzicare la vostra curiosità, che uno di questi sarà più rivolto verso un pubblico femminile e l’altro verso un pubblico maschile. Tuttavia, essendo stati scritti da due eccellenti autori, selezionati con la solita attenzione che contraddistingue ogni opera pubblicata da Edizioni Esordienti Ebook, siamo certi che incontreranno il favore di ogni tipo di lettore. Quindi, godetevi nel frattempo i libri che vi abbiamo già proposto e lasciate, sempre che Amazon lo consenta, un vostro commento nello spazio dedicato. Oppure, per avere una visione completa di quelle che sono le nostre offerte, avventuratevi nella pagina dedicata all’editore, sempre presente nello store, scegliendo fra i vari titoli quello che più di avvicina ai vostri gusti.

Link dedicato all’editore: Amazon